Il caso Peng Shuai e l’impotenza dell’Occidente
Peng Shuai è una tennista cinese di 35 anni, è stata numero uno del mondo in doppio. Zhang Gaoli ha 75 anni, è stato vice-primo ministro della Repubblica Popolare Cinese fino al 2018 e, soprattutto, è tuttora un membro del Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito Comunista Cinese. I sette membri che lo compongono sono inattaccabili, in quanto rappresentano l’elìte e la leadership del Partito.
Peng Shuai, lo scorso 2 novembre, ha pubblicato su Weibo – il social media più diffuso in Cina – un lungo messaggio in cui accusava Gaoli di molestie sessuali, risalenti a più di dieci anni prima. I due avrebbero poi continuato una relazione extraconiugale consenziente negli anni a venire, ma sono numerose le zone d’ombra in merito. Ciò che invece è avvenuto alla luce del sole e si può riportare con certezza è che il messaggio è stato cancellato dalla piattaforma dopo 20 minuti, l’account di Peng Shuai è stato disabilitato e di lei non si sono avute notizie per diverse settimane. Ogni post sulla vicenda viene automaticamente censurato.
L’inclemente macchina di censura e repressione cinese si è attivata, ma stavolta ha dovuto fare i conti con un’esposizione mediatica inaspetatta e inaudita. Gli screenshot del messaggio sono circolati in rete e, soprattutto Occidente, la notizia è balzata agli onori di cronaca. L’hashtag #MeToo ha contribuito molto alla diffusione della vicenda. La Cina ha provato a eludere la questione pubblicando video fuorvianti e una mail (palesemente fasulla) in cui Peng Shuai dichiarava di essere al sicuro e non menzionava in alcun modo le accuse da lei mosse. Il presidente della Women Tennis Association, Steve Simon, ha preso una netta posizione sulla questione, minacciando una radicale rottura dei rapporti commerciali con la Cina per quanto riguarda il tennis femminile professionistico. Il presidente americano Joe Biden avrebbe persino ipotizzato un parziale boicottaggio delle Olimpiadi di Tokyo da parte degli Stati Uniti. Il 21 novembre c’è stata una videochiamata di trenta minuti tra Peng Shuai e il presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Thomas Bach, in cui la campionessa cinese si è mostrata serena e ha ringraziato per l’attenzione mostrata al suo stato di salute. Si troverebbe a casa sua a riposare. La videocall ha continuato ad alimentare molti dubbi, poiché non è stata fatta menzione delle accuse di violenze mosse dalla stessa Peng Shuai e perché la tennista continua a non essere reperibile. Qualcuno ha ipotizzato addirittura un coinvolgimento del Comitato Olimpico nel teatrino messo in piedi dal Partito Comunista cinese; congettura che potrebbe non essere poi così dissennata, visto che Zhang Gaoli è stato il principale promotore degli imminenti Giochi Olimpici invernali.
Ciò che deve interessare maggiormente di questa storia, oltre ovviamente all’auspicio che Peng Shuai sia effettivamente al sicuro, è la palese sudditanza dell’Occidente nei confronti della Cina. Tra le istituzioni solo il presidente della WTA ci ha messo la faccia, mettendo sul piatto interessi economici vitali per la propria associazione. La questione resta irrisolta e nemmeno un superficiale giustizialismo occidentalocentrico può essere la soluzione. Come richiesto da Steve Simon, tuttavia, è necessaria un’indagine trasparente capace di fare chiarezza. Gli interessi economici devono passare in secondo piano. Per l’Occidente poteva essere un’occasione di mostrare le spalle larghe e, possibilmente, velocizzare la creazione di uno Stato di diritto che sia degno di questo nome anche in Cina. Ma per ora se la sta facendo sfuggire.