Marmo e ingegno, così un uomo ha costruito l’indimenticabile
Quante grandi architetture del passato continuano a stupirci con la loro incredibile resistenza al tempo, alle calamità, alle azioni dell’uomo? Tra queste ce n’è senz’altro una che, con la sua imponenza e con l’ingegno che le ha dato vita, è particolarmente affascinante: la cupola del Brunelleschi, la grande opera che sovrasta Firenze e corona da più di sei secoli la cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Esistono molti modi per approcciarsi allo studio della cupola, alcuni troppo approfonditi per dei neofiti, ma un compendio di facile accesso è offerto da Ross King nel suo saggio La cupola di Brunelleschi. La nascita avventurosa di un prodigio dell’architettura e del genio che lo ideò (edizione BUR).
Ripercorrere questo libro sembra, a tutti gli effetti, un viaggio attraverso il tempo e lo spazio: pur non mancando in perizia terminologica, infatti, l’autore riesce a semplificare i concetti più tecnici alla base della costruzione, sviluppandoli in maniera piacevole e scorrevole. In questo articolo, quindi, ci caleremo nell’atmosfera antica che ha visto sorgere un tale capolavoro.
Siamo nei primi anni del periodo che la storia dell’arte classificherà come Rinascimento fiorentino. La piccola ma fiera Repubblica è assillata dai suoi maggiori nemici, tra i quali spiccano l’accanito e incombente ducato di Milano e la sua potenza militare. Eppure, nel mezzo di crisi politiche e difficoltà belliche, l’arte a Firenze è in fermento. Nel 1401, con il concorso per la realizzazione della porta nord del battistero, due grandi artisti si fronteggiano in una finale di altissimo livello: Sono Lorenzo Ghiberti, bronzista esperto, e Filippo Brunelleschi, orologiaio e orafo che, nel giro di qualche anno, studierà la prospettiva in maniera rivoluzionaria. In questo momento, però, egli non è altro che un artista un po’ arrogante, come potremmo dedurre dal modo in cui affronterà le sue commissioni. Non vince la competizione e, quando in seguito dovrà lavorare ancora a fianco del rivale, si assicurerà di lasciarlo quanto più possibile nell’ombra, per poi estrometterlo completamente.
Facciamo ora un salto di qualche anno e giungiamo al 1418. L’Opera del Duomo ritiene ormai giunto il tempo di completare una cattedrale che è in costruzione dal 1296, quando Arnolfo di Cambio ne ha “posato la prima pietra”, e indice un concorso:
Chiunque desideri progettare un modello per la volta della cupola principale della cattedrale – per l’armatura, impalcatura o altro, o qualsiasi strumento di sollevamento pertinente alla costruzione e al perfezionamento di detta cupola o volta – della cui costruzione è responsabile l’Opera del Duomo, potrà farlo entro la fine del mese di settembre. Al progettista prescelto sarà versata la somma di 200 fiorini d’oro.
Sorge spontanea, però, una domanda: possibile che in tutti quegli anni nessuno avesse provato a coronare la cattedrale? Ebbene, nel 1366 il capomastro di Santa Maria del Fiore è Giovanni di Lapo di Ghini e, proprio a lui, viene domandato dall’Opera di costruire un modello per la cupola; inoltre, un progetto parallelo viene affidato a Neri di Fioravanti. Il primo sceglie la tradizione e, ad una struttura gotica, aggiunge solo contrafforti esterne per scaricare il peso dell’enorme volta. Il secondo, invece, sviluppa un progetto più ambizioso: prevede catene di pietra o legno interne alla struttura che, quasi come un cerchio di ferro intorno a una botte, le girino intorno tenendola insieme. In questo modo, infatti, le tensioni sarebbero state tutte assorbite dalla struttura stessa e non vi sarebbero stati ulteriori supporti visibili. La cupola, se costruita, avrebbe avuto un diametro di 44 metri e si sarebbe elevata da 52 metri di altezza: le pareti della cattedrale erano già altre 43 metri e ad esse ne sarebbero stati aggiunti 9 di tamburo (che doveva fungere da piedistallo per la volta stessa). Curiosamente, già il modello del Fioravanti immaginava la costruzione di due cupole, una interna e una esterna, ispirata e delle strutture dell’architettura islamica in Persia; sarebbero, poi, state ogivali invece che emisferiche. In termini tecnici, la cupola doveva essere una volta ottagonale composta da quattro volte a botte intersecanti. È questo il piano che più piace all’ambiziosa Firenze, ma è anche quello che genera più problemi. Nonostante il modello realizzato dall’architetto diventi quasi un oggetto di culto per i costruttori, sarà solo nel 1418 che un grande maestro riuscirà ad offrire un progetto per renderlo reale.
Prima, però, viene compiuto un viaggio. Filippo Brunelleschi, tra il 1402 e il 1404, è a Roma con Donatello a studiare le rovine antiche. Ciò che più deve averlo incuriosito è senz’altro la cupola del Pantheon, con il suo diametro interno di 43,20 metri e la sua altezza di 44, priva di supporti esterni visibili e ben preservata. Era questa struttura a conservare i segreti degli antichi, le “formule” per neutralizzare le forze che agiscono nell’architettura, forze che possono essere divise in energie di spinta e attrazione, rispettivamente denominate di compressione e di tensione. Per poterle “battere”, ogni architetto deve essere in grado di progettare una struttura in cui, contrapposte tra loro in giochi di azione e reazione, tutte le pressioni siano convogliate verso il suolo. Una cupola non avrebbe subito solo spinte verticali, ma ne avrebbe ricevute anche dall’esterno, dall’energia definita tensione della curva che agisce come quando, su un palloncino, mentre lo si sta gonfiando, si esercita una pressione dall’alto. Pietra e mattone alle spinte laterali non rispondono bene. I romani, avendo acquisito una buona conoscenza di queste tensioni, risolsero il problema nel Pantheon costruendo mura massicce spesse 7 metri, rastremanti in alto a soli 60 centimetri. Nella parte superiore della calotta utilizzarono materiali da costruzione più leggeri, come la pomice, e decorarono l’interno a cassettoni che ne avrebbero alleggerito la portata. Per quanto ingegnoso, però, il progetto aveva i suoi limiti: una serie di fratture visibili lungo la superficie interna della cupola. Queste rotture erano riscontrabili anche in altre architetture e senz’altro Brunelleschi aveva avuto modo di studiarle.
Quando nel 1418 viene imbandito il concorso che abbiamo citato qualche paragrafo fa, Brunelleschi ha la sua grande occasione. Il modello della cupola rimane indiscusso: deve essere quello del 1367 di Fioravanti. Tuttavia, rimane il problema è la sua esecuzione. I dilemmi fondamentali sono due: come costruire le catene di sostegno e se e come realizzare una centina, cioè un’intelaiatura provvisoria sufficiente a sostenere la muratura per tutto il tempo necessario affinché la malta si rapprenda (problema tanto per le dimensioni quanto per il dispendio di energie economiche). Brunelleschi ha una soluzione: non usare la centina. La proposta, mai realizzata prima, è sorprendente, ma suscita molta diffidenza soprattutto nel momento in cui, chiamato a spiegare i dettagli tecnici del progetto al Gran Consiglio, l’architetto si rifiuta di divulgarli, troppo ansioso che qualcuno possa rubare il segreto della sua genialità. Vasari racconta che ne nasce una discussione talmente aspra che, alla fine, Brunelleschi viene portato di peso fuori dalla sala dell’udienza. Qualcosa però, di cui non si hanno notizie certe, spinge il Consiglio a ripensare al progetto. Vasari racconta il celeberrimo aneddoto dell’uovo, pur ammettendo egli stesso di esserne venuto a conoscenza solo per sentito dire:
il che non volle fare, ma propose questo a’ maestri e forestieri e terrazzani, che chi fermasse in sur un marmo piano un uovo ritto, quello facesse la cupola, che quivi si vedrebbe l’ingegno loro. Tolto dunque un uovo, tutti qu’ maestri si provarono per farlo star ritto, ma nessuno trovò il modo. Onde, essendo detto a Filippo ch’e’ lo fermasse, egli con grazia lo prese e datoli un colpo del culo in sul piano del marmo, lo fece star ritto. Rumoreggiando gl’artefici che similmente arebbono saputo fare essi, rispose loro Filippo ridendo che gli arebbono ancora saputo voltare la cupola, vedendo il modello o il disegno.
Intanto, una serie di altri progetti viene scartata e, alla fine, sorprendentemente, l’altro finalista è nuovamente Ghiberti. Per un anno, però, la situazione languisce. I motivi sono vari e non ci dilungheremo a elencarli tutti, basti sapere che nel 1420 una commissione ad hoc nomina entrambi capomastri a Santa Maria del Fiore. Convinto di poter superare nel tempo il rivale, che era privo di alcuna esperienza architettonica, Brunelleschi si arrende alla collaborazione forzata e i lavori cominciano.
La cupola sarebbe stata in pietra per i primi 14 metri, poi in mattoni e tufo e, infine, sarebbe stata composta di una pietra leggera e porosa originata dalle ceneri vulcaniche. Incorporate alla struttura muraria, inoltre, ci sarebbero state delle catene. Il progetto è ben avviato, ma i problemi da risolvere sono ancora tanti. Più volte la diffidenza dell’Opera del Duomo rallenterà i lavori. Ad un certo punto, dopo una lunga discussione con l’Opera e con il capomastro rivale, Brunelleschi progetta delle catene in legno, nel suo progetto non necessarie. Quando arriva la materia prima necessaria a realizzarle un grave malore lo prende, tale da costringerlo a rimanere lontano dal cantiere. C’è chi crede finga, chi invece immagina sia sul punto di morire. In ogni caso ,la realizzazione delle catene ricade su Ghiberti che fa del suo meglio, ma non riesce del tutto a comprendere i progetti del collega. Appena le catene sono montate, Brunelleschi si riprende, va ad ispezionare il lavoro, lo dichiara inutile e comincia una forte campagna denigratoria nei confronti dell’altro capomastro. Dimostrata l’incompetenza di Ghiberti, riesce finalmente a estraniarlo. Fu senz’altro una vittoria, ma il tempo volle che anche il suo ingegno subisse delle sconfitte.
Nella primavera del 1428 i lavori avanzano senza grossi problemi, ma un inconveniente emerge. Circa un secolo prima era infatti stato deciso che tutta la superficie della cattedrale, escluse le parti in mattoni, sarebbe stata ricoperta di marmo, un materiale non facilmente reperibile nei dintorni di Firenze e, soprattutto, non trasportabile agevolmente. L’Opera del Duomo, in penuria di risorse, indice un concorso per risolvere la situazione ed è qui che, ancora una volta, subentra Brunelleschi costruendo il suo Badalone, un sistema di trasporto fluviale che si sarebbe mosso sull’Arno. “L’uccello d’acqua”, come viene definito, è da subito ridicolizzato e, in effetti, salpato da Pisa nei primi del maggio del 1428 con un carico di 100 tonnellate di marmo, affonda nei pressi di Empoli. Il recupero del marmo si rivela umiliante e quattro anni e mezzo dopo Brunelleschi ancora non è riuscito ad adempiere al contratto. Cominciano dunque i ritardi, anche perché la cattedrale rischia un disastro potenzialmente più serio: sembra che i suoi muri non riescano a sostenere il pesante carico della cupola. L’Opera del Duomo consulta il suo capomastro e questi propone di ristrutturare l’intera chiesa, modificando il progetto di Fioravanti per renderlo più simile alla costruzione (sempre del Fioravanti) di Santa Trìnita. Le navate laterali sarebbero state corredate di una serie di cappelle. Anche la Storia, infine, si mette di mezzo: nel novembre del 1429 i mercenari fiorentini attaccano Lucca, contro ogni previsione la campagna si fa lunga ed estenuante e anche il cantiere della cattedrale languisce.
Ancora una volta tralasceremo un gran numero di altre disavventure che rallentano la costruzione. Basti sapere, per curiosità, che nel corso dei mesi successivi Brunelleschi sarà persino arrestato (e poi rilasciato) e la sua fama rimarrà sempre in bilico tra il totale biasimo e l’elevazione a genio assoluto. Infine, il 25 marzo 1436, festa dell’Annunciazione, papa Eugenio IV sfila su una passerella costruita per l’occasione fino alla cattedrale. È accompagnato da sette cardinali, trentasette arcivescovi e nove membri del consiglio fiorentino tra cui è d’obbligo citare Cosimo de’ Medici. Dopo 140 anni di costruzione, la cattedrale viene consacrata… ma la cupola non è ancora del tutto completata. È solo il 30 agosto di quell’anno che viene posata l’ultima pietra e anche la cupola stessa ottiene la sua consacrazione. Alla fine, ha vinto il genio dell’indimenticabile, da quel momento, Filippo Brunelleschi.
Lasciamo ora la Firenze quattrocentesca per tornare ai giorni nostri. Nel suo saggio, Ross King dedica un capitolo sia alla successiva realizzazione della lanterna sia alla celebrazione l’architetto che rese un monumento di tali dimensioni possibile. Così, si conclude un testo completo e dettagliato dei maggiori eventi che hanno dato vita a uno dei monumenti più famosi dei nostri tempi.
Oggi la cupola è visitabile, 463 scalini si attorcigliano tra le due volte per portare i visitatori sulla punto panoramico più incredibile della città. https://duomo.firenze.it/it/scopri/cupola-di-brunelleschi