Costituzionalmente inammissibile
Negli ultimi giorni la Corte costituzionale ha discusso l’ammissibilità di otto quesiti referendari sui temi di giustizia, cannabis ed eutanasia legale. La Corte, presieduta dal Presidente Giuliano Amato, ha accolto solo cinque quesiti, tutti riguardanti la riforma della giustizia. Le proposte sulla legalizzazione di cannabis ed eutanasia sono state respinte, in quanto “mal formulate” e “costituzionalmente inammissibili”.
Lo stesso Amato ha motivato le decisioni della Corte nel corso di un’atipica conferenza stampa. Nel dettaglio, secondo i giudici il quesito sulla cannabis sottintendeva la coltivazione legale di altre sostanze stupefacenti, come eroina e cocaina. Di conseguenza, la vittoria del “sì” a un eventuale referendum avrebbe comportato la violazione di diversi obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia.
Per quanto concerne l’eutanasia, Amato ha messo in luce un possibile fraintendimento con il cosiddetto “omicidio del consenziente”. Tale reato, disciplinato dall’articolo 579 del Codice penale, riguarda “chiunque cagioni la morte di un uomo, col consenso di lui” ed è punibile con una reclusione da 6 a 15 anni. Anche nel caso dell’eutanasia è necessario l’assenso del soggetto, che però deve essere portatore di patologie gravi o irreversibili che ne compromettono la salute fisica e psichica. Inoltre, il richiedente deve essere seguito costantemente nel percorso che lo porterà alla scelta definitiva. In breve, i giudici costituzionali hanno ritenuto che il quesito legalizzasse l’omicidio del consenziente, dunque un vero e proprio reato. Come ha spiegato Giovanni Maria Flick, Presidente emerito della Corte, «l’aiuto al suicidio è cosa diversa dall’omicidio. Anche di chi lo consenta o lo chieda. Se fosse stato accolto il quesito, sarebbe rimasto punito solo l’omicidio dell’infermo di mente o del minore. Non di colui che accoglie la richiesta dell’amico: “Premi tu il grilletto perché non me la sento”».
È indubbio che il rifiuto dei quesiti su cannabis ed eutanasia legale rappresenti un’altra – l’ennesima – occasione persa, soprattutto a fronte del grande appoggio popolare che avevano ottenuto. Molti elettori si sono mostrati particolarmente sensibili a tali tematiche, raggiungendo in poco tempo il numero di firme necessario per la presentazione di entrambe le proposte in Cassazione. Tuttavia, il veto della Corte costituzionale ha spento presto l’entusiasmo dei firmatari.
Si conferma la tendenza a rimanere ancorati a credenze e istituzioni profondamente retrograde, quasi fossilizzate, incapaci di adattarsi ai mutamenti della contemporaneità. Infatti, se è vero che tanti elettori hanno sostenuto la campagna a favore di cannabis ed eutanasia, è altrettanto chiaro che tuttora una buona parte dell’opinione pubblica affronti queste tematiche con distacco e preoccupazione. In particolare, nel caso della cannabis si evidenzia un’allarmante propensione a demonizzare chi ne fa uso: basti pensare alle polemiche sorte nel corso dell’ultimo Sanremo, quando l’attrice Ornella Muti fu accusata di promuovere il consumo di droghe dopo aver confermato di assumere cannabis a scopo terapeutico. In molti sembrano temere la legalizzazione, come se essa comportasse la progressiva sostituzione della figura del buon padre di famiglia con il classico stereotipo del tossicodipendente. È un principio simile a quello adottato contro il DDL Zan: focalizzandosi sull’educazione, la propaganda conservatrice riteneva che discutere di tematiche LGBTQ+ nelle scuole rappresentasse un “rischio” per i ragazzi, che avrebbero cominciato a dubitare del loro orientamento sessuale. Puntando sull’infondata “minaccia” di un giovane “esercito arcobaleno” i conservatori hanno distorto completamente il vero significato del disegno di legge, provocando reazioni ostili dentro e fuori il Parlamento.
Per quanto riguarda l’eutanasia, il discorso diventa ancora più complesso. Infatti, in questo caso è necessario considerare anche il potere esercitato dalla Chiesa, che in tempi recenti si è schierata fortemente contro l’eutanasia. Ovviamente non tutti i cattolici seguono pedissequamente le indicazioni dell’istituzione ecclesiastica. Tuttavia, è impossibile negare l’influenza del Vaticano su diverse questioni di carattere nazionale: la Chiesa agisce spesso come gruppo di pressione, tentando di salvaguardare i propri interessi da riforme o scelte politiche che potrebbero destabilizzare l’autorità dell’istituzione e metterne in discussione i dogmi.
Per queste ragioni non è detto che la maggioranza degli elettori sia favorevole alla legalizzazione di cannabis ed eutanasia. Comunque, resta il rammarico per la mancata approvazione dei quesiti da parte della Corte costituzionale. Se le proposte fossero state giudicate ammissibili, i cittadini avrebbero potuto esprimere la propria posizione sulle tematiche in discussione. Tuttavia, negando i referendum si è impedito agli elettori di partecipare attivamente alla vita politica del Paese, rischiando di abbassare ulteriormente la loro fiducia nelle istituzioni.
Ora, sarebbe facile individuare nei giudici costituzionali i principali responsabili dell’affossamento dei quesiti referendari. In effetti, sono stati loro a ritenere inammissibili le proposte avanzate dagli elettori, bocciando la possibilità di indire nuovi referendum abrogativi. Ciononostante, sarebbe ingenuo incolpare esclusivamente i membri della Corte: è necessario allargare la prospettiva, concentrandosi non tanto su coloro che svolgono il proprio lavoro, ma sul sistema più in generale. I giudici, infatti, valutano l’ammissibilità di ogni quesito sulla base della Costituzione, legge fondamentale dello Stato italiano, e non è corretto sostenere che agiscano in malafede. Se la Corte ha ritenuto inaccettabili le proposte, avrà avuto delle motivazioni legittime, già elencate precedentemente. Piuttosto, bisognerebbe rivalutare alcuni aspetti della Carta costituzionale: diversi articoli risultano antiquati e rispecchiano eccessivamente la realtà politica e sociale dell’immediato dopoguerra. La Costituzione mostra delle discrepanze evidenti tra ciò che è scritto al suo interno e il progressivo mutamento dei tempi, come se rimanesse “bloccata” nel passato. Com’è possibile interpretare quesiti di stretta attualità riferendosi a una fonte giuridica poco aggiornata e legata a un contesto storico completamente diverso da quello odierno?
Come evidenziava R. Merton nei suoi studi sulla burocrazia, sembra che i regolamenti siano diventati dei fini in sé stessi. Per il burocrate, che viene addestrato in un certo modo e sa di essere valutato positivamente seguendo tali dettami, è più importante seguire scrupolosamente le regole, non raggiungere gli scopi prefissati. Di conseguenza, viene a mancare la capacità di adattarsi a diverse situazioni, particolari o semplicemente non disciplinate. Allo stesso modo i giudici della Corte non possono approvare o correggere quesiti referendari in contrasto con la Costituzione, sebbene trattino di argomenti socialmente rilevanti come la legalizzazione di cannabis ed eutanasia. Di conseguenza, il Paese resta in bilico tra la volontà di progredire e l’attaccamento a leggi e istituzioni arretrate, vanificando la maggior parte dei tentativi di riforma.
Tali difficoltà non si scoprono di certo oggi. In molti hanno criticato la formulazione dei quesiti, incolpando di superficialità gli esperti e i giuristi responsabili della loro stesura. In verità, le proposte non potevano essere scritte in modi diversi, in quanto dovevano soddisfare i requisiti richiesti dalla forma di referendum abrogativo. In questa circostanza si interviene su un testo di legge già esistente, si propone una sua modifica, si valuta la legittimità di tale cambiamento e si cerca di ricavare una nuova normativa al fine di soddisfare l’obiettivo proposto dallo stesso referendum. Tuttavia, il referendum abrogativo non è sempre efficace: esso, infatti, può eliminare un problema, un limite di una determinata legge, ma non può controllare i mutamenti che tale abrogazione provoca. Inoltre – ed è il punto chiave – non aggiunge e non crea nessuna nuova legge: quella è responsabilità del Parlamento.
Dunque, per lanciare un segnale importante deve essere la classe politica ad agire. È necessario che i parlamentari realmente interessati alle delicate tematiche discusse finora abbiano il coraggio di presentare alle Camere dei disegni di legge appropriati, consapevoli delle responsabilità e dei rischi che ne derivano. In questo modo è possibile superare i limiti del referendum abrogativo, mostrando coinvolgimento, attenzione e vicinanza ad argomenti cari a numerosi elettori.