L’inutile utilità del tempo
A cosa serve il tempo? Che sia per perderlo o per acquistarlo, facciamo sempre i conti col tempo. Volontariamente o no, lo reclamiamo come amico o nemico, come nostro, altrui o di tutti. Negli ultimi secoli, nel marasma confuso di concetti sul tempo fra loro diversificati, hanno iniziato a costituirsi due vie principali, una alternativa all’altra. Questa marcata contraddizione interna tra le due strade ha portato a una biforcazione: si è detto che di tempo ve n’è uno di tutti e uno per ognuno. Quello universalmente riconosciuto è per definizione oggettivo, quello individuale soggettivo[1]. Uno, il tempo della fisica, l’altro, il tempo della nostra esistenza. Entrambi hanno in comune qualcosa: che si tratti di una via scoscesa alla scoperta di sé o dell’atomo di Cesio, il tempo non esiste né qua né là.
Ma allora, perché ne parliamo così tanto?
Fin dagli albori della filosofia naturale, oggi comunemente chiamata fisica, il tempo è stato la misura di riferimento rispetto ad altro. In altre parole, consideriamo le cose rispetto al loro divenire; giudichiamo l’uomo rispetto al suo invecchiamento, il treno in base al suo movimento e la terra in base al moto di rivoluzione intorno al Sole. Tutte le cose ci appaiono in un movimento continuo e il tempo ci serve per dire che ciò che vediamo cambia. Di per sé, a differenza dello spazio o della velocità, il tempo non è qualcosa che possiamo percepire direttamente coi sensi, non possiamo “vedere” un’ora, ma possiamo solo misurarla [2], mentre siamo in grado di dimostrare e percepire facilmente il moto e lo spazio che ci circonda. Di tutti i concetti intangibili, il tempo è uno dei più elusivi, uno di quelli a cui siamo intrinsecamente dipendenti: nonostante la sua lontananza da ogni concretezza, influenza invariabilmente ogni aspetto della nostra vita materiale. Senza di esso non possiamo definire facilmente il cambiamento, possiamo osservare solo la regolarità di quello che appare dal passaggio delle stagioni. Questa astrazione incorporea viene all’inizio presa come unità di misura assoluta: esiste un tempo unico in questo mondo e in tutti i mondi possibili che ci guida alla percezione del circostante.[3] In questo senso può essere inteso il tempo meccanico, quello dell’orologio che scandisce con cadenza ritmica gli attimi precisi del cosmo. Ma, come ogni buon matematico sa, la perfezione non è conciliabile con la realtà, se non per via ideale attraverso approssimazioni[4]. Il rigore logico imperscrutabile non è contemplato nella realtà, composta da approssimazioni e caos.
“There is chaos in every grass.” [5] (trad. “C’è il caos in ogni filo d’erba.”)
John Horgan
Non per questo, però, dobbiamo abbandonare ogni cielo che tenda ad una perfezione per rimanere nel suolo della concretezza più sterile. Le teorie e l’idealizzazione non sono inutili e volatili: “You can’t see what science is without having in your head an idea of what science should be”[6] (“non puoi vedere che cos’è la scienza senza avere in testa che cosa la scienza dovrebbe essere”). Serve, quindi, un progetto teorico entro cui muoverci prima di definire le cose. Le teorie sono il punto di riferimento che guidano e che sono guidate dalla pratica fatta di tentativi ed errori. In questo senso, la parte astratta può essere rappresentata dall’immagine di un fiume che traccia un solco nella realtà, modificandone gli argini col suo lavoro lento e costante; questi, conseguentemente, ridimensionano il fiume, che per sua natura tende a sconfinare. Così il tempo, un concetto immateriale, usato come misura della scienza e della vita, scorre placido al nostro fianco. Con la teoria della relatività la durata temporale è stata studiata in maniera diversa. Non si poteva più parlare di una sola faccia, ma di molteplici sfaccettature del tempo; si è scoperto, ad esempio, che l’orologio da polso ha un senso solo per gli uomini che lo usano per mettersi d’accordo tra loro. La lancetta non indica più qualcosa di assoluto e unico, per noi come per ogni animale vivente, ma è solamente relativa al luogo e alla velocità: “(la legge fisica) dipende dai nostri metodi di misura e non esprime una proprietà intrinseca della materia”[7].
Non esiste un tempo valido unicamente per diversi luoghi e non esiste neppure un tempo unico per un singolo luogo: una durata può essere associata solo al movimento di qualcosa. La nozione di tempo sparisce perché non è più una coordinata oggettiva e fissa per comprendere il mondo esterno[8]. Ciò che è relativo è sempre relativo a qualcosa, quindi dipendente dal rapporto con qualcos’altro. Per studiare la realtà dobbiamo basarci su qualcosa di fisso, su un punto di riferimento: questo è il caso delle costanti. Per guardare e studiare la realtà esterna che muta continuamente dobbiamo affidarci a qualcosa che rimane, appunto, costante. Uno scienziato, infatti, deve dimostrare la ripetizione di un elemento comune ai fenomeni. Ad esempio, nel caso della relatività ristretta la velocità della luce è una costante universale indipendente da sistemi di riferimento. Esiste, però, una soggettività fisica che apre a punti di vista diversi:
“Si è scoperto che le proprietà temporali e spaziali dipendono in larga misura dall’osservatore.”[9]
Bertrand Russell
Il fulcro costitutivo (e quindi l’elemento ricorrente) è rappresentato per Einstein dalla velocità della luce[10]. La comprensione di quello che ci accade richiede l’osservazione di una causa e un effetto dove, senza un prima e un dopo, risulta impossibile parlare di successione; servono quindi una causa e un effetto. Dunque, quando si parla di tempo, è necessario organizzare tutte le esperienze in una scatola comune che contiene tutto quello che accade. In questo senso, quando si parla di durata, ci si riferisce a un ordine del tempo[11]. Possiamo dire che “ieri è stata una giornata stressante, ma domani andrà meglio”. Non facciamo altro che descrivere il passato e il futuro senza definirli veramente. In altre parole:
“Il Passato non è più, il Futuro non è ancora, il Presente, come separazione di due cose che non esistono, come fa ad esistere?”[12]
Da una prospettiva particolare, come quella prettamente umana, gli oggetti cambiano. La realtà è composta da moltissime informazioni[13] che variano ininterrottamente e noi, come il resto degli esseri viventi, selezioniamo una piccolissima e ristretta parte di mondo attraverso i nostri sensi. Riusciamo ad ampliare, in parte, la nostra prospettiva, e dunque le esperienze che possiamo vivere, attraverso l’uso di strumenti tecnici. La percezione di tempo e spazio, ad esempio, sono significative, per il soggetto conoscente, perché permettono di cogliere il cambiamento e il movimento.
Nel mondo animale ci sono delle notevoli differenze tra specie. La lumaca, ad esempio, non percepisce movimenti al di sopra di un quarto di secondo[14], mentre per l’uomo la soglia è di un decimo di secondo[15], chiamato temps perdu. La contrazione temporale è il tempo che perdiamo ogni volta nell’ordinare l’esperienza. Viviamo il passato pensando di trascorrere il presente ma, alla prova dei fatti, non riusciamo nemmeno a sfiorarlo. Questo concetto risulta essere qualcosa che riguarda un senso interno e non un qualcosa che guardiamo al di fuori di noi, tant’è che possiamo regolare questo senso in base alle necessità. Ad esempio, possiamo decidere quando alzarci la mattina senza l’uso della sveglia, con un minimo scarto rispetto all’ora stabilita: “L’autorisveglio all’ora voluta, anche se nel mezzo della notte, è la regola e non l’eccezione”.[16] La realtà non è solo composta dal mondo esterno, ma anche dalla nostra rielaborazione interna: quella che abbiamo è un’esperienza del tempo che cambia al variare delle nostre sensazioni ed emozioni. Concentriamoci allora su quello che proviamo, sulle sensazioni dirette. Quando si ha un compito da svolgere e si deve, ad esempio, arrivare in un determinato posto, l’ostacolo che si frappone tra noi e il nostro obiettivo ci porta ansia: questo tempo è quello dell’attesa, come aspettare che un semaforo diventi verde perché si ha fretta di andare a fare altro. Avendo in testa un fine preciso, ogni prolungamento (come il semaforo rosso) ci irrita perché pone una maggiore distanza tra noi e il terminare il compito prefissato, per non doverci più pensare e poter iniziare un’altra serie causale dove siamo il pendolo che oscilla da una parte all’altra.
La nostra vita, ultimamente, è rimasta in sospeso a causa del periodo di quarantena. In precedenza, le distrazioni quotidiane ci imponevano una routine e una cadenza che, al ritmo delle lancette dell’orologio, ci chiudevano all’interno di abitudini temporali. Avevamo paura di perdere tempo dietro a degli obiettivi, incappando in ostacoli che ci provocavano ansia. Poi si è fermato tutto. Quando si forma un’abitudine ci adattiamo a prevedere e ad organizzare tutto; avendo già in mente quello che sarà, tendiamo ad accorciare il tempo della percezione e le nostre vedute entro un quadro già stabilito. Infatti, “la consapevolezza della causa comprime il tempo“[17]. Ordinare sistematicamente il tempo ci porta a considerarlo come qualcosa di esterno e da rincorrere, ma alla fine non facciamo altro che perderlo. Come abbiamo visto, non esiste un vero e proprio tempo esterno, cioè fisico: sarebbe maggiormente utile considerare un tempo nostro, esistenziale. Se continuiamo ad agganciarci unicamente a una misura fissa esterna non riusciamo a vivere quello che facciamo e a comprendere che noi siamo il tempo vissuto. Questo è il vero stratagemma per non perdere più tempo. Controlliamo quello che facciamo e siamo il riferimento che dobbiamo avere per aver tempo. “Grazie al controllo mentale del tempo, gli esseri umani hanno acquistato un potere sulla Terra che compete, quando non lo supera, con quello della natura”.[18] Questo non significa arrivare in ritardo agli appuntamenti, ma rompere delle abitudini che ci portano a fuggire da noi stessi in una ripetizione alienante. Solo così, decidendo di rallentare, fermando la continuità, possiamo vedere tutte le possibilità che prima ci passavano a fianco senza che noi le potessimo scorgere. Non riuscendo a considerare tutte le varie opzioni perdiamo moltissime vie che potremmo intraprendere e che ormai non sono più percorribili. In questo senso:
“Non avere tempo significa gettare il tempo.”[19]
Martin Heidegger
Vivendo passo per passo assaporiamo quello che succede e non possiamo più annoiarci, perché la noia perde significato. Così, viviamo un presente dove un attimo è completamente differente dall’altro, non c’è un elemento uguale all’altro. A ben vedere, infatti, ci possiamo sorprendere continuamente di come le cose siano diverse nel tempo in cui siamo. La noia è un’illusione che ci fa pensare alle cose come se fossero in continua successione e ripetizione all’interno di un tempo unico e assoluto; praticamente ci fa vedere il mondo come se fosse tutto uguale. Ci porta a soffermarci su che cosa succede e non su come succede. Se stiamo fermi e ci interroghiamo su che cosa accade, ci rispondiamo che non abbiamo nulla da fare e reagiamo in maniera passiva al tempo. Ci “si annoia nel “che cosa”, (ci) si annoia di riempire la giornata”.[20]
Quando invece poniamo l’attenzione sul come succede, possiamo comprendere l’attimo che stiamo vivendo nella sua totalità e, prendendo una decisione, siamo noi ad agire attivamente. Nel secondo caso possiamo, ad esempio, chiederci come si muovono le nuvole nel cielo e non possiamo che constatare sbalorditi: “come la possibilità autentica di ogni attimo”. [21]
“Che cos’è il tempo?” è diventato “chi è il tempo?” (…) o ancora più precisamente “sono io il mio tempo?” [22]
Il tempo, quindi, esiste in noi come questione soggettiva. Ma non esiste in natura come qualcosa di oggettivamente misurabile per la fisica. Qua risiede un problema non ancora risolto, espresso dalla domanda: “Che cos’è il tempo?”. Non c’è una risposta unica e valida universalmente. Questo problema è frutto delle difficoltà di comunicazione tra scienze diverse. Nell’ultimo secolo esse si sono progressivamente specializzate, perdendo di vista una coerenza d’insieme che possa conciliare tutte le conoscenze in un quadro chiaro ed univoco[23]: c’è una tendenza, ormai consolidata in abitudine, a pensare ‘in the box‘.
Lo strano caso del tempo è solo uno dei tanti nodi irrisolti e molto dibattuti in ambito scientifico e nella filosofia della scienza in generale. Ancor oggi, infatti, i dati raccolti ed interpretati dalle neuroscienze sono inconciliabili con l’inesistenza del tempo affermata dalla fisica. “Le neuroscienze non hanno preso in considerazione l’opinione della fisica sul tempo e sulla sua non esistenza, convinte di avere la prova del contrario.”[24]
Non esiste una soluzione: possiamo, allora, sospendere per ora la questione e pensare al tempo come qualcosa che viviamo nella considerazione delle possibilità che ci vengono presentate dal passato per poter progettare il nostro futuro. Senza magari capire cosa sia veramente questo attimo ma, dovendolo vivere, farlo almeno in accordo con quello che siamo, ora, e quello che saremo, poi.
[1] Nella tradizione questo passaggio viene comunemente identificato nel confronto tra la concezione fisica del tempo, definito da Aristotele come il “numero del movimento secondo il prima e il poi” (come cit. da Heid.) e la concezione psicologica del tempo, definito da Agostino come: “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se qualcuno mi chiede di spiegarlo, non lo so” (come cit. da Eco e Fed.). Nello specifico, sono stati presi come riferimento il libro “Il concetto di tempo” (pp. 12-15) di Martin Heidegger, ed. 1924 Adelphi e il manuale “Storia della filosofia dall’Antichità al Medioevo” (pp. 337-340) di Umberto Eco e Riccardo Fedriga, ed. 2014 Laterza.
[2] Nella fisica newtoniana, nonché nella meccanica quantistica standard, il tempo è postulato come una grandezza fisica speciale e assume il ruolo di variabile indipendente dell’evoluzione fisica. Si consideri il seguente intervento dei fisici Fiscaletti e Sorli. Una tesi simile viene espressa dal fisico Carlo Rovelli nel libro “L’ordine del tempo”, ed. 2017 Adelphi.
[3] “Il tempo assoluto vero e matematico è per sua natura senza relazione a qualcosa di esterno, fluisce uniformemente e si chiama anche durata. Il tempo relativo apparente e comune è una misura sensibile ed esterna della durata mediante il movimento.” Newton (come cit. da Eco e Fed. cfr. nota 1), legato all’idea di matematica come linguaggio della natura, rimane fedele alla concezione galileiana affermando la verità assoluta, in quanto matematica, della misura numerica del tempo. Concepisce un tempo relativo, ma lo considera solo apparente in confronto al tempo assoluto.
[4] Infatti a p. 222 de “L’Abc della relatività” di Bertrand Russell, ed. 1925 Longanesi & C. si legge che “nel trattamento matematico della natura, si può essere molto più sicuri della approssimativa esattezza delle formule di quanto non si possa esser sicuri della correttezza d’una o di un’altra interpretazione delle formule stesse”.
[5] Intervista “The Paradox of Karl Popper” di John Horgan (2018)
[6] ivi.
[7] Bertrand Russell, “L’Abc della relatività”, ed. 1925 Longanesi & C.
[8] Carlo Rovelli mostra come il tempo perda rilevanza nella fisica contemporanea, facendo particolare riferimento agli eventi limite, cioè quelli microscopici e quelli macroscopici. Si nota come il tempo non abbia alcun ruolo, tanto da non venir neppure incluso nell’equazione Wheeler-Dewitt (che accorda la meccanica quantistica e la relatività generale) https://www.youtube.com/watch?v=xeHHjGKwZWM, minuto 10:00.
[9] Bertrand Russell, “L’Abc della relatività” (p. 35), ed. 1925 Longanesi & C.
[11] p. 220 ivi. “la parola “effetti” si richiama ad un concetto di causalità che non va a genio alla fisica moderna, e in particolare non va a genio alla relatività”, dove discute la fisica in base ai concetti di causalità e ordine.
[12] Tratta da una cit. al seguente video
[13] p. 66 ivi. “L’informazione è cosciente quando diventa accessibile (circa 9/10 delle informazioni non lo diventano) ai sistemi e alle molte reti cerebrali dell’autocoscienza densamente distribuiti nella corteccia prefrontale, cingolata e parietotemporale.”
[14] pp. 70-80 Uexkull, “Ambienti animali e ambienti umani”, ed. 1933 Quodlibet
[15] p.66 Arnaldo Benini, “Neurobiologia del tempo” ed. 2017 Cortina Editore: “Le sequenze di tali eventi, ha calcolato Gerald Edelman, richiedono da 1/10 di secondo fino a un secondo per cui il presente è sempre remembered”
[16] p.74 ivi.
[17] p.61 ivi.
[18] p.15 ivi.
[19] Martin Heidegger, “Che cos’è il tempo” (p. 40), ed.1924 Adelphi
[20] p.43 ivi.
[21] p.41 ivi.
[22] p.50 ivi.
[23] Questo è uno dei grandi problemi delle scienze contemporanee noto alle discussioni di filosofia della scienza. Per informazioni si veda il libro di A. Benini “Neurobiologia del tempo”, ed. 2017 Cortina Editore
[24] p. 87 ivi.