Cos’è il “Modello Riace” e due parole sulla sentenza di condanna di Mimmo Lucano
Scrivo questo articolo il 3 ottobre 2021, la giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, ed assume quindi per me un’importanza maggiore. Scrivo e sento l’importanza del tema migratorio nella mia vita e degli elementi susseguitisi nel dibattito italiano, sempre più degradato dall’indifferenza, dal rigetto volontario di soffermarsi ulteriormente sull’argomento. Molti giornalisti che scrivono di migrazione si considerano figli di questo giorno di 8 anni fa, o meglio della strage consumatasi allora, inghiottendo 368 persone in mare, e che cambiò per sempre il destino del dibattito sulla compagine migratoria: è il pensiero di Valerio Nicolosi, giornalista e fotoreporter.
La mia sensibilità è maturata dopo, nel 2018, quando la destra iniziò a gonfiare la bolla mediatica dell’immigrazione e generare paura mentre io trovavo delle risposte alla devastazione della propaganda. A quel terrorismo mediatico si contrapponevano delle verità (innanzitutto i dati) e delle esperienze e mi piaceva diffonderle, divulgarle e provare a spazzare via quella superficialità seminata rozzamente. Mimmo Lucano, il “modello Riace”, erano e sono tuttora delle risposte in atto criminalizzate dal potere, allora “solo” politico. E oggi?
“Modello Riace”, cos’è? Le politiche di Mimmo Lucano in merito all’immigrazione iniziano nel 1998, quando sbarcarono a Riace Marina dei rifugiati curdi. Lucano, allora tecnico di laboratorio, e l’associazione Riace Futura aprirono le porte del paesino calabro ai richiedenti asilo, ripopolando le case abbandonate dai riacesi emigranti e rivitalizzando un tessuto urbano alla deriva e che avrebbe condannato il borgo di Riace, come già molti paesini del sud Italia, all’inesorabile svuotamento. Tuttavia l’accoglienza rimane fine a se stessa se non è coadiuvata dalle giuste misure di inserimento sociale: così Lucano intuì la necessità di un’integrazione sostanziale dei rifugiati col territorio riacese e italiano. Dal 1999, Lucano aprì le scuole ai migranti, istituendo corsi di lingua, e finanziò micro-attività per creare lavoro, strappando i migranti alla manovalanza caporale e mafiosa. Molti migranti hanno lasciato Riace mentre alcuni sono rimasti, diventando abitanti di un borgo rinato grazie al buon governo. Questo è il modello Riace: ravvivare i territori, oggetto di un esodo costante, accogliendo i migranti ed inserendoli attivamente nel tessuto sociale, strappandoli agli interessi illeciti o dei caporali-schiavisti. Un paradigma ragionevole e contrario alle politiche passive propugnante dall’emiciclo destro del Parlamento il quale “chiuderebbe i porti”, salvo poi non poterlo fare per via del diritto internazionale. L’esperienza riacese inverte il concetto di gestione del fenomeno migratorio (che è strutturale e non una “crisi”) in cui lo Stato, o meglio le municipalità e gli enti locali, svolgono un ruolo attivo e contrastano il laissez-faire umanitario, di chi bloccherebbe anche i centri d’accoglienza per lasciare i rifugiati al degrado (delle nostre città), ed economico, per chi ritiene il mercato capace di assorbire soggetti a bassa o bassissima scolarizzazione senza che vengano ridotti alla disumanità o spinti alla delinquenza dall’estrema povertà.
Il “modello Riace” non è stato un esperimento ma un’esperienza collaudata:
“Si calcola che in 17 anni siano passati almeno 6mila richiedenti asilo provenienti da oltre 20 Paesi del mondo. E molti di loro hanno deciso di rimanere in questo piccolo borgo arroccato sulle pendici a 7 chilometri dal mare Ionio.” (Alessandro Sgherri, ANSA)
“Hanno condannato Mimmo…”
La notizia della condanna, di questa condanna, pronunciata dal Tribunale di Locri ha sorpreso tutti e sconcertato molti, ancora prima di riuscire a leggerne le motivazioni. Ha distrutto la speranza di un uomo, diventato simbolo di una battaglia di resistenza e umanità, e di chi ne sostiene la forza morale e l’ingegno gestionale. Ha, inoltre, riaperto la diatriba faziosa e poco proficua tra sostenitori di Mimmo e detrattori di Mimmo, come se il tormento di questa sentenza fosse solo il giudizio sulla persona di Lucano, i cui legali appelleranno la sentenza e quindi sarà (speriamo presto) nuovamente soggetto a decisone della Corte. Tuttavia la sentenza del Tribunale ha, soprattutto, criminalizzato l’aiuto, l’inclusione e la solidarietà dell’essere umano verso l’essere umano in difficoltà: la Corte ha rigettato l’impianto accusatorio dei PM (l’accusa si è addirittura detta dispiaciuta per l’entità della pena), ed ha ridisegnato i capi d’imputazione raddoppiando la pena detentiva nei confronti di Mimmo Lucano (13 anni e 2 mesi) e definendo la gestione di Lucano un’associazione a delinquere volta al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (nonostante i capi d’imputazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e dei “matrimoni di comodo” siano stati rispettivamente rigettati e ritirati dai PM). Francesco Merlo ha scritto su Repubblica attorno ad un tema centrale che permette di comprendere meglio il peso della sentenza, quale truffa non prevede un guadagno per il truffatore? Lucano non ha i soldi neanche per pagare gli avvocati e nella sua gestione tutte le irregolarità amministrative rientravano all’interno della gestione dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti, non sono stati distratti fondi pubblici per fini personali. Eppure le irregolarità, ammesse dallo stesso Lucano e giudicabili dalla Corte dei Conti, giustificherebbero un giudizio sistematico, inquisitorio dell’intera esperienza municipale virtuosa e la cui costituzione prescinde dagli illeciti amministrativi che per un tratto della sua durata (non tutta) l’hanno alimentata: come ha evidenziato Gad Lerner sul Fatto quotidiano, “equiparare ad “associazione a delinquere” la riconversione di un piccolo paese calabrese in vitale luogo di convivenza aperta ai migranti, è al tempo stesso un’aberrazione giuridica e un messaggio devastante. La prima verrà probabilmente mitigata nei successivi gradi di giudizio; ma la criminalizzazione della solidarietà rappresentata da questa condanna spropositata (più alta di molte inflitte a esponenti della ‘ndrangheta) è una ferita non rimarginabile inflitta a tutti coloro che praticano la solidarietà sociale”. Questa è una delle maggiori assurdità di questa pronuncia, che appare sempre di più come una c.d. sentenza suicida, fatta per essere smentita ma gonfiando mediaticamente l’oggetto della pronuncia. Un ultimo elemento della sentenza risulta incredibile: questa “associazione a delinquere” avrebbe avuto lo scopo di garantire a Lucano consenso elettorale. In primis è un’ovvietà garantire un buongoverno della città che si è offerti di amministrare. Si tratta di un’azione politica, elettorale, di ricerca del consenso. Se fosse il contrario non avrebbe senso candidarsi, amministrare, spendersi per la collettività propugnando delle idee che si ritengono giuste e miglioratrici della comunità. In secundis Mimmo Lucano, successivamente a quel 2 ottobre 2018, quando giunsero gli avvisi di garanzia della Guardia di Finanza, non capitalizzò la sua popolarità per fini elettorali, rifiutando di candidarsi per le elezioni europee del 2019 e solo quest’anno, senza quelle attenzioni nazionali che cinsero la sua figura 4 anni fa, si è candidato con De Magistris al consiglio regionale della Calabria. La Corte sembra fare un processo alle intenzioni piuttosto che un processo sui fatti.
“…Mimmo è vivo!”
“Tutti noi che ci siamo in qualche modo fatti belli col sogno di Riace non siamo come gli apostoli che si danno alla fuga davanti alla croce? Forse ogni Buona Novella ha bisogno di un sacrificio, ma l’applicazione della fraternità dovrebbe essere un principio civile e civico, non una religione.” (Vinicio Capossela, in un post su Facebook in cui parla di Mimmo Lucano)
Sciascia ne “l’affaire Moro” evidenziava come Aldo Moro, sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1978, ancora vivente, fosse già pianto dal suo partito: la Democrazia Cristiana lo aveva prematuramente martirizzato, sacrificandolo alla storia della DC e spingendolo, quindi, fuori dal presente politico. Un passato che parla (qualora ascoltato) ma solo ai posteri. Vinicio Capossela paragona Lucano alla figura evangelica di Cristo, dapprima acclamato e poi crocifisso, e mi ricorda Sciascia e il martirio di Aldo Moro, il quale scriveva lettere mentre diventavano immediatamente lettera morta: il messaggio di Lucano ci ha attraversati ma non siamo riusciti ad interiorizzarlo. Gli elettori, le forze politiche sicuramente, non hanno capito nulla di Mimmo Lucano, del “modello Riace”, e nemmeno adesso, col nostro idolo sopra crociati e atei, comprendiamo che Mimmo Lucano è un uomo. Solo un uomo solo. Un uomo che ha cambiato il modo di concepire l’accoglienza, unendola all’integrazione e parlando di lavoro, di società, di futuro per un territorio dissipato a persone senza una prospettiva, quindi rendendola nuovamente e finalmente umana. La risposta della politica, ossia del legislatore, è stata nulla. Da quel 3 ottobre 2013 le migrazioni sono una tematica permanente, ma di cui si parla a vanvera se 5 anni dopo Lucano viene indagato per delle leggi inadatte e nel 2021 si ha ancora fatica nel capire ciò che è successo. O meglio, ciò che non è successo, ciò che la sinistra non ha fatto, tutta la politica rinnovata che non ha saputo fornire, non ha avuto il coraggio di sposare e oggi non ha più la credibilità di difendere, nemmeno a Riace. Una rivoluzione osservata dai partiti con la lente d’ingrandimento, sulla piccola realtà locale di Riace, e di cui non si è voluto cogliere il potenziale. Così il “modello Riace” si è scontrato con le norme italiane, un sistema della gestione dell’immigrazione burocratizzato, macchinoso ed estremamente centralizzato. Eppure sarebbe bastato sedersi ad ascoltare le storie di integrazione e scommettere nella solidarietà, per capire che aprire le porte è essenziale per respirare.
Si scrive Lega ma si legge Lega Nord
Mentre a sinistra il vuoto è un silenzio insopportabile, a destra il rumore delle parole è assordante. La destra contemporanea odia la solidarietà, vorrebbe cancellare il fenomeno migratorio e intanto fa un’eterna opposizione senza dare risposte realistiche: quindi odio contro chi protende la mano ai migranti e indifferenza rispetto al destino di centinaia di migliaia di persone, siano essi irregolari-invisibili, richiedenti asilo, rifugiati. Sarebbe un’ovvietà affermare che l’Italia nel 2018 assunse una rotta reazionaria in merito alla gestione nazionale del fenomeno migratorio, come nel dialogo europeo sul tema (le numerose assenze del nostro ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ai tavoli europei) oppure la criminalizzazione delle Ong impegnate in mare (la bufera mediatica contro Carola Rackete), ma non è scontato analizzare la criminalizzazione e delegittimazione del “modello Riace” da parte del maggiore partito di destra, ossia la Lega. La totale negazione degli effetti positivi del “modello Riace” è una posizione contro-ideologica ma che nasconde un secessionismo aberrante, perché è nella natura dell’esperienza riacese la territorialità e l’autonomismo municipale e cittadino, ossia lo stesso che al nord ha dato origine alla stessa Lega (Nord) e che Salvini rivendica come battaglia politica (l’autonomia differenziata delle Regioni del nord-Italia). Se, per Matteo Salvini, le entità locali del nord sono da valorizzare, quelle del sud, quando estrinsecano la loro autonomia senza fare capo alla Lega, sono criminali e devono essere cancellate. Il paradosso ideologico del subdolo autonomismo leghista, il quale nasconde un secessionismo puro che non accetta un’alternativa strutturale che nasca dal meridione per il meridione, preferendovi il deserto delle cittadine svuotate e l’assenza di soluzioni. Solo slogan.
PS: anche a destra si contano sostenitori del “modello Riace”, come Vittorio Sgarbi: “almeno lì lavoravano”. Touché.