Perfettamente (s)bilanciato

La natura umana è più complessa di quanto si creda: limiti, tensioni e contraddizioni ci accompagnano quotidianamente e sembriamo essere alla continua ricerca di un equilibrio spirituale che possa allontanare tali elementi di “disturbo” dalle nostre vite. Tentiamo, insomma, di acquisire una condizione di completa stabilità emotiva in grado di proteggerci dall’insicurezza e dai pericoli che si celano negli angoli più reconditi della nostra psiche.

Il raggiungimento di tale obiettivo è tutt’altro che scontato: come nei più classici dei giochi da tavolo, basta muovere una sola pedina nella casella sbagliata per modificare radicalmente i propri piani, portando a un repentino cambio di strategia o, nella peggiore delle ipotesi, alla sconfitta. Quante volte, ad esempio, abbiamo pensato di avere il controllo assoluto su una determinata situazione, ma un evento apparentemente insignificante ha stravolto la nostra percezione della realtà? E quanto è complicato, poi, riedificare da zero la propria Torre di Babele dopo che questa è stata rasa al suolo?

Costruire qualcosa di importante e duraturo è un’impresa incredibilmente ardua, mentre distruggere mattone per mattone il faro che illumina la nostra strada ci appare così semplice. La ricerca del nostro equilibrio spirituale sembra coincidere con un lungo e faticoso processo di analisi interiore, orientato alla creazione di un insieme più o meno coerente di certezze e punti di riferimento. Tuttavia, il sistema di credenze così ottenuto viene costantemente minacciato e messo in discussione da fattori esterni, da “epifanie” (nel senso joyciano del termine) o dalla semplice presa di coscienza dei nostri errori di valutazione.

Considerando la fragilità e l’instabilità che la contraddistinguono, è facile chiedersi se la conquista della stabilità spirituale sia effettivamente perseguibile o se rappresenti soltanto una lontana fantasia chimerica. D’altronde, nemmeno la nostra stessa natura sembra in grado di aiutarci: come aveva intuito Pascal, gli esseri umani subiscono le pesanti conseguenze di una condizione esistenziale particolarmente difficile da sopportare. Essi, infatti, vivono sospesi tra i due “abissi dell’infinito e del nulla”, nella perpetua contraddizione tra possesso e desiderio, ignoranza e conoscenza, mortalità ed eternità. Ne emerge una visione altamente precaria dell’uomo, incapace di trovare un proprio equilibrio e sopraffatto da dimensioni trascendentali che non sa gestire. In modo simile ragionano i più conosciuti “filosofi del sospetto”: Nietzsche, in particolare, individua la fondamentale contrapposizione tra spirito dionisiaco (irrazionale) e apollineo (razionale), mentre Freud sostiene che il nostro Io sia costantemente impegnato nel bilanciamento tra le pulsioni istintive dell’Es e le norme morali interiorizzate dal Super-Io. In entrambi i casi, uno dei due caratteri tende sempre a prevalere sull’altro.

Cosa possiamo fare, dunque, per raggiungere quell’equilibrio di cui abbiamo parlato, ma che ci è parso così distante? I filosofi medievali ritenevano che la “virtù” si trovasse nel mezzo, ma è evidente che non esista una formula oggettiva in grado di indicare la posizione mediana che dovremmo occupare tra due estremi opposti. Invece di focalizzarci su modelli ideali, dovremmo imparare ad agire attivamente su noi stessi, trasformando quegli eventi che possono destabilizzarci in risorse concrete per il nostro percorso di crescita e di sviluppo personale.

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