Il suicidio di Jan Palach
Si parla spesso di un Sessantotto antiamericano, meno di un Sessantotto antisovietico.
Fui incuriosito per la prima volta da questo movimento quando mi capitò fra le mani una lettera di un giovane, tale Jan Palach, nella quale annunciava il motivo del proprio suicidio.
Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy [notiziario sovietico]. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà.
Firmato: La torcia umana n. 1. Decisi di approfondire la storia di Jan, all’epoca poco più che ventenne, e della “nostra causa” a cui alludeva. In un clima mentale di grande eccitazione leggevo, affascinato, la terribile storia di Jan Palach e tanto me ne lasciai assorbire che quasi di getto ne stesi una ricostruzione.
Partiamo dall’inizio però. Era il 1968, per molteplici motivi un anno di svolta in tutto il mondo; e sembrava lo fosse anche per la Cecoslovacchia: dopo anni di contestazioni nel paese il 5 gennaio divenne segretario del Partito Comunista Alexander Dubček che avviò una stagione di riforme volte a instaurare un “socialismo dal volto umano” promuovendo un processo di destalinizzazione e liberalizzazione. Il partito unico continuava a esistere[1] ma vi era maggiore respiro e libertà di espressione, si ridava voce all’intera società aprendola a nuove innovazioni sociali nel campo scientifico e della tecnica. La sua attività riscosse un notevole consenso popolare, particolarmente fra gli studenti che speravano da tempo in una modernizzazione delle strutture universitarie. Praga si stava risvegliando: era arrivata la sua Primavera.
Nello stesso anno in Italia usciva nei negozi un nuovo gioco da tavolo, RisiKo. E mentre i ragazzi simulavano una guerra a colpi di dadi, l’Armata Rossa irrompeva nel territorio cecoslovacco, in un’operazione congiunta con le truppe del Patto di Varsavia.[2] Il nuovo clima riformista, infatti, non era visto di buon occhio da parte di Mosca, che decise di intervenire per ripristinare al potere la corrente del partito filostalinista. Dubček venne destituito e al suo posto venne nominato Gustáv Husák.
In questo contesto si colloca l’atto estremo di Jan Palach.
Jan era nato nel 1948 a Praga, nel 1968 si era appena iscritto alla Facoltà di Arti nella sua stessa città natale. Gli amici lo descriveranno come una persona tranquilla, razionale e seriosa, “sembrava già un filosofo”. Si aggregava volentieri a dibattiti su temi politici ed era molto attento all’evolversi della situazione politica del suo paese e, come molti suoi compatrioti e amici, provava una forte senso di insoddisfazione nei confronti dei metodi imposti dai sovietici. Varie furono le ribellioni da parte dei cecoslovacchi nei confronti degli invasori sovietici, i quali facilmente repressero tutte le proteste. La popolazione ormai si stava abituando, la Primavera di Praga era stata solamente un sogno durato qualche mese che ben presto tornava a essere l’incubo di tutti i giorni. Per Jan però non era ancora il momento di arrendersi, egli doveva convincere le persone a non mollare, ma in che modo? E fino a che punto?
Il giorno 16 Gennaio 1969 era un giovedì. Intorno alle 14:00 Jan si dirigeva verso piazza San Venceslao a Praga; giunto sulla piazza appoggiò la sua borsa a terra, annusò il liquido infiammabile che aveva portato con sé e poi se lo rovesciò cospargendolo su tutto il corpo. Poi si diede fuoco. In fiamme, la “torcia umana” cominciò a correre lungo tutta la piazza, andando anche a sbattere contro un tram e cadendo a terra.
Jan Hus, di nuovo, sul rogo bruciava, all’orizzonte del cielo di Praga… un verso che suona familiare. Si tratta della canzone scritta da Guccini e incentrata sui fatti della Primavera di Praga. Ma perché “di nuovo”, cosa significa? All’interno della canzone non sono dopotutto così espliciti i riferimenti al gesto di Palach, che tanto colpì il cantautore, tranne forse nel suddetto verso in cui si accosta lo studente a un’altra torcia umana che illuminò la notte di Praga qualche secolo prima: Jan Hus, teologo, anch’egli originario della Boemia. Considerato un anticipatore della Riforma luterana fu scomunicato dalla Chiesa di Roma per la denuncia, presente nel suo testo De Ecclesiae, della corruzione e dei crimini compiuti dal clero. Venne condannato al rogo dal concilio di Costanza nel 1415.
In realtà, a ispirare l’atto estremo, come ammesso dallo stesso studente boemo, non fu Hus ma Thích Quảng Ðức, un bonzo vietnamita che nel 1963 si diede fuoco in segno di protesta contro l’oppressione nei confronti della sua comunità religiosa attuata dal presidente cattolico Ngô Đình Diệm.
Ma Jan ci riporta alla mente anche un altro modello di foscoliana memoria; non è difficile immaginarselo, mentre si cospargeva di petrolio, ripetersi tra sé e sé “Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia”. Come Jacopo Ortis anch’egli non poteva sopportare il modo con cui la sua patria veniva trattata, il modo con cui le riforme liberali, alle quali i cecoslovacchi guardavano con fiducia, venivano calpestate dai cingolati sovietici.
Diversi furono i tentativi di bloccare le fiamme, finché, con gravi ustioni, non venne portato in ospedale. Qui, in fin di vita e ansimando di dolore, venne intervistato:
Perché l’hai fatto?
Ho voluto esprimere il mio dissenso a ciò che sta succedendo adesso e volevo risvegliare la gente.
Ho capito. Esprimere il dissenso e risvegliare la gente e contro che cosa precisamente?
Bruciarsi.
Si, bruciarsi. E quando e a quale condizione smetterete?
Quando sarà abolita la censura…
E cos’altro?
…e il divieto di diffusione di notizie.
Tutti sono interessati a questo. Quello che hai fatto è già abbastanza, si verrà a saperlo in tutto il mondo.
Non dovremmo essere troppo presuntuosi. Non dobbiamo avere un’opinione troppo grande di noi. L’uomo deve lottare contro quei mali che può affrontare con le sue forze.
Mostra Meeting 2008 – Intervista a Jan Palach – Primavera di Praga 1969 – YouTube
Decedette due giorni dopo. Il medico chirurgo che lo operò disse:
Sapeva che stava per morire, e voleva che la gente capisse il motivo del suo gesto: scuotere le coscienze e mettere fine alla loro arrendevolezza verso un regime insopportabile. Per tutto il tempo che rimase in vita nel reparto grandi ustionati egli desiderava sentire che il suo sacrificio non era stato vano. Il mondo non dovrebbe dimenticarlo.
Da Petr Vyoral, Jan Palach. Praga 1969. Una torcia nella notte, p.9.
Ai funerali parteciparono in seicentomila, segno che il suo gesto arrivò effettivamente al cuore delle persone. Su richiesta degli studenti venne sepolto nel cimitero di Olšany a Praga. Ma agli occhi dell’autorità la tomba appariva come uno scandalo “perché la gente vi depositava troppi fiori, contro le norme igieniche” tanto che decisero di riesumare la salma e cremarla. Tornò al suo sito originario solo nel 1990.
Il gesto di Palach è incomprensibile, straordinario. Rifugge dai comuni giudizi etici. Desta emozioni forti, dà adito a molti interrogativi, a polemiche e spesso a giudizi contrastanti. È condannato e osannato.
Jindřich Šrajer [2009]
Da sempre, il travaglio a cui si sottopose Jan Palach ha fatto riflettere sugli interrogativi della vita, sul chiedersi se l’uomo abbia il libero arbitrio di decidere della sua vita, di sacrificarla per gli altri allo scopo di risvegliarli dalla rassegnazione allo status quo e di farli agire secondo il proprio piano politico.
Alcuni giorni prima della sua morte, Jan scrisse una lettera ritrovata nel 2009 destinata a tutti gli studenti, chiamandoli a raccolta in una protesta contro la censura e il taglio delle libertà civili presso la sede di una stazione radio. Per lo storico Petr Blažek essa è “l’ultimo manifesto di Palach” e ci mostra come Jan avesse già preso in considerazione differenti forme di protesta: dall’occupazione della stazione radio all’autoimmolazione.
Nei giorni e nei mesi successivi decine di torce umane (sia dentro che fuori la Cecoslovacchia) si accesero a illuminare l’ora buia di Praga seguendo l’esempio di Jan. La lettera riportata all’inizio fa riferimento a un gruppo di persone intenzionate a compiere un gesto estremo per risvegliare le coscienze, ma a oggi non è del tutto comprovata l’esistenza di tale gruppo per il fatto che non tutti gli imitatori di Jan lo conoscevano realmente o erano spinti da fervide convinzioni politiche come nel suo caso. Tuttavia, questa Palach-Fieber colpì operai (come Evžen Plocek) e studenti come il diciottenne Jan Zajic (“la seconda torcia umana”), il quale si espresse così a giustificazione del suo suicidio: Non lo faccio perché non mi piace più la vita ma perché la rispetto troppo […] Non lo faccio per essere compianto o per diventare famoso, né perché sono impazzito. Ho deciso di compiere questo gesto perché vi facciate coraggio e non permettiate a quattro dittatori di calpestarvi!
Per approfondire
Andriolo Karin, The Twice-Killed: Imagining Protest Suicide, American Anthropologist, vol. 108, no. 1, 2006, pp. 100–113. www.jstor.org/stable/3804736
Graitl Lorenz, “The Dead Do Not Lie”. Die Bedeutung Des Todes Im Politisch Motivierten Suizid Im 20. Und 21. Jahrhundert, Historical Social Research / Historische Sozialforschung 34, no. 4, 2009, pp. 286-97. http://www.jstor.org/stable/20762413
Vyoral Petr, Jan Palach. Praga 1969. Una torcia nella notte, Ferrogallico, 2019.
https://www.janpalach.cz/it/default/index
Funerale di Jan Palach | La memoria di una nazione (pametnaroda.cz)
La reazione del pubblico alla | La memoria di una nazione (pametnaroda.cz)
Mostra Meeting 2008 – Intervista a Jan Palach – Primavera di Praga 1969 – YouTube
Passato e Presente, La Primavera tragica di Jan Palach su RaiPlay.
Ci sarebbe poi un film biografico diretto da Robert Sedlacek, intitolato proprio Jan Palach.
[1] Anzi, venivano tolti da posizioni di potere quei comunisti vicini alla visione stalinista.
[2] Con la scusa “Se un gruppo di comunisti cecoslovacchi chiede aiuto, l’armata sovietica correrà in aiuto”. E a chiedere aiuto furono proprio i comunisti cecoslovacchi rimossi da Dubček.