Privacy e Clubhouse
Un nuovo rivoluzionario social network che tanto sta facendo parlare di sé, complice anche l’utilizzo da parte di Elon Musk e altre figure emergenti, sta facendo discutere gli esperti della sicurezza del web.
Stiamo parlando di Clubhouse, la piattaforma considerata dal “The Guardian” un ibrido tra Houseparty e le conference calls. Un social network in un certo senso inedito e dalle caratteristiche allettanti, che apre le porte alla possibilità di riconsiderare i social attraverso una nuova ottica e mette in gioco nuove considerazioni.
Fanno parte della sua capacità di distaccarsi dal consueto anche le modalità d’accesso. Infatti, l’invito deve provenire da un utente già registrato che potrà ripetere l’operazione solo per altre due volte; dopo aver scelto i propri settori di interesse, è possibile interagire con gli utenti all’interno di stanze virtuali tematiche, in cui ci si potrà scambiare unicamente file audio. Disparati sono gli argomenti su cui poter discutere e i più gettonati sembrano essere per il momento politica, musica, marketing. Quando la stanza viene chiusa, i messaggi scambiati si cancelleranno ma potranno mantenersi anche dopo, se durante la conversazione sono state segnalate violazioni degli standard richiesti. Tra l’altro, in ogni stanza c’è un admin che ha il compito di moderare la discussione, quindi può decidere a chi dare la parola (“speaker”) e a chi toglierla; tutti gli altri che restano muti e ascoltano sono gli ascoltatori.
Dopo aver compreso quali sono le caratteristiche salienti di questo nuovo strumento, emergono subito i suoi punti di forza. Il fatto che oggi, seppur sia rimasta la politica dell’accesso solo su invito, gli utenti siano arrivati quasi a 2 milioni, fa riflettere sulla possibilità di aver trovato in questa modalità la vera arma vincente del nuovo spazio virtuale. Sarà lo scarso numero di inviti disponibili che conferisce un senso di esclusività e attrattività. Tuttavia, tra le altre cose, si aggiunge che su questo social saranno destinati a restare solo coloro i quali rispondono a determinati requisiti. Tra gli altri, la necessità di avere una certa familiarità con l’inglese, il saper prender parte ad una discussione ed essere aggiornati sull’argomento oggetto di quest’ultima. Per questa ragione è evidente che una cerchia di persone ne rimarrà esclusa.
Se a dare spazio alla chance di mostrare il lato migliore di sé tramite degli scatti per sentirsi apprezzati ci hanno pensato prima Facebook e poi Instagram, adesso con Clubhouse è possibile finalmente sentirsi parte di un gruppo per comunanza di interessi, modi di pensare e di vedere le cose. Inoltre, viene meno quell’odioso gap tra scritto e pensato che contraddistingue i messaggi scritti sui social e, nella maggior parte dei casi, fonte di gravi incomprensioni tra gli utenti. Forse, dopo tanto tempo, un social che quando lo chiudi ti fa sentire meglio di quando lo hai aperto, tenendo vive le tue passioni, che ti stimola senza intorpidire la mente e che ti offre la possibilità di accogliere nuovi spunti di interesse. Un motivo per perdere quel cattivo vizio di scrollare la home quasi per inerzia, fonte di dispiacere quando, casualmente, finiamo per sentirci diversi “per colpa” di una foto.
Tuttavia, se da un lato la sensazione di esclusività data dall’invito e dal conferimento della parola da parte dell’admin fa di questo social la nuova tavola rotonda digitale, dall’altro è preoccupante la situazione in termini di sicurezza agli occhi dei Garanti per la protezione dei dati personali in Europa.
Evidenti sono, anche ad un’approssimativa visione della sezione policy dell’app, i punti di criticità, in netto contrasto con diversi articoli del Gdpr (Regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679), la normativa europea in materia di protezione dati. A tal proposito è opportuno ricordare che per quanto riguarda l’ambito territoriale, la sua applicazione non è limitata alle sole aziende che si trovano in Europa, ma tutela tutti gli interessati che risiedono nel territorio dell’Unione indipendentemente da dove si attua il trattamento dei loro dati. Poiché anche in Europa il social sta per decollare, è necessario quindi che venga tutelato il diritto dei cittadini europei, affinché ricevano una tutela conforme a quanto dispone il Regolamento a tal proposito predisposto.
Infatti, il nuovo social non solo non sembra rispettare il Regolamento, ma lo fa su diversi fronti e suscitando proprio per tale motivo una forte preoccupazione nel nostro Garante il quale è dovuto intervenire al fine di tutelare i cittadini.
Il primo aspetto di criticità attiene all’obbligo di sincronizzazione a cui devono conformarsi i nuovi utenti già in fase preliminare all’utilizzo della piattaforma; il punto è che, se da un lato il social dichiara di non vendere i dati dei propri utenti, dall’altro ammette di condividerli con i suoi affiliati, operazione bisognosa di autorizzazione.
Il secondo aspetto riguarda l’attivazione di un sistema per moderare maggiormente le conversazioni, al fine di evitare spiacevoli episodi di utilizzo fuorviante delle chat e di assicurare un adeguato calibro alla discussione. Dal momento che se non intervengono le segnalazioni di altre persone sembrerebbe inesistente ogni tipo di tutela, è il caso di provvedere al più presto per colmare tale lacuna.
Il terzo aspetto ritenuto critico concerne una violazione dell’articolo 32 del Gdpr europeo sulla protezione dei dati personali, il quale sancisce la necessità che l’interessato esprima il consenso attraverso un atto inequivocabile, mediante cui manifesta l’intenzione libera, specifica e informata di accettare il trattamento dei dati personali che lo riguardano. Un consenso mirato dunque per ogni singola finalità del trattamento.
Dal momento che gli utenti di Clubhouse sono costretti ad accettare con un solo clic tutte le condizioni sulla privacy e per giunta anche completamente in inglese, tale vincolo verrebbe ignorato.
Un quarto aspetto ritenuto problematico evidenzia la mancanza di un rappresentante europeo, previsto dall’articolo 27 del Gdpr. Si tratterebbe di una figura che agisce per conto del titolare o del responsabile del trattamento e li rappresenta nei loro obblighi.
Ai sensi del Regolamento, “le azioni dei fornitori di servizi di social network, devono confluire in un’unica direzione e cioè in quella di impegnarsi nel garantire la massima trasparenza, nell’informare gli utenti ai fini della correttezza, nell’impiego e nel trattamento di dati personali“.
Gli utenti devono inoltre essere liberi di scegliere in piena autonomia quali dati, fra quelli contenuti nei rispettivi profili, intendano eventualmente far utilizzare con finalità di marketing.
In definitiva, nel mirino dell’autorità sono finite le informazioni sui partecipanti e le loro interazioni, la profilazione a scopo pubblicitario e il trasferimento dei dati verso gli Stati Uniti, di cui sono poco chiare le finalità e il periodo di disponibilità degli stessi.
A fronte di quanto detto, viene alla luce un fenomeno che si ripete ogni qualvolta un nuovo social prende piede a livello internazionale e che già abbiamo potuto conoscere se pensiamo all’ormai famosissima piattaforma Zoom che accompagna noi universitari. È ormai noto infatti che per potersi conformare ad esigenze di sicurezza della privacy, soprattutto a livello europeo, e per garantire un’assistenza concreta ai problemi degli utenti, debba passare prima del tempo. Molto spesso accade che queste invenzioni prendano il volo repentinamente, fino a raggiungere cifre inaspettate e a coinvolgere una quantità di utenti fuori dalle previsioni dei fondatori stessi. È proprio in questa incredulità che risiedono lacune in termini di sicurezza e adesione a standard normativi consolidati.
Dunque, considerato ciò, è consigliabile anteporre allo smanioso desiderio di novità ed esclusività il diritto a ricevere un trattamento improntato su trasparenza e affidabilità. Alla luce di questo, una giusta dose di informazione, responsabilità e valutazione rimangono come sempre l’antidoto alle più gravi intrusioni e raggiri a cui ognuno di noi può andare in contro nel sempre più pervasivo mondo dei social.