“Belle di Faccia” e la Grassofobia
Se, come me, amate le serie TV comedy, vi sarà capitato di guardare un episodio di Friends in cui una Megan Cox in fat-suit appare in scena mentre balla e mangia biscotti, apertamente derisa dagli altri personaggi per la sua (per fortuna passata) grassezza; oppure di vedere una puntata di Parks and Recreation, serie molto più recente della sitcom ambientata a New York, dove tuttavia il trattamento delle persone grasse come se fossero un sacco da boxe da colpire a suon di battute purtroppo rimane. Basti pensare a Jerry, che viene continuamente rappresentato come l’uomo pigro e grasso e che per questo merita di essere preso in giro.
Certo, si potrebbe dire: “Sono comedy, è ovvio che ci sono battute stupide!”. Effettivamente, a Parks and Recreation, Friends, How I Met Your Mother ecc… non sono rare le battute omofobe, sessiste e razziste. Tuttavia, mentre ormai (come è sacrosanto che sia) serie insensibili a questi temi ci fanno cringeare e dire “Per fortuna dai primi 2000 le serie un pochino – anche se non troppo – sono migliorate”, purtroppo per quanto riguarda la grassofobia questo non si può ancora affermare. Anche in serie che si presentano come progressiste e scritte da paladini della giustizia, le battute contro le persone grasse non mancano di certo. In Gilmore Girls, ad esempio, in una scena del revival del 2016 (2016!!!) Rory e Lorelai sono in piscina e scherzano su come una persona grassa non dovrebbe nemmeno osare indossare un costume da bagno. Ma in generale, non solo nelle serie TV, manca una rappresentazione di personaggi grassi. Vi è mai capitato di vedere un film Disney con una protagonista grassa? In quanti film romantici – ad esclusione di quelli in cui un’attrice magra indossa un fat-suit solo per mostrare il suo meraviglioso glow-up alla fine del film che le consentirà di conquistare il ragazzo perfetto – ci sono protagoniste (non spalle comiche) che non sono una taglia 34? Ve lo dico io: zero o pochissimi.
Avrete notato che fino ad ora ho usato l’aggettivo ‘grasso’ e non ‘in carne’, ‘robusto’ o ‘curvy’. In Belle di Faccia. Tecniche per ribellarsi a un mondo grassofobico, Chiara Meloni e Mara Mibelli (la cui pagina Instagram Belle di Faccia vanta oltre 50000 follower) ribadiscono più volte che ‘grasso’ non è una parolaccia, ma anzi un termine di cui bisognerebbe riappropriarsi. Nel libro le due attiviste parlano della grassofobia ripercorrendo la storia del movimento per la fat acceptance e arrivando alle sue origini, che distano ben lontano dalle donne super fit e magre che vediamo su Instagram “torcersi come lombrichi e appallottolarsi come porcellini di terra per mostrare un rotolino di pelle, essere definite coraggiose”. Il movimento nacque nel 1967 quando a Central Park a New York venne organizzata una manifestazione durante la quale i 500 partecipanti si ribellarono al trattamento delle persone grasse bruciando libri sulle diete e mangiando i dolci proibiti dai guru del digiuno. I primi tentativi della fat acceptance non furono però tutti rose e fiori: la NAAFA (National Association to Advance Fat Acceptance) fu fondata da due uomini, mariti di donne grasse, per cui le donne avevano poca voce in capitolo e venivano spesso viste come mero oggetto di desiderio da parte di fat admirers (cioè uomini che avevano il fetish del grasso).
Questo primo turbolento inizio del movimento fu presto corretto dal lavoro di Judy Freespirit e Aldabaran, che fondarono un vero e proprio collettivo femminista che lottava contro la grassofobia. Grazie a loro, le donne grasse non furono più il mero oggetto del dibattito, ma i soggetti attivi che portavano avanti queste discussioni. Oggi il movimento ha preso nuovamente una brutta piega, a causa del proliferare dell’hashtag body positivity su Instagram, dove spesso influencer magrissime incitano chi le segue a diventare il più simile a loro e al canone di bellezza tradizionale, a volte sponsorizzando prodotti spacciati per miracolosi come bibitoni contro la pancia oppure orsetti gommosi per perdere peso.
Nel loro libro, uscito a febbraio presso la casa editrice Mondadori, Belle di Faccia pongono l’accento sul concetto di intersezionalità, termine elaborato dall’attivista statunitense Crenshaw nel 1989, che spinse ad interpretare la discriminazione come il risultato della combinazione di una serie di caratteristiche dell’individuo. Nel primo capitolo del libro, infatti, Meloni e Mibelli aprono una parentesi sul ruolo degli scritti di alcune donne nere (come Johnnie Tillmon, attivista che raccontò come la sua condizione di donna nera, povera e grassa la portò ad essere discriminata su più fronti, proprio perché giaceva all’intersezione tra più identità discriminate) e dei movimenti queer nell’avanzamento del movimento per la fat acceptance. Per comprendere la grassofobia, infatti, è essenziale studiarla da più punti di vista possibili: sarebbe insensato cercare di trovare le risposte ad un problema sociale senza informarsi su tutte le sue sfaccettature.
La prima volta che mi sono casualmente ritrovata sulla pagina Instagram di Belle di Faccia ho subito pensato che il lavoro che stavano facendo fosse rivoluzionario e concordavo pienamente con loro sul fatto che il tema della grassofobia fosse qualcosa su cui era fondamentale sensibilizzare le persone. Solo una cosa mi lasciava perplessa: l’antagonismo nei confronti del contemporaneo movimento di body positivity. Infatti, ritengo che non solo chi è grasso possa arrivare ad odiare il proprio corpo a causa della grassofobia: basti pensare ai due milioni di giovani italiani che soffrono di disturbi alimentari. Leggendo il libro delle due attiviste, però, ho presto capito che l’intenzione non era affatto quella di sminuire i problemi di chi non è grasso. Meloni e Mibelli, per darci un’idea della differenza tra il movimento di fat acceptance e quello di body positivity, citano l’idea di Virgie Tovar delle tre dimensioni dell’ingiustizia corporea:
- Intrapersonale = ciò che pensi del tuo corpo
- Interpersonale = come gli altri percepiscono il tuo corpo
- Istituzionale = come il tuo corpo condiziona la tua abilità di navigare la società
Belle di Faccia riflettono quindi su come la body positivity, al contrario della fat acceptance, si focalizzi prettamente sulla prima dimensione, tralasciando le ultime due. Mentre per le persone magre, che hanno quindi questo thin privilege, la più grande lotta è quella all’interno di se stessi, per le persone grasse, invece, esistere significa approcciarsi quotidianamente a discriminazioni.
“La body positivity mainstream ha messo al centro un solo corpo: quello rassicurante e non troppo fuori norma della donna bianca, etero, cis e magra o leggermente curvy“
Il fatto che le persone magre che hanno un cattivo rapporto con il proprio corpo debbano combattere spesso “solo” una battaglia intrapersonale non è affatto da sminuire: la visione di sè può essere negativa a prescindere da come gli altri ci vedono o dal numero sulla bilancia. Tuttavia, Belle di Faccia ci spingono a pensare all’aspetto sistemico dell’ingiustizia corporea: creare vestiti poco inclusivi per quanto riguarda le taglie, fornire delle sedute nei luoghi pubblici extra small, non garantire un prolungamento della cintura sull’aereo sono solo alcuni dei tanti comportamenti che ci fanno capire che spesso il messaggio lanciato è che le persone grasse non dovrebbero esistere.
Lo scorso ottobre fece scalpore la notizia che un post di Celeste Barber, in cui la comica australiana si era fatta fotografare parodizzando una foto di Candice Swanepoel, modella di Victoria’s Secret, non poteva essere condiviso in quanto andava contro il regolamento sulla nudità. Il problema era che non si verificava lo stesso con il post di Swanepoel, nonostante Barber fosse più coperta poiché aveva deciso di indossare un bikini. Per l’algoritmo di Instagram, quindi, una donna magra in bikini è ben accetta, una donna grassa no.
Per questo, quando sentiamo o facciamo commenti sul peso, non stiamo ‘solo facendo una battuta’, ma stiamo alimentando questo odio sistemico nei confronti di un gruppo la cui maggiore colpa è quella di esistere.