Provo a spiegarvi il Tractatus
Avete mai preso in mano il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein? Io l’ho fatto, tempo fa, senza sapere a cosa stessi andando incontro.
Non avevo nessuna particolare conoscenza né dell’autore né del libro in questione; mi avevano solamente detto: “leggilo e vedrai che la filosofia non serve a nulla”. Così, con l’arroganza tipica di un ventenne in piena fase analitica, lo aprii pretendendo di capirne tutto il contenuto. Ovviamente, non solo non capii tutto, ma fui, anzi, molto vicino al non capirci nulla. Ma cosa vuole questo da me? – mi dicevo – e come diavolo scrive?
In effetti, lo stile puntiforme di Wittgenstein lascia abbastanza di stucco chi è abituato a leggersi le pagine auliche dei trattati di filosofia. L’autore è quasi arrogante; ci dice infatti nella premessa: “la verità dei pensieri qui comunicati mi sembra intangibile e irreversibile. Io ritengo, dunque, d’avere definitivamente risolto nell’essenziale i problemi”.[1]
Sembra presuntuoso – e lo è –, ma tutti i grandi filosofi lo sono. E, che abbia effettivamente ragione o meno (lui stesso, anni dopo, confuterà le tesi presentate in questo libro), Wittgenstein ha fatto la storia del pensiero contemporaneo. Mi sembra giusto, quindi, che almeno i concetti di base espressi nel Tractatus vengano resi chiari a chi è interessato a capirci qualcosa. Ho deciso, pertanto, di provare a spiegarveli io.
Cominciamo dall’autore: Ludwig Josef Johann Wittgenstein (Vienna, 26 aprile 1889 – Cambridge, 29 aprile 1951) è stato un pensatore riconosciuto per i suoi contributi alla logica e alla filosofia del linguaggio. Le sue due opere più famose sono il Tractatus Logico-philosophicus e le Ricerche filosofiche.
Wittgenstein pubblica per la prima volta il Tractatus Logico-philosophicus nel 1921, all’interno della rivista Annalen der Naturphilosophie con il titolo tedesco Logisch-philosophische Abhandlung. Tuttavia, l’opera acquista una grande fama solo a seguito della pubblicazione in lingua inglese – avvenuta nel 1922 grazie all’aiuto di Bertrand Russel, che ne scrive un’introduzione – con il titolo in latino, che richiama il Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza.
All’interno del Tractatus il richiamo alla logica di Frege e Russell è forte, ma ciò non toglie che le idee in esso contenute siano originali e innovative: infatti, avrà a sua volta una fortissima influenza sui pensatori del Circolo di Vienna e sulla successiva filosofia analitica – in particolare sulla filosofia del linguaggio.
È lo stesso Wittgenstein a esporci i contenuti del libro, in modo molto chiaro, all’interno della prefazione:
“Il libro tratta i problemi filosofici e mostra – credo – che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.
Tutte le questioni classiche della filosofia, dunque, sono in ultima analisi soltanto problemi linguistici. In particolare, ciò che viene frainteso è la logica del nostro linguaggio. L’obiettivo del Tractatus è quindi dimostrare che per riuscire a utilizzare al meglio il linguaggio e, attraverso esso, riuscire a porsi dei problemi sensati, per i quali sia possibile trovare una soluzione, è necessario riconoscere la sua struttura logica e agire solamente all’interno di essa.
Il linguaggio deve muoversi entro i confini della logica, al di fuori dei quali ogni enunciazione risulta priva di senso:
“Il libro vuole, dunque, tracciare al pensiero un limite, o piuttosto – non al pensiero stesso, ma all’espressione dei pensieri […]. Il limite non potrà, dunque, venire tracciato che nel linguaggio, e ciò che è oltre il limite non sarà che nonsenso”.
Il Tractatus Logico-philosophicus è suddiviso in sette proposizioni principali, numerate da 1 a 7, ognuna delle quali è seguita dai suoi commenti, anch’essi numerati (ad esempio, il terzo commento della seconda proposizione sarà il 2.3). Le proposizioni 1 e 2 riguardano il mondo, le proposizioni 3 e 4 riguardano il pensiero, le proposizioni 5 e 6 riguardano il linguaggio, mentre la proposizione 7 riguarda il Mistico.
Nelle prossime righe riporterò queste sette proposizioni e le analizzerò più nel dettaglio, aiutandomi anche con alcuni commenti dello stesso Wittgenstein.
1 Il mondo è tutto ciò che accade.
1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.
2 Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.
2.01 Lo stato di cose è un nesso d’oggetti (entità, cose).
Ciò che si evince dalle prime due proposizioni è che il mondo non è costituito da oggetti, ma da stati di cose, cioè da nessi tra le cose: al filosofo austriaco non interessano le cose in sé, ma le relazioni che ci sono tra esse.
3 L’immagine logica dei fatti è il pensiero.
La terza proposizione spiega che il pensiero non consiste nei fatti, ma è la replica della loro struttura formale: è l’immagine della rete di rapporti che costituiscono la realtà. Pertanto, il pensiero non è imitazione della realtà materiale, ma è un modello di essa (cioè ne presenta i nessi interni).
4 Il pensiero è la proposizione munita di senso.
4.2 Il senso della proposizione è la sua concordanza, e non-concordanza, con le possibilità del sussistere, e non sussistere, degli stati di cose.
Una proposizione ha senso (ed è quindi realmente pensabile) solo quando è di tipo dichiarativo, quindi quando è verofunzionale: quando, cioè, è possibile verificare se essa sia vera o falsa in riferimento ai fatti. Dire “Marco ha gli occhi verdi” è una proposizione sensata, in quanto possiamo effettivamente andare a controllare se Marco ha o meno gli occhi verdi; dire, invece, “Dio esiste” non è una proposizione sensata, perché dallo studio della realtà non possiamo avere conferme né dell’esistenza né dell’inesistenza di Dio: quindi questa proposizione non può essere né vera né falsa.
5 La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari. (La proposizione elementare è una funzione di verità di sé stessa.)
5.1 Le proposizioni elementari sono gli argomenti di verità della proposizione.
Questa proposizione e il relativo commento possono essere riassunti nel modo seguente: il valore di verità di una proposizione complessa dipende dal valore di verità delle proposizioni elementari che la compongono. Per esempio, il valore di verità della proposizione complessa “Luca è italiano e Jake è inglese”, dipende dal valore di verità delle due proposizioni semplici “Luca è italiano” e “Jake è inglese”: se sono entrambe vere, sarà vera anche la proposizione complessa.[2]
6 La forma generale della funzione di verità è: [p,ξ,N(ξ)]. Questa è la forma generale della proposizione.
La proposizione 6 è all’apparenza decisamente complicata. Tuttavia, è spiegata da Russell nella sua introduzione al libro:
“Ecco la spiegazione:
p sta per tutte le proposizioni atomiche
ξ sta per qualsiasi insieme di proposizioni
N(ξ) sta per la negazione di tutte le proposizioni di ξ.
L’intero simbolo [p,ξ,N(ξ)] significa tutto ciò che può essere ottenuto facendo una qualsiasi scelta di proposizioni atomiche, negandole tutte, facendo poi una qualsiasi scelta dall’insieme di proposizioni ora ottenuto, insieme con alcune delle proposizioni originarie – e così via, indefinitamente.”
Ho fin qui considerato le prime sei proposizioni del Tractatus. Prima di affrontare la settima e ultima, è necessario fermarsi un attimo a riflettere sulle implicazioni di questi sei passaggi. Ciò che viene spontaneo chiedersi è: in questo sistema costruito da Wittgenstein, in cui il linguaggio si basa solamente sulla logica, che ruolo ha la filosofia? Per rispondere a questa domanda, bisogna tornare indietro per analizzare più da vicino alcuni commenti, relativi in particolare alla quarta e alla sesta proposizione:
4.11 La totalità delle proposizioni vere è la scienza naturale tutta […].
4.111 La filosofia non è una delle scienze naturali. […]
4.112 Lo scopo della filosofia è il rischiaramento logico dei pensieri. […]
4.113 La filosofia delimita il campo disputabile della scienza naturale.
4.114 Essa deve delimitare il pensabile e, con ciò, l’impensabile. […]
4.115 Essa significherà l’indicibile rappresentando chiaramente il dicibile.
La filosofia ha, quindi, il compito di chiarire ciò di cui si può parlare. In altre parole, ha il ruolo di definire il campo d’azione delle scienze naturali.
Ma, allora, che fine fanno la metafisica, l’etica e l’estetica? Per Wittgenstein, le proposizioni di queste discipline non sono verofunzionali e quindi non possono propriamente essere dette, in quanto sono dei non-sensi: sono giudizi che si riferiscono non ai fatti, ma al valore dei fatti. Cercano di dare un senso al mondo, pensandolo come una totalità chiusa. Ma, se il mondo è un insieme chiuso, il suo senso ne è al di fuori:
6.41 Il senso del mondo dev’essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v’è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore.
6.421 È chiaro che l’etica non può formarsi. L’etica è trascendentale. (Etica ed estetica sono tutt’uno.)
6.44 Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è.
Spiegare come funziona il mondo è compito della scienza naturale. La metafisica tenta di dire che esso è, cioè perché esso è: quale sia il suo senso o il suo valore. Ma questo è il Mistico, cioè l’indicibile, l’ineffabile, ciò che non può avere risposta. E dunque:
6.5 D’una risposta che non si può formulare non può formularsi neppure la domanda.
Tuttavia, Wittgenstein è consapevole che con questo suo discorso sta escludendo problematiche fondamentali per l’uomo:
6.52 Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.
Infine, il Tractatus si conclude con la proposizione numero 7, non ulteriormente commentata, che spiega il modo in cui bisogna rapportarsi al Mistico:
7 Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.
Nonostante questo drastico invito al silenzio, il pensiero di Wittgenstein riguardo al Mistico rimane molto interessante. Nel Tractatus lo relega a non-senso, escludendolo totalmente dai discorsi filosofici. Tuttavia, in una lettera all’amico Ludwig von Ficker in cui introduce questo testo, il filosofo austriaco si esprime così, lasciando grandi spazi d’interpretazione:
“La mia opera consta di due parti: di ciò che qui è scritto, e di tutto ciò che io non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella importante”.
Una volta finito di leggere questo libro, si rimane abbastanza senza parole, e sembra non si possa più dire nulla: è vero solo in parte. Come già accennato, lo stesso Wittgenstein nelle Ricerche logiche (pubblicate postume) criticherà le proposizioni del Tractatus, attenuando di molto la sua rigorosità.[3] Nonostante ciò, questo libro ha assestato un duro colpo alla modalità classica di fare filosofia: basta metafisica, basta etica, basta estetica!
Ma – direte voi – non è anche questo libro metafisico? Infatti, non parla della realtà, ma di come della realtà si dovrebbe parlare! Quindi le proposizioni del Tractatus non possono essere verificate nel mondo, perciò non sono verofunzionali: sono dei non-sensi!
Ebbene, avete ragione. Ma Wittgenstein stesso era consapevole di questo, e risponde dicendo:
6.54 Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso su essa.) Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo.
Spero, con questo articolo, di aver reso il Tractatus un po’ più comprensibile. Sta a voi, adesso, decidere se salire o meno sulla scala di Wittgenstein per poi gettarla via. Il mio consiglio è di essere cauti: se anche riusciste a risolvere tutti i problemi del mondo, vi rendereste conto di “quanto poco valga l’essere questi problemi risolti“.
Fare filosofia è farsi domande, non darsi risposte.
[1] Tutte le citazioni del Tractatus presenti in questo articolo sono tratte da Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di Amedeo G. Conte, Einaudi, Torino 2009.
[2] Se invece una delle due proposizioni semplici fosse falsa, o fossero entrambe false, la proposizione complessa sarebbe falsa a sua volta. Per conoscere il valore di verità di una proposizione complessa, sapendo il valore di verità delle proposizioni semplici che la compongono, ci si serve di uno strumento di calcolo chiamato tavola di verità.
[3] Dirà che ogni linguaggio è come un gioco, che rispetta le sue regole interne.