Rifiuto, prima parte
Il rifiuto è parte integrante della nostra quotidianità più di quanto pensiamo: è all’ordine del giorno, infatti, declinare con un “no” una richiesta d’impiego, d’aiuto o d’amore, oppure dire di “sì” a una proposta, scegliendo di non accettarne altre più o meno consapevolmente. Considerando l’ampiezza del tema, in questo nuovo articolo della rubrica cercheremo, in punta di piedi, di parlare di un primo caso: quando siamo noi a essere rifiutati.
- Rifiuto in amore
Avvicinandoci all’argomento, forse l’amore è l’ambito più scontato: a differenza di quello lavorativo, ci riguarda sin da giovanissimi. In questo articolo, vista la potenziale delicatezza del tema, ci concentreremo maggiormente sull’innamoramento, sebbene sia possibile sentirsi rifiutati anche nel contesto familiare (si pensi, ad esempio, alla recente situazione di Malika, la ragazza di Castelfiorentino cacciata dai genitori perché omosessuale), nel quale, in teoria, sempre di amore si tratta.
Sappiamo tutti che, in generale, ci innamoriamo di qualcuno a prima vista o con il tempo, imparando a conoscerlo/a. Chiaramente essere ricambiati non è scontato, anche solo perché l’altra persona, ad esempio, può non avere un orientamento sessuale compatibile con il nostro.
Ma la verità è che spesso, semplicemente, noi non piacciamo e non esiste nessuna motivazione razionale per giustificare il rifiuto. Anche se a volte è consolatorio pensare: la “persona giusta al momento sbagliato“, il “se solo non fosse in un periodo in cui è stressato/a“, “se solo fossimo allo stesso punto nelle nostre vite“, “se solo fosse pronto/a per una relazione”, “se solo non fosse già impegnato/a” sono tutte cose che non esistono.
Si può essere d’accordo o in disaccordo con questa idea, così come è vero che talvolta chi si appoggia a queste scuse ci crede sinceramente, ma ecco il fatto: se una persona è quella giusta sarà disposta ad affrontare delle difficoltà, a chiudere la sua attuale relazione per iniziarne una con noi – con i suoi tempi, magari, ma lo farà – e a imparare a gestire lo stress (sempre se accettiamo di considerare l’amore come ulteriore causa di affaticamento). Insomma, se veniamo rifiutati è perché non piacciamo abbastanza “in quel senso”: magari siamo dei potenziali amanti, buoni amici, conoscenti o, anche se non è il massimo in cui sperare, solo degli aneddoti da raccontare agli amici, ma non va presa troppo sul personale, perché le preferenze degli altri dicono tanto su di loro e poco su di noi. E poi, in quante occasioni a noi piace qualcosa, ma non così tanto? Eppure non pensiamo che quella cosa sia orribile, da buttare o indegna, piuttosto che a qualcun altro potrà piacere di più. Inoltre, tutti proviamo sentimenti, abbiamo delle crush e degli amori a prima vista e non c’è motivo di vergognarsi di qualcosa di così dolce e spontaneo.
Quando veniamo rifiutati talvolta tendiamo a dare subito la colpa a quelli che, ai nostri occhi, sono i nostri difetti peggiori: mi ha scaricato/a perché il mio corpo non è abbastanza in forma, perché i miei denti non sono perfetti, perché non sono una persona simpatica come a volte credo, perché parlo troppo, perché sono egoista o qualsiasi altra cosa. Ma, innanzitutto, gli altri non ci vedono con gli stessi occhi con cui ci guardiamo noi, mai; inoltre, se anche vedessero alcuni dei nostri difetti, dobbiamo metterci il cuore in pace, essere consapevoli che tutti ne hanno e pensare positivo: come riteniamo che, nonostante le loro imperfezioni, i nostri amici e i nostri cari meritino e siano degni di un amore sincero, perché lo stesso discorso non dovrebbe valere per noi?
Infine a volte, per farci consolare, lasciamo che chi ci vuole bene ci dica che chi ci respinge non ci merita e non capisce niente se ci lascia andare via: va pur bene dirlo in un primo momento, ma non va bene convincersene. Non esistono persone che sono troppo poco per noi, così come a noi non manca niente, semplicemente esistono ragazzi e ragazze con cui siamo più compatibili che con altri.
Bene o male, le persone con le quali riusciamo a scambiare due battute e a cui ci sentiamo di raccontare cosa abbiamo mangiato e come siamo messi con lo studio sono molte, moltissime e, a meno che non si cerchi semplicemente una persona fissa da compagnia – che è legittimo, ovviamente, ma insolito o, per lo meno, lontano dall’innamoramento in senso stretto – questo raramente è abbastanza per iniziare una storia seria.
Interiorizzare questa verità è il primo passo per superare un rifiuto in maniera sana. Ragionare diversamente, infatti, porta a screditare anche noi stessi per aver ricevuto un no, perché assume implicitamente che ci sia qualcosa legato al valore personale dei soggetti in causa a motivare l’inconciliabilità, quando in verità sentimenti e razionalità cavalcano onde diverse.
- “Non sufficiente”
Altri ambiti in cui le nostre prestazioni, almeno una volta, non sono state all’altezza sono ovviamente quello scolastico, accademico e, in caso si abbia già esperienza, lavorativo.
Non credo tu abbia la stoffa per fare questo, non hai quello che cerchiamo, potevi fare di più, questo non è adeguato, non conta se ci hai lavorato per ore, hai frainteso la richiesta, il tuo lavoro non è accettabile…
Anche qui è comprensibilmente difficile non prenderla sul personale o, per lo meno, non è sempre facile smettere di essere severi con se stessi. Spesso vediamo il nostro lavoro come un prolungamento di noi – il che può avere senso visto che, di qualsiasi cosa si tratti, è frutto di un’elaborazione unica di ciò che abbiamo studiato e fatto fino a quel momento ed è qualcosa in cui investiamo la nostra risorsa principale, il tempo – e, quindi, se il mio lavoro non va bene io non vado bene, se il mio progetto è banale io sono banale, se il mio saggio è sconclusionato io sono una persona sconclusionata.
Tuttavia, questo ragionamento è troppo semplicistico e decisamente incompleto. Non tiene conto, infatti, di tutte quelle parti di noi e della nostra vita che non sono state chiamate in causa nella stesura di quell’elaborato – se prendo 12 a un esame non vuol dire che io come persona valga 12 trentesimi, magari sono pessimo in matematica, ma sono un amico fedele, sono bravissimo a cucinare, sono gentile o possiedo qualsiasi altra qualità – e non comprende la sfera emotiva: cosa mi succedeva in quel periodo, come andava la mia convivenza con l’ansia, come stavo gestendo l’alimentazione, quanto riuscivo a dormire, quanto andavo d’accordo con la mia famiglia in quelle settimane…
In più, sembra che a volte ci dimentichiamo che abbiamo sempre a che fare con altri esseri umani, persone che cambiano secondo dopo secondo esattamente come noi, che hanno idee mutevoli, che hanno punti di vista forse anche infinitamente lontani dai nostri, o magari vicini ma mai uguali, e quello che dobbiamo capire è che il giudizio degli altri è niente di più di ciò che loro, semplicemente, ritengono: non è la verità, come non per forza è una bugia, è un loro pensiero. Quindi, i giudizi che vanno oltre la nostra prestazione e ci interpellano come individui vanno sempre tanto ascoltati quando rielaborati, cioè messi accanto alla percezione che abbiamo di noi stessi (che sicuramente è più completa di quella di un professore, un collega o un datore di lavoro) e vederne le differenze a mente lucida; le valutazioni sui nostri lavori, invece, determinate in base a una serie di parametri razionali stabiliti da qualcun altro, restano quelle che sono: semplici calcoli.
Se veniamo rifiutati in qualcosa possiamo sempre ritentare o, se proprio non è possibile, impareremo a farcene una ragione, troveremo una strada alternativa. Insomma, è importante impegnarsi e dare il meglio di sé in quello che si fa, ma a volte può non essere comunque sufficiente e, invece di continuare a tentare di inserirsi in una spazio triangolare nonostante si sia un quadrato, si può anche andare a cercare qualcosa che abbia le forme giuste per noi: non vuol dire fallire, vuol dire volersi bene ed essere consapevoli di sé.
Questo stesso discorso è valido anche per i contesti di amicizia: se a noi piace una compagnia ma, quando si è tutti insieme, ci sentiamo respinti, messi da parte, magari non palesemente, ma ogni tanto fanno battute che non capiamo e non ce le spiegano, abbiamo la sensazione che non siano completamente a loro agio in nostra presenza, che non si fidino – anche se potrebbero tranquillamente! –, o se magari sono gentilissimi con noi, però ci sentiamo in imbarazzo e non sappiamo mai cosa dire, è giusto che ci allontaniamo e cerchiamo un ambiente in cui sentirci comodi.
Nel prossimo articolo della rubrica concluderemo il discorso e parleremo delle situazioni in cui siamo noi a dire no. Intanto, possiamo riassumere quanto appena detto in una piccola, grande verità: il rifiuto non ti definisce, tu ti definisci, sono le scelte che prendi, il modo in cui decidi di reagire e il tuo approccio alla vita che determinano la persona che sei, non come gli altri si relazionano con te e con ciò che fai.