Intervista sulla cannabis legale
Nell’ambito della campagna referendaria per la legalizzazione della cannabis, l’Universitario ha intervistato Sergio Keller, attivista ed ex coordinatore per il Trentino e il Friuli di “Legalizziamo!”, il sito dell’Associazione Luca Coscioni (principale promotore del Referendum Cannabis Legale) per la libertà di ricerca scientifica dedicato alle attività antiproibizioniste sulle droghe, per il diritto alla scienza, alla salute e all’autodeterminazione.
Presentati in breve e spiega qual è il tuo legame col referendum “Cannabis Legale”.
Sono Sergio Keller, ho studiato filosofia e prendo parte all’attività politica solamente per le iniziative che ritengo interessanti, come quando all’epoca Marco Pannella cominciò a parlare di amnistia e della situazione nelle carceri: lì mi sono avvicinato a quel tema e me ne sono occupato. Ho un’idea di politica diversa da quella tradizionalmente diffusa: secondo me, quando ci sono dei problemi, ci vuole una fase di studio, nella quale le persone dovrebbero considerare la questione a livello teorico, e non andare a vedere che cosa dice a riguardo chi sta a loro simpatico. Ritengo quindi che bisogni operare una fase di analisi, di documentazione e di ascolto delle opinioni da entrambe le parti, poi una fase di elaborazione di qualcosa di concreto rivolto al raggiungimento di un obiettivo: una proposta di legge, o anche solo la scrittura di un articolo che poi inneschi un dibattito. Purtroppo non vedo questa idea quasi da nessuna parte nel quadro politico italiano al momento, per questo mi sento un po’ deluso dalla partecipazione politica italiana in prima persona. Tuttavia, quando si presentano delle battaglie interessanti nelle quali è possibile appollaiare le fasi che spiegavo prima, decido di partecipare con molta convinzione e determinazione.
Da quanto emerso negli ultimi giorni, salvo ritardi nella consegna dei moduli da parte dei comuni, le 500 mila firme necessarie sono in cassaforte, dunque che senso ha ancora firmare?
Innanzitutto, anche se i Comuni non dovessero riuscire a presentarle, il numero di firme online sta ancora crescendo e i certificati elettorali devono essere consegnati per legge. Quindi, se paradossalmente 600 000 persone firmassero e poi i Comuni tardassero a rilasciare il certificato elettorale accampando mille scuse, l’ente comunale sarebbe inadempiente: non è dunque possibile che un referendum venga bloccato perché il Comune non rispetta i termini di legge. Quindi, secondo me, non ci sono dubbi sul fatto che questo referendum verrà presentato.
Firmare ha ancora senso per due motivi. Innanzitutto, per essere ancora più sicuri, perché comunque alcune firme vengono scartate per diversi motivi (cambio di residenza, perdita dei diritti politici per qualche condanna, ecc…). Il secondo motivo è più strettamente politico: una proposta referendaria che viene portata con 500 mila e una firma ha una certa rilevanza politica, una proposta che viene portata con un milione di firme ne ha un’altra; quindi ha senso anche per misurare l’effettiva risposta delle persone in merito a questo tema, che comunque è stata straordinaria perché nessuno, neanche gli organizzatori, si aspettava un così alto numero di firme in così pochi giorni.
L’Italia nel panorama globale della liberalizzazione della cannabis arriva molto tardi oppure siamo fra i primi?
No, non siamo tra i primi perché ci sono nazioni che da anni hanno una cultura di questo tipo. Negli Stati Uniti, gradualmente si sta andando verso una legalizzazione diffusa con effetti visibili sulla criminalità organizzata, che non ci guadagna più e che ha iniziato a spacciare erba a due dollari al grammo per disperazione. Nel contesto europeo, invece, a livello legislativo anche molti altri Paesi sono indietro. Penso però al caso della Germania, dove le leggi sono sì indietro, ma la prassi in realtà è un’altra: lì si tende un po’ all’ipocrisia normativa siccome in realtà sono culturalmente più avanti delle loro stesse leggi ed il possesso di piccole quantità non viene punito; anche perché si sono resi conto che non potevano intasare i tribunali per i due grammi di marijuana. È un discorso estremamente pratico e molto poco ideologico. La cosa interessante sarebbe uscire da questa zona grigia, per cui la cosa auspicabile è che l’Italia si aggiorni e aggiorni il proprio sistema legislativo in questa direzione, per dare definitivamente una colpo terribile ai guadagni delle mafie, perché questo è uno degli argomenti principali.
Gli italiani sono stati chiamati a raccogliere firme per un referendum che riguarda la liberalizzazione per due volte in pochi mesi e per due volte hanno risposto “presente” in modo sorprendentemente positivo. Da cosa credi sia dipeso ciò e che interpretazione dai a questo fatto?
La situazione politica attuale mostra un indebolimento sempre maggiore della rappresentanza: in generale il Parlamento viene sempre meno interpellato con i voti di fiducia all’occorrenza oppure con questa stessa diminuzione del numero dei parlamentari, mascherata come grande risparmio economico ma che in realtà è una grande perdita a livello di potenziali menti al servizio del Paese per la logica dello studio dei problemi di cui parlavo poc’anzi. I cittadini sentono che la loro voce non viene ascoltata, e sempre meno lo sarà se si continua su questa strada, da qui il richiamo alla partecipazione mettendo una firma o dando un contributo, perché alla fin fine la sensibilità in questa direzione c’è. Il fatto che se ne parli e che si sia sviluppata in questi anni una coscienza in tal senso è anche merito delle campagne precedenti perché abituano anche alla partecipazione politica.
Quindi, come dicevi riguardo la Germania, secondo lei anche gli italiani sono più avanti della loro stessa politica?
In un certo senso gli italiani sono più avanti perché vivono sulla loro pelle le varie situazioni. Sulla cannabis è chiaro che l’uso è talmente diffuso ed è talmente normalizzato all’interno della società e dalla prassi che è ridicolo quando ci sono le condanne per il micro possesso. C’è un sentimento negativo nei confronti del fatto che sia illegale, che debba essere fatto tutto sottobanco, che il consumatore sia condannato dal benpensante come il drogato di turno o anche il fatto di doversi rivolgere alla malavita, e questo sentimento infastidisce molto. Una cosa un po’ sorprendente è che quelli che attualmente di mestiere fanno gli spacciatori sono contrari alla legalizzazione. Difatti, nel 2016 abbiamo fatto un tavolino di raccolta firme in un luogo frequentato da assidui consumatori di cannabis ed è stato un fallimento totale perché quasi nessuno ha voluto firmare per paura di perdere il lavoro. Questa per me è stata un’enorme conferma della bontà di questa campagna di legalizzazione perché addirittura c’era la coscienza opposta di chi sentiva minacciati i propri interessi.
E poi voglio sottolineare un’altra cosa sulla forma del referendum, in particolare per quello sulla cannabis ma che vale anche per quello sull’eutanasia: l’importanza dei social network. Le firme sono arrivate in larga parte da una fascia di utilizzatori assidui dei social network. Io non ho mai visto così tanta partecipazione di giovani e giovanissimi: i nati dopo il 2000 hanno firmato in massa e lo hanno fatto perché c’è stato un collegamento attraverso i social e un grande senso di condivisione di queste battaglie per cui questi ragazzi firmavano e poi dicevano agli amici “andate a firmare perché è una cosa importante”, cosa che la mia generazione di trentenni non ha fatto o ha fatto in misura molto minore, non essendoci proprio questa abitudine culturale. Questa partecipazione incredibile delle giovani generazioni fa ben sperare per tutto ciò che riguarda le eventuali campagne future.
Adesso cosa succede? Quanto dobbiamo aspettare prima di poter votare?
Per votare il referendum sulla cannabis ci sarà da aspettare il parere della Corte costituzionale e secondo me i tempi potrebbero essere anche abbastanza lunghi perché si ritroveranno parecchi quesiti da discutere: è stata una stagione particolarmente ricca di referendum, quindi la Corte avrà di che lavorare. Potremmo aspettarci la votazione in primavera.
Cosa dovremo aspettarci nei prossimi mesi dal dibattito mediatico italiano secondo te?
Quello che mi aspetto è che non verrà pubblicizzato molto. Ad ogni modo, per il bene del Paese e delle istituzioni democratiche, ciò che io mi auguro sarebbe che il servizio pubblico si faccia carico della campagna informativa per i cittadini. Si spera anche che lo Stato garantisca, come in Svizzera per esempio, uguale spazio ai fautori del sì ed ai fautori del no negli spazi mediatici pubblici. Riguardo la campagna per il sì ci sarà parecchio da lavorare e dovremo aspettarci parecchi attacchi da parte dei detrattori riguardo al modo in cui è formulato il referendum, che è molto esposto alle critiche, perché uno comincerà a dire “beh allora se uno viene fermato con 200 chili di marijuana viene lasciato libero perché la marijuana non è sanzionabile”, oppure riguardo la storia della patente, che scritta così sembra che uno possa fumare e guidare, mentre ovviamente non è questo: il referendum abolisce il ritiro automatico in occasione del possesso della sostanza. Chiaramente il reato che riguarda il codice stradale di guida in stato di alterazione psicofisica rimane e quindi il problema non si pone.
Poi, da parte degli organizzatori, bisognerà creare con largo anticipo una rete di persone sui territori. Per “Eutanasia legale” questa rete ormai esiste ed è attiva e c’è un così vivo entusiasmo che non ci sarà più di tanto bisogno. Secondo me già da gennaio-febbraio sarà opportuno cominciare a costruire questa rete di contatti per organizzare la campagna, partendo con pochissimi soldi, anzi direi da zero, e puntare all’autofinanziamento. A cominciare da questo, andranno fatti dei seri interventi sul territorio, il che vuol dire fissare conferenze stampa e produrre della documentazione, oltreché organizzare convegni, dibattiti pubblici e coinvolgere personalità anche dal mondo universitario e professionale e gli stessi magistrati, impossibilitati molto spesso a svolgere il loro lavoro perché devono stare lì a correre dietro ai “ladri di caramelle”. Questo secondo me verrà fatto in misura limitata, ma è la cosa più importante.
Il raggiungimento del quorum è il requisito fondamentale per la riuscita del referendum. Quanto sarà facile da raggiungere?
Più facile del solito perché ci sono i referendum di Salvini. Se non ci fossero stati quelli, ci sarebbe stato un dibattito interno fra i detrattori per decidere se puntare sull’affossamento del referendum, cioè non mandare i cittadini al voto con l’oscurantismo o fissare le date a metà agosto. In questa circostanza, in cui i diversi referendum saranno accorpati, dovranno fare una seria campagna per il no, il che significa invitare i cittadini ad andare a votare. Quindi anche loro parteciperanno al gioco del referendum, per cui il raggiungimento del quorum non mi preoccupa particolarmente.
Quindi, in chiusura, quali sono secondo lei gli orizzonti futuri per l’Italia? Questa svolta liberale inaspettata aprirà la strada a nuovi allargamenti dei diritti civili oppure non ne sentiremo parlare per molto tempo?
Tutti i grandi successi sono stati accolti con grande entusiasmo, per esempio il voto sull’aborto o sul divorzio. Questi sono stati dei passaggi fondamentali della nostra Repubblica e chi ha partecipato se ne ricorda con grande entusiasmo. Poi effettivamente tutto è ricaduto un po’ nella scarsa partecipazione e scarsa sensibilità. Però, soprattutto l’età dei firmatari e l’atteggiamento culturale dei firmatari giovani e giovanissimi mi fa ben sperare per il futuro, anche per i prossimi grandi temi come l’ambiente.
Ci sarà modo di creare maggiore partecipazione politica anche cavalcando l’onda di questi referendum: un elemento importantissimo è stato che sui territori in cui c’erano parecchie persone anziane con esperienza e pochi giovani inesperti nel condurre una raccolta firme si è creato un passaggio di consegne dove tanti ragazzi e ragazze hanno imparato come si svolgono i passaggi burocratici. Questo ha creato anche una maggiore cultura delle istituzioni, che è quello che più spaventa secondo me il potere politico al di là della cannabis e dell’eutanasia. Ciò da cui sono più spaventati è che i cittadini effettivamente sappiano come utilizzare gli strumenti politici a loro disposizione.