L’equilibrio necessario

Nel 1789, quando il Re di Francia convocò gli Stati Generali, le forze politiche più conservatrici andarono a posizionarsi alla destra del presidente dell’assemblea, mentre le componenti radicali e rivoluzionarie si misero alla sinistra. Questa spontanea suddivisione, riproposta poco più tardi anche all’Assemblèe National, è alla radice del farraginoso binomio con cui ancora oggi ci riferiamo alle due entità contrapposte nella scena politica. Sull’argomento ha scritto un saggio Norberto Bobbio, «Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica», il quale identifica come unica coerente difformità tra gli schieramenti il diverso atteggiamento nei confronti del concetto di eguaglianza. La sinistra pensa che tutti gli uomini siano uguali e si adopera per ridurre le diseguaglianze sociali che intercorrono fra di essi, la destra pensa che alcune diseguaglianze siano ineliminabili e che non se ne debba nemmeno auspicare la soppressione.

Questa diade trascina dietro a sé una serie di altri concetti contrapposti più ragionevoli da considerare: conservatorismo e progressismo, tradizionalismo e riformismo, nazionalismo e internazionalismo, stato religioso e stato laico, e via dicendo. Entrambi hanno attraversato derive totalitarie, entrambi hanno le loro frange estremiste – anarchici da una parte, fascisti dall’altra – entrambi hanno visto evoluzioni e cambiamenti. Questa suddivisione ha incontrato molti scettici e detrattori fra gli studiosi, eppure continua a essere utilizzata da tutti perchè estremamente comoda. Non siamo in grado di inventare nessun lemma che sia più efficace ed equilibrato.

Sulle colonne del Corriere, il 24 dicembre del 1993, Ernesto Galli della Loggia scrisse alcune righe dal sentore quasi profetico. L’articolo parlava della «differenza necessaria» che deve permanere fra i due poli, di «una sinistra che fa la destra», che ha smarrito la propria identità, portando avanti dei programmi conservatori – il rientro del debito pubblico, politiche per la famiglia, privatizzazioni – e oracoleggiava il totale svilimento del dibattito pubblico, quando la destra, non sapendo dove andare a parare, non sapendo quali argomenti utilizzare, sarebbe ricorsa all’espediente di attaccare l’immagine dell’avversario cercando di delegittimarlo. Con le debite proporzioni, è un discorso che resta valido ancora oggi: è stata la sinistra con il PD a fare tagli nell’istruzione e nella sanità, a proporre un referendum che abolendo il bicameralismo perfetto avrebbe minato la rappresentatività, principio socialdemocratico per eccellenza; ed è stato il M5S a riuscirci qualche anno più tardi. La deriva populista della destra non è altro che una conseguenza. Non potendo più fregiarsi di battaglie che ormai sono diventate della sinistra, la destra sbraita per accaparrarsi quella larga fetta di elettorato che è perennemente scontenta, opposta all’establishment per principio, attraverso una comunicazione politica capillare, invadente e semplicistica.

Più che un’ostentata differenza, allora, è un maggiore equilibrio a rendersi necessario. Le differenze sono spesso effimere. Si può essere di destra ed essere sensibili ai diritti della comunità LGBT, si può essere di sinistra senza essere coinvolto dalla questione ambientale. La politica non sarà mai soltanto bianco o nero: è un’affascinante e complessa scala di grigi. Equilibrio significa buon senso nel conciliare interessi contrastanti, perché la politica, si sa, è l’arte del compromesso.

Riccardo Eger

Zaino in spalla e voli low-cost, poi, nel tempo libero: tennis, giornalismo e Studi Internazionali

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