Il Nuovo Rinascimento, da Bugliano all’Arabia Saudita
Mi sveglio, sono le 11 (merda, si studia dopo pranzo un’altra volta). Prendo il cellulare dal comodino e principio il consueto scrolling delle più svariate schermate social che mi capitano a tiro. Gli occhi si muovono più veloci del cervello, il pollice più veloce degli occhi. Mentre le lancette fanno le piroette nel quadrante, impegnato nel tentativo di spingere l’inizio della giornata un po’ più in là e il più vicino possibile al suo termine, mi imbatto in una notizia di attualità: la breaking news che a pranzo racconterò a Giacomo (il coinquilino ndr.) a prescindere che gli importi davvero. Mentre mi figuro il carosello, io nelle veci di Enrico Mentana seduto al tavolo Ikea della cucina, il cellulare mi scivola dalle mani: tonfo sul parquet, lamento del vicino. L’universo sta mandandomi un messaggio: la spinta ancestrale che sollevò l’homo erectus, la stessa per cui ho smesso di gattonare, la medesima mi sta richiamando alla mia natura bipede e alla decenza di un inizio giornata fuori da ogni logica.
«Matteo Messina Denaro è un mio amico» è la rivelazione shock del consigliere comunale di Bugliano, Renzo Mattei. Prima di fiondarmi nell’approfondimento, decido di controllare quante testate giornalistiche, agenzie, associazioni, uomini politici, partiti e movimenti abbiano rilanciato le assurde dichiarazioni di Renzo Mattei. Qui lo sbigottimento prevale. La mia attenzione si accresce proporzionalmente all’inclinazione della mia schiena sullo screen e, già compenetrato col telefonino, mi accorgo che nessuno parla di Mattei. Il nulla e niente di più. Surreale. Come può non essere oggetto di articoli, editoriali, libri di Scanzi questo scandalo della politica italiana, l’ennesimo punto più basso di un baratro senza fondo? il nulla e niente di più, questa l’unica risposta che mi sovviene. Confuso ma non per questo scorato getto il pollice al di là dell’ostacolo e ritorno al titolo che mi aveva da poco cambiato la giornata: “«Matteo Messina Denaro è un mio» è la rivelazione shock del consigliere comunale di Bugliano, Renzo Mattei”. Sta ancora lì, -respiro con coraggio-, mi tuffo e clicco, mi allontano di getto dal cellulare e urlo “MA ALLORA E’ VERO!”. “Cosa?” mormora il coinquilino dal torpore della sua camera da letto, la domanda cade nel silenzio del mio stupore.
Questa è la storia: una giornalista, fuori dal Consiglio Comunale di Bugliano, ha incalzato il Mattei per spingerlo a chiarire i suoi rapporti con Matteo Messina Denaro a seguito di un fantomatico incontro tra il boss mafioso siciliano e il consigliere buglianese per progettare il “Nuovo Rinascimento Mafioso”. In quel contempo Renzo Mattei butta il carico da 90. Afferma che il Messina Denaro è un suo “friend”, che non ci sono conflitti d’interessi nella collaborazione retribuita alla fondazione “Nuovo Rinascimento Mafioso” e che comunque Joe Biden non ha mica detto che il Messina Denaro ha mai ucciso qualcuno.
Il caso. Tutte le circostanze sopra descritte sono frutto della mia personalissima fantasia, meno artificiose sono i comportamenti e le dichiarazione del senatore italiano Matteo Renzi. Il leader del partito riformista Italia Viva unisce il mandato politico di rappresentante del liberalismo sociale, all’amicizia personale e collaborazione lavorativa con Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita che progetta un rilancio economico del paese in salsa assolutista, antidemocratica e antiumanitaria.
L’11 febbraio 2021 il POTUS Joe Biden ha disposto la pubblicazione di un report della CIA sul coinvolgimento dei vertici sauditi nel caso Khashoggi (la barbara uccisione di un giornalista saudita, naturalizzato americano, ucciso, fatto a pezzi e carbonizzato nell’ambasciata saudita in Turchia), nel quale l’agenzia americana sostiene “l’approvazione da parte di Mohammed bin Salman di un’operazione di cattura di Jamal Khashoggi” e che gli esecutori abbiano agito secondo mandato di MbS.
Il 25 marzo scorso Matteo Renzi è stato raggiunto dalle domande dei giornalisti italiani attorno al report della CIA, le accuse a MbS e l’amicizia che il senatore toscano ha con questi: il senatore della Repubblica, senza perdere l’aplomb, ha respinto le accuse verso MbS, sostenendo che non vi siano sanzioni a carico del principe ereditario, e rivendicato la libertà di chiamare “my friend” chiunque voglia. E’, d’altro canto, doveroso specificare che gli USA avevano, contestualmente alla pubblicazione del report CIA, interrotto la vendita di aerei d’assalto e parte degli armamenti all’Arabia Saudita e che l’Italia aveva seguito l’alleato atlantico nella sospensione delle esportazioni militari ai sauditi (dato che il leader riformista non poteva non conoscere, in quanto ex membro della commissione Difesa al Senato). Essenziale è evidenziare, per inserire nel contesto sia le iniziative che le inazioni degli USA, la rilevanza dell’Arabia Saudita quale preminente alleato occidentale nella regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa), quindi l’impossibilità politica e diplomatica di porre sotto sanzioni internazionali il principe ereditario di una monarchia assoluta alleata.
Il contesto. Ritornano alla mente le parole del premier Mario Draghi, interrogato in merito al sofa-gate ed alla condotta del Presidente turco Erdoğan: «La considerazione da fare è che con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, o meglio per cooperare, uno deve essere franco nell’esprimere la diversità di vedute, di comportamenti, di visioni. E bisogna essere pronti a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese» aggiungendo «questo è importante, secondo me bisogna trovare l’equilibrio giusto». Parole di verità che acquistano di valore in proporzione alle scelte politiche inverse dell’esecutivo italiano e di quelli europei, perché dimostrazione della sistematica fascinazione dei leader europei verso gli affari piuttosto che nei confronti della tutela dei diritti umani e dell’adesione ai mandati politici. In Egitto, ad esempio, il governo italiano esporta (in contrasto con la legge 185/1990) armamenti per 9 miliardi di dollari e rinuncia allo scontro istituzionale sul caso Regeni o Zaki; in Libia il premier Draghi esprime “soddisfazione” sulla gestione del flusso migratorio delle milizie libiche (la c.d. guardia costiera libica), nei giorni in cui L’Espresso documenta la sparizione dai campi di detenzione (i c.d. centri di raccolta) di migliaia di migranti caduti sotto il controllo delle milizie; in Francia è indelebile il conferimento della Légion d’honneur al dittatore egiziano Al-Sisi. Un contraddittorio endemico che non pone solo la politica in condizione subalterna alle richieste e alle dimostrazioni di forza dei regimi dittatoriali, ma che soprattutto fa dimenticare alla diplomazia occidentale “la sua arma più potente”, come scrive Ugo Tramballi (senior advisor di ISPI), ossia i diritti umani: l’unico elemento davvero antinomico ai regimi dittatoriali che, dopo il decollo cinese, non bramano la stabilità al potere ma la crescita economica e l’egemonia geopolitica.
E’ mendace la politica se promette il progresso sociale e liberale ma viene meno alle proprie prediche di fronte a Paesi con popolazioni imbavagliate, perché abbagliata dal Nuovo Rinascimento economico. E’ alterato un dibattito pubblico se non si pone il problema dell’opportunità etica delle scelte politiche e non si interroga attorno alla responsabilità diretta di trattare con regimi stranieri, per il mantenimento dello status quo antidemocratico. Il vantaggio che il piano liberale in cui ci muoviamo ci conferisce è quello di poterci interrogare attorno ad avvenimenti censurati nel resto del mondo e chiamare a rispondere i rappresentanti politici delle loro azioni, dichiarazioni e interessi (pubblici e personali), magari ribaltando i piani prospettici per sottolinearne la gravità.
Nel 1996 Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo, fu ucciso e sciolto nell’acido nitrico da Cosa Nostra. Nel 2012 Matteo Messina Denaro, ancora latitante, e altri mafiosi furono condannati all’ergastolo, giudicati colpevoli per l’omicidio di un 13enne che aveva sconvolto l’opinione pubblica per la sua atrocità. Cosa differenzia una mafia istituzionalizzata, nella forma di governi autoritari che perseguitano i soggetti difformi all’idea distopica di uno Stato univoco e suddito, dalla mafia che noi conosciamo, odiamo e dobbiamo continuare a combattere?
Nulla e niente di più.