Quirinale 2022 – Una sconfitta per l’Italia
Ebbene sì! Dopo la rielezione di Giorgio Napolitano nel 2013, a questo giro si è ripetuto lo stesso scenario: il Presidente della Repubblica uscente Sergio Mattarella è stato rieletto per un secondo mandato. Inutile dire che questo risultato rappresenta l’ennesima sconfitta della politica italiana. Hanno fallito i partiti, che non sono stati capaci di mettere da parte le proprie aspirazioni individuali per trovare una figura autorevole e super partes; ha fallito il parlamento, che ha confermato di essere lontano anni luce dalle esigenze e dalle aspettative di un popolo che da anni non si sente più rappresentato; in generale, ha fallito tutta la classe politica italiana, che ha registrato una pessima figura non solo agli occhi dei suoi cittadini, ma di tutto il mondo.
E se in occasione del suo secondo insediamento “Re Giorgio” – come soleva essere chiamato Napolitano – bacchettò il parlamento e le forze partitiche, evidenziando come la sua presenza in aula fosse il risultato di “guasti, omissioni e irresponsabilità” della classe politica, nel suo discorso Mattarella ha invece preferito tenere toni decisamente meno biasimanti, richiamando piuttosto ad un senso di responsabilità e patriottismo collettivo da parte di tutte le forze politiche e sociali per “rafforzare il sistema paese”. Un discorso che sicuramente ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai parlamentari presenti in aula, impegnati in quaranta minuti di applausi che hanno quasi coperto la magra immagine di un sistema politico che necessita di un radicale miglioramento della qualità dei suoi rappresentanti.
La disfatta più grande è stata quella dei leader dei tre principali partiti. Salvini (Lega) ha speso giorni proponendo liste di candidati, quasi tutti di parte, che puntualmente sono stati scartati uno ad uno. Letta (Partito Democratico) non è stato in grado di mettere sul tavolo neanche un nome di vero spessore e ha cercato di coprire questo suo insuccesso riempiendo di elogi il rieletto Mattarella, al quale andrebbero piuttosto fatte delle scuse. Infine Conte (Movimento 5 stelle), con la sua solita retorica, non è riuscito a tenere unito un Movimento che anche in quest’occasione ha dato ulteriore prova delle sue fratture interne: “É ora per il M5S di aprire una riflessione politica interna” ha detto il ministro pentastellato Luigi Di Maio.
Ma tra le tante scemenze alle quali abbiamo assistito in questi giorni, quella più vergognosa è stato l’approccio tenuto da certi parlamentari durante le sessioni di voto che hanno preceduto l’elezione di Mattarella. Tra i nomi che sono usciti dagli scrutini di questi giorni troviamo quelli di Amadeus, Terence Hill, Rocco Siffredi e Alfonso Signorini e, automaticamente, a prescindere dall’eventuale stima per questi personaggi (chi più chi meno), viene da domandarsi quale sia la loro attinenza all’interno del dibattito per l’elezione del Presidente della Repubblica. La triste verità è che in una situazione di stallo, nella quale non si riusciva a trovare una personalità che riuscisse a mettere d’accordo tutte le forze politiche, c’è stata una parte di deputati, senatori e grandi elettori – pagati cospicuamente di tasca nostra – che si è divertita ad immaginare scenari irragionevoli, ignorando completamente l’importanza istituzionale che dovrebbe avere l’elezione della prima carica dello Stato.
Alcide De Gasperi diceva che “Il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni” ed è da questa affermazione che possiamo notare che, in Italia, siamo pieni di politici e privi di statisti, che collezioniamo ciarlatani la cui parola vale ben poco e manchiamo di veri uomini di stato che abbiano visione politica e cultura istituzionale. Il nostro è un sistema dove leader scadenti sono a capo di partiti sempre più frammentati al loro interno, con membri che molto spesso condividono solo la tessera di iscrizione. Una generazione di politicanti che da anni si nasconde dietro l’alibi del garantismo per mascherare le proprie carenze etiche e valoriali.
Molti oggi chiedono una riforma dell’elezione del Presidente della Repubblica e la proposta che più fa rumore è quella dell’elezione diretta da parte dei cittadini. Se in questo modo avremmo sicuramente garantiti tempi elettivi più rapidi, non possiamo però negare che correremmo il rischio di politicizzare una figura che dovrebbe invece rappresentare l’unità dello Stato, oltre che essere garante imparziale della Costituzione e dei suoi principi. Forse la soluzione migliore potrebbe essere quella di un’elezione diretta che preveda da una parte una maggioranza superiore del 50% spalmabile su più turni, e dall’altra rigidi requisiti di candidatura di carattere sia professionale che umano.