FUMETTO GENERE MINORE: “LE TRE FUGHE DI HANNAH ARENDT: La tirannia della verità”
Partiamo con questa immagine introduttiva del romanzo per presentare la protagonista della storia di cui ci occupiamo oggi: Hannah Arendt. In queste pagine, il vignettista Ken Krimstein, già noto per alcuni suoi lavori pubblicati sul The New Yorker e il Washington Post, ci narra alcuni degli eventi più salienti della vita della famosa politologa.
Come avrete già intuito dal titolo, sono qui illustrate le fughe della protagonista e, nello specifico, i suoi esili a causa della persecuzione nazista. Innanzitutto, la Arendt se ne dovrà andare dalla Germania assieme alla madre per una presunta accusa di spionaggio a suo carico, oltre che per l’instaurazione del nuovo regime, e si rifugerà in Francia. In seguito, alla luce della conquista di questo paese da parte dei nazisti, cercherà di scappare il più velocemente possibile (sempre assieme alla madre e al suo secondo marito) verso gli Stati Uniti, sfruttando la confusione della situazione che è, riprendendo dalle vignette del testo, una alleata che svanisce in fretta.
Con questi spostamenti la protagonista cerca di raggiungere la verità, che, stando alle parole di uno dei suoi mentori, è uno degli obblighi che la filosofia deve perseguire per poter dare un senso all’instaurazione di un regime totalitario, all’orrore razionale e burocratico avvenuto nei confronti della comunità ebraica e all’assoluto silenzio dell’Olocausto, che verrà raccontato ad un pubblico più ampio solamente verso gli anni Sessanta.
Oltre alle fughe già menzionate, Hannah deve affrontare i momenti più dolorosi della sua vita privata, come la relazione clandestina con il suo insegnante universitario Martin Heidegger, il quale ha aderito al partito Nazionalsocialista per poi successivamente distaccarsi senza mai prendere una posizione critica sul regime.
Tra gli altri avvenimenti, compaiono anche il fatto di non essere riuscita a salvare una bambina, Natalie Farkas, di cui si era presa l’incarico di organizzare la fuga dall’Europa, il suicidio di un suo amico stretto e la condizione da apolide in cui si trova: a seguito del suo arresto, infatti, le verranno tolte la cittadinanza tedesca e qualsiasi documento che possa permettere la sua identificazione.
Da queste pagine possiamo comprendere fin da subito che la ricerca della verità che la protagonista persegue rende il suo pensiero filosofico e politico molto irriverente, tant’è che riceverà delle critiche addirittura dai membri della comunità ebraica e dai suoi colleghi. L’esempio culmine di questa sua indagine è nel resoconto della vicenda giudiziaria del processo ad Eichmann (militare, funzionario e criminale di guerra tedesco) nel 1961, in quanto non solo pone degli interrogativi esistenziali sulla genesi del male – che è basata sull’assenza di radici, dunque di memoria – ,ma solleva anche delle critiche sull’emissione della sentenza di condanna, in quanto vengono applicate le leggi dello Stato di Israele e non quelle sancite nel diritto internazionale. Nonostante le critiche ricevute, questo suo resoconto (che a seguito diventerà uno dei suoi saggi più celebri, “La banalità del Male”) descrive una verità scomoda: il male si genera nell’inconsapevolezza volontaria e, dunque, dalla decisione di recidere la memoria, nelle situazioni estremamente regolate dalle leggi e dal senso comune. Spesso il “malvagio” non è un personaggio privo di empatia, di razionalità o dotato di capacità straordinarie, ma è l’essere che vive nella mediocrità e nella misera moralità.
Tra i grandi eventi e le vicende personali, Hannah cerca la verità, cerca il perché di tutto di questo per poter trovare un senso tra le mille contraddizioni delle persone, della burocrazia e delle istituzioni, anche a costo di tagliare i suoi legami personali e di non essere ascoltata o compresa dai membri della comunità e dagli amici.