Democrazia e Scienza – La sfida del nuovo secolo

Dallo scoppio della pandemia, ha avuto inizio un lungo dibattito che ha abbracciato le tematiche inerenti al conflitto tra la nostra libertà di azione individuale e il perseguimento del bene comune. La scienza, a tal scopo, ha giocato un ruolo fondamentale nella tutela del secondo, portandoci a discutere sulla legittimità di certi provvedimenti da un punto di vista democratico. Negli ultimi mesi in particolare è nata una forte polarizzazione tra i governi sostenitori della campagna vaccinale e i movimenti novax che, tra le varie reclamazioni, rivendicano la libertà di scegliere per sé, a discapito delle chiare indicazioni della gran parte della comunità scientifica.

In questo articolo proveremo ad analizzare il rapporto democrazia e scienza da due punti di vista differenti: il primo sotto una lente di carattere puramente politologico che evidenzia i tratti tipici dei due concetti, il secondo focalizzato sul ruolo di una buona comunicazione.


La scienza non è democratica” è la frase che spesso sentiamo risuonare durante i dibattiti da esponenti della comunità scientifica e non solo. Una qualsiasi teoria, in effetti, non può essere certo decisa con un voto di maggioranza, ma deve essere legittimata da un processo di ricerca che vede nel “metodo scientifico” la sua strada maestra. Ma se di scienza è relativamente facile trovare una definizione condivisa più o meno da tutti, siamo sicuri di sapere con esattezza che cosa sia la democrazia? Il difetto di questa affermazione è che considera l’esperimento democratico come mero processo di voto, quando in realtà è molto altro: un insieme di concetti valoriali che spesso finiscono per ritrovarsi in contrasto tra di loro, provocando all’interno della stessa comunità politologica una moltitudine di interpretazioni che, nello specifico, forniscono spiegazioni varie del fenomeno democratico.

La democrazia prima di tutto deve essere vista come un processo: nel corso della sua storia ha assunto diverse forme, si è sviluppata e innovata a seconda delle esigenze delle sue comunità: da qui ne esce un’immagine dinamica. In secondo luogo, può essere studiata dal punto di vista della sua normatività con l’istituzione dello stato di diritto, carattere fondamentale delle democrazie liberali, volto soprattutto a limitare il potere esecutivo nei confronti degli individui. Infine, ogni democrazia deve essere considerata dal punto di vista dei valori e degli obiettivi che la rendono lo strumento migliore per il loro perseguimento: libertà e uguaglianza da una parte, bene comune e diritti dell’individuo dall’altra, a questo regime spetta il difficile compito di far coincidere traguardi che spesso possono sembrare inconciliabili l’uno con l’altro. 

Processualità, normativismo e perseguimento di obiettivi: se tutti possiamo concordare che scienza e democrazia sono due realtà distinte, non si può fare a meno di notare che questi tre caratteri possono essere riscontrati tanto nella prima quanto nella seconda. Infatti, nessuna teoria scientifica può dirsi statica, perché nel corso della sua storia ha la possibilità di essere rivisitata attraverso un processo di sviluppo o addirittura di revisione. Inoltre la scienza, grazie al metodo scientifico di Galileo Galilei, ha adottato una serie di norme e procedure senza le quali nessuna teoria può dirsi scientifica a tutti gli effetti. Infine anche la scienza, come la democrazia, ha un obiettivo finale, che si traduce sempre nel tentativo di comprendere la realtà che ci circonda da diversi punti di vista. 

Ed è anche alla luce di queste considerazioni che, se da una parte dobbiamo separare la scienza e la democrazia – una in quanto disciplina, l’altra come insieme di elementi concettuali – possiamo però notare come la scienza, e in particolare la ricerca e il dibattito scientifico, necessitino più di tutti di vivere sotto democrazia, perché solo in un regime che tutela le libertà di pensiero e di parola è possibile condurre studi della realtà basati su criteri di oggettività, oltre che privi di coercizioni e corruzioni intellettuali. E se spesso queste necessità risultano difficili da soddisfare, forse una delle sfide delle democrazie del nuovo secolo è proprio quella di riuscire a creare un sistema politico capace di integrare formalmente il mondo scientifico nell’arco costituzionale democratico

(di Tommaso Fiorio)


Se poi proviamo a osservare la questione da un secondo punto di vista, quello delle modalità di comunicazione, emerge una grande difficoltà del giornalismo di rendere giustizia alle peculiarità dell’uno e dell’altro mondo. La suddetta processualità della democrazia e le continue rivisitazione tipiche della scienza sono faticosamente rappresentate dalle notizie che riceviamo quotidianamente: I giornalisti, scrive Jeff Jarvis, professionista nel settore, in un tweet del 30 dicembre, vogliono risposte definitive, mentre la scienza controlla e ricontrolla costantemente le proprie domande, arrivando a più domande. Quindi i giornalisti distorcono la percezione pubblica della scienza, rendendo un pessimo servizio.

Un secondo scoglio nell’ambito dell’informazione affonda le radici in una sottile ma importante distinzione: quella tra narrazione e dibattito. Come ci spiega il giornalista Francesco Oggiano in un video sulla pagina Instagram di Will, se dare la possibilità di raccontare è un dovere del giornalismo, che mostra il mondo per come è, non per come vorrebbe che fosse, la discussione è invece disciplinata da una legge dura ma necessaria: nella scienza uno non vale uno. Alla luce di questo, quindi, un dibattito tra un virologo e un novax può non avere l’effetto di rappresentanza e uguaglianza desiderato, soprattutto quando il primo non ha il carattere pungente per farsi ascoltare e il secondo non pone obiezioni in modo composto. Tu puoi anche mettere Einstein a spiegare come funziona la gravità, esemplifica Oggiano, ma se nell’altra parte dello schermo avrai un No Gravity che gli fa le faccine, che gli urla che quello che dice non è vero e fa battutine molto più incisive, non avrai un dibattito, avrai una cagnara. In questo contesto, sono allora forse anche la scelta degli ospiti, possibilmente non dettata solo dall’audience prevista, e il piano su cui vengono messe le varie voci a fare la differenza. 

Dare la possibilità di esprimersi è del resto uno dei postulati di un regime democratico che, stando infatti alla definizione del politologo Robert Dahl, per essere tale nella sua capacità di dare risposte deve garantire a tutti i cittadini pari opportunità nel formulare le loro preferenze, nel comunicarle tra loro e al governo e nel dare a ciascuna il medesimo peso politico. Come abbiamo già detto, tuttavia, democrazia non è solo libertà e uguaglianza, ma anche bene comune e diritti dell’individuo. Qui la situazione si fa senz’altro più delicata – come dice Freud ne “Il disagio della civiltà” (1930), la difficoltà di fare il bene per l’altro risiede nel fatto che non possiamo sapere cosa sia per l’altro il bene – , tuttavia ad un certo punto è necessario e giusto che lo Stato prenda una scelta e si muova in una precisa direzione (in questo caso quella a favore della scienza) e che, seppur continuando a ricevere input dalla piccola e rumorosa fetta in disaccordo, la difenda finché ritiene razionalmente nell’interesse comune farlo. 

Dunque, quella che è probabilmente la grande falla della comunicazione in questo momento è la semplificazione eccessiva delle notizie, la predilezione per un un approccio che non riconosce l’incertezza che dovrebbe invece essere alla base della comunicazione scientifica. Le conseguenze di tutto ciò si vedono nello stato d’animo di ognuno di noi: tra chi è arrabbiato perché un giorno le mascherine all’aperto non servono a niente, l’altro sono obbligatorie, chi è frustrato perché, anche da vaccinato, ha preso il virus e chi denuncia la dittatura sanitaria su Facebook, siamo in realtà tutti accomunati dal grande stato di confusione in cui ci troviamo. A questo, però, la soluzione migliore forse non è andare alla disperata ricerca di un colpevole e accanirsi gli uni contro gli altri sui social, ma semplicemente cercare, con calma, di acquisire gli strumenti necessari e basilari per tenere traccia dei provvedimenti in continuo cambiamento. Dopodiché, una volta elaborata una propria opinione con metodo, dobbiamo accettare che la possibilità di metterla in discussione non è un indice di debolezza, ma un’opportunità di crescita da un punto di vista tanto conoscitivo quanto umano.

(di Alessia Balducci)


Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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