La “bolla” di San Pietroburgo: intervista a due studenti UniTN in Russia

Torniamo a parlare di Russia, a 50 giorni dall’inizio del conflitto in Ucraina, con un’intervista a due studenti della nostra università, attualmente in mobilità internazionale a San Pietroburgo. Marco e Francesca (nomi fittizi) ci hanno raccontato la loro esperienza nella metropoli russa, in particolare cosa è successo dopo l’inizio dell'”operazione militare speciale” e cosa li ha spinti a rimanere: abbiamo parlato delle proteste anti-guerra, dell’effetto delle sanzioni e del clima politico dall’inizio del conflitto.
Per la nostra redazione è fondamentale dare spazio alle testimonianze dirette, per questo all’interno dell’articolo troverete anche le foto e i video che Francesca ha scattato e girato durante la prima protesta contro la guerra: da un lato i manifestanti e dall’altro i poliziotti e i giornalisti, attenti a riprendere gli arresti.

In fondo all’articolo troverete foto e video di Francesca.

Quando avete scelto la Russia come vostra destinazione e perché? Prima di partire il clima politico vi turbava? Com’è cambiata (se è cambiata) la vostra visione dopo il 24 febbraio?

Francesca: Io sono a San Pietroburgo da settembre e ho deciso di venire qui per la doppia laurea. Ho scelto la Russia perché ero interessata a vivere e studiare in uno Stato non appartenente all’UE. Prima di partire non ero preoccupata, in quanto sapevo che la realtà di San Pietroburgo era abbastanza vicina a quella che potremmo definire “europea”. Per quanto riguarda la terza domanda, dopo il 24 febbraio la mia visione della Russia non è cambiata anche se non mi aspettavo che la Russia dichiarasse guerra all’Ucraina: ero convinta che sarebbe scoppiato un conflitto nella sola regione del Donbass, ma non credevo che il Cremlino si spingesse oltre. Detto questo, penso che la guerra sia la naturale conseguenza del regime di Putin e del suo modo di governare il Paese.

Marco: Io sto seguendo la laurea magistrale in Data Science e nella mia università ospitante ci sono diversi corsi specifici che possono essere utili per il mio percorso accademico. Ho già avuto diverse esperienze di studio in contesti internazionali: grazie al programma Erasmus+ sono stato in Belgio e in Finlandia, mentre con gli accordi bilaterali ho studiato in Canada. La scelta della Russia, quindi, è dovuta prevalentemente alla buona offerta formativa dell’università, anche se la prospettiva di vivere in una società non europea ha rappresentato sicuramente un valore aggiunto. Nemmeno io ero preoccupato di venire in Russia, sebbene fossi consapevole delle crescenti tensioni tra il Cremlino e il governo ucraino. Ovviamente seguiamo con apprensione l’evoluzione del conflitto, ma in questo momento a San Pietroburgo non c’è alcun motivo per spaventarsi. Le stesse sanzioni – di cui magari parleremo più avanti – non ci hanno colpito particolarmente. Ciononostante, la maggior parte degli exchange students europei hanno lasciato la Russia poco dopo il 24 febbraio. Il punto di vista che possiamo offrirvi è quello di persone più tranquille, che attualmente non si sentono in pericolo. Anche le nostre famiglie non sono particolarmente preoccupate: si fidano della nostra percezione di sicurezza.

Dopo l’inizio del conflitto, è stata una vostra scelta rimanere in Russia oppure il rientro in Italia non è stato possibile?

Marco: La possibilità di tornare in Italia c’è sempre stata ed è difficile che venga meno: ovviamente non sono disponibili voli, ma il confine con l’Estonia e la Finlandia sono facilmente raggiungibili in macchina o in bus. L’Università di Trento ci ha inviato un comunicato dell’Ambasciata, in cui veniva suggerito a tutti gli italiani in Russia di lasciare il Paese il prima possibile. In realtà, la quotidianità a San Pietroburgo è diversa da come viene presentata dai media occidentali, che tendono a sovrarappresentare alcune problematiche. Ad esempio, vi vengono spesso mostrate le immagini delle code agli sportelli ATM o dei supermercati affollati, ma qui non vediamo nulla di tutto questo. VISA e MasterCard sono state bloccate da poco, ma possiamo utilizzare le nostre carte di credito russe. A livello pratico, quindi, per noi non è cambiato niente dall’inizio della guerra: per questo abbiamo scelto di rimanere in Russia. Dato che attualmente non mi ritrovo in pericolo oggettivo, non ho motivo di rientrare; ovviamente, se la situazione dovesse peggiorare so che potrei ritornare in Italia in qualsiasi momento.

Inoltre, da studioso di scienze sociali vivere in un contesto simile rappresenta un enorme valore aggiunto. Anche se non siamo giornalisti, nel nostro piccolo possiamo raccontare cosa sta accadendo qui in Russia, soprattutto considerando che i social sono chiusi e i grandi media internazionali hanno lasciato il Paese. Recentemente una giornalista italiana che conosco ha intervistato una professoressa della mia università ospitante, che ha partecipato attivamente alle proteste e ha potuto esprimere il suo punto di vista sul conflitto e sulla situazione in generale. Abbiamo anche un amico in comune che dipingeva nella via principale di San Pietroburgo: i suoi quadri rappresentavano paesaggi con un cielo blu e dei campi gialli, chiaramente in segno di vicinanza all’Ucraina. Purtroppo il suo professore gli ha detto di smettere di dipingere quei quadri, altrimenti sarebbe stato espulso dall’università. Queste storie sono testimonianze fondamentali e possono essere viste solo sul campo, attraverso il dialogo e l’esperienza diretta. Comunque, c’è una grande differenza tra le rappresentazioni dei media e la realtà effettiva. Ovviamente i media occidentali forniscono informazioni più veritiere rispetto a quelli russi, ma tendono a sovrarappresentare diverse questioni. Per i media occidentali sembra che le sanzioni stiano colpendo fortemente la popolazione russa, ma dalla nostra esperienza non è affatto così: probabilmente il loro effetto si vedrà solo in futuro, dato che sono state pensate come una misura punitiva a lungo termine. Riassumendo, ho scelto di rimanere qui perché non mi sento in pericolo, per vivere in questo particolare contesto sociale e testimoniare – nel mio piccolo – quello che sta accadendo.

Francesca: Io sono rimasta per puro interesse scientifico. Studiando Sociologia e Relazioni Internazionali si tratta del contesto migliore in cui potessi trovarmi – per quanto sia brutto da dire. L’interesse scientifico mi ha spinto anche ad andare alle varie manifestazioni e proteste che hanno avuto luogo in città: volevo comprendere e documentare il loro reale svolgimento, visto che la narrazione dei giornalisti è spesso ingannevole. Ho cercato di capire quali fossero i criteri per gli arresti e fino a che punto i manifestanti potevano spingersi nelle loro proteste.

Recentemente abbiamo intervistato una ragazza russa di San Pietroburgo che ha partecipato a diverse contestazioni contro il regime di Putin. In particolare, ci ha parlato della sua esperienza alle manifestazioni pro Navalny di inizio 2021, dove alcuni suoi amici sono stati arrestati. Per l’Ucraina, lei non si è sentita di scendere in piazza, a causa di un livello coercitivo e repressivo particolarmente alto nel Paese. Cosa avete visto voi nel corso delle proteste?

Francesca: Ho potuto vedere le proteste che hanno avuto luogo in una delle piazze principali di San Pietroburgo, proprio davanti alla Stazione Centrale della metropolitana. I manifestanti erano molti e urlavano in coro lo slogan “No alla guerra” (нет войне, ndr). Nonostante la presenza di un altissimo numero di poliziotti, i contestatori erano liberi di protestare, chiaramente limitandosi alla ripetizione dello slogan. In Russia i poliziotti sono in tenuta antisommossa e hanno spesso il volto coperto. Non appena un manifestante si comportava diversamente dal resto della folla – ad esempio mostrando un cartellone o gridando qualcosa di diverso dagli altri (probabilmente attaccando verbalmente il regime in modo più diretto e aggressivo) – la polizia lo individuava e lo arrestava. Da quello che ho potuto vedere i poliziotti sembrano seguire dei criteri per gli arresti. Comunque, l’impossibilità di poter esprimere liberamente la propria opinione è sconvolgente, specialmente per me che partecipo a manifestazioni da quando ho 16 anni. Recentemente i miei affittuari russi mi hanno impedito di manifestare per evitare conseguenze negative (avere in casa un “non-allineato” può essere problematico). Ora c’è molta meno gente per le strade, meno polizia. Qualche settimana fa invece l’intera Piazza del Palazzo era completamente transennata, sebbene le proteste non avessero luogo lì.

Quali fonti di informazione utilizzate per tenervi aggiornati e quanto sono indipendenti i mass media russi rispetto alle politiche del governo? Avete accesso ai social occidentali?

Francesca: Noi non parliamo e non capiamo il russo. Le fonti di informazione russe che noi possiamo raggiungere sono solo quelle che sono tradotte anche in inglese. Il fatto che tali fonti decidano di tradurre le proprie notizie in inglese significa già che non sono del tutto allineate al governo. Non abbiamo la possibilità di fare esperienza diretta della narrazione dei fatti da parte dei media russi “controllati”. Io utilizzo Meduza, giornale indipendente russo che è stato oscurato e posso leggere solo con VPN.

Immaginiamo, quindi, che chi non utilizza VPN sia totalmente favorevole alla linea di governo.

Francesca: Chi si preoccupa di cercare fonti di informazione alternative ha già una posizione politica ben definita. Se vuoi informarti attraverso dei media non allineati significa che vuoi applicare un approccio critico a quello che sta succedendo; sei più propenso a criticare quello che sta facendo Putin. È possibile avere fonti di informazioni diverse, basta imparare a usare VPN, però la maggior parte della popolazione non lo fa perché è già favorevole alla linea di governo.

Marco: Io mi informo più o meno allo stesso modo, inoltre seguo molti canali Telegram sia in italiano che in inglese; c’è anche un canale russo sulla città di San Pietroburgo che ogni tanto seguo. Ovviamente sono tutti canali non allineati. Ascolto tutti i giorni dei podcast su Spotify che parlano della guerra (come Stories, di Cecilia Sala, e The Essential, di Will). La maggior parte dei giovani che conoscono l’inglese possono informarsi così. Ci sono anche dei media russi che non sono filo-governativi, ma se la maggior parte dei russi non usa Telegram e VPN e parla solo russo è facile comprendere perché il sostegno a Putin sia in crescita (Marco fa riferimento ai risultati di un sondaggio pubblicato il giorno stesso da Levada, ndr). Detto questo, è impossibile stabilire con certezza quante persone sono a favore della guerra e quante contro. Mi sembra strano che il supporto sia aumentato perché ci sono molte persone che prima erano favorevoli, mentre ora hanno cambiato la loro opinione.

Francesca: A livello logico è possibile immaginare che la maggioranza della popolazione a San Pietroburgo sia a favore del conflitto, perché non ha una visione alternativa a quella che le viene imposta. Inoltre, qui a San Pietroburgo non c’è una guerra, la vita prosegue normalmente.

La popolazione russa, in particolare quella giovanile, come si pone rispetto alla vostra provenienza (visto che l’Italia è un paese “ostile” e atlantista)? C’è curiosità nel comprendere la vostra posizione in merito all’”operazione militare speciale”?

Marco: Di solito siamo noi che chiediamo a loro, ci interessa molto conoscere la loro percezione del conflitto. C’è da dire che noi viviamo appunto in una “bolla” a San Pietroburgo: qui si continua a vivere in un contesto di “normalità”, la guerra non ha colpito particolarmente la città. Mi sono confrontato con molti studenti della mia università: in molti condividono la nostra visione del conflitto, mentre altri hanno un’opinione diversa, più filo-governativa. Una volta, parlando con un ragazzo russo, gli ho riferito che sul confine ucraino erano state schierate 200.000 truppe russe e mi ha risposto che non ne era nemmeno al corrente. Comunque, siamo quasi sempre noi a chiedere ai nostri coetanei russi il loro parere, dato che loro conoscono già il nostro punto di vista. Alcuni ci dicono che preferiscono non esprimersi, ma la gran parte dei giovani russi con cui parliamo non sono favorevoli al conflitto. Conosco una ragazza che piange spesso a causa della guerra. Il ragazzo di cui parlavamo prima – l’artista di strada – viene definito “fascista” da sua nonna.

Siete stati vittime di ostilità nei vostri confronti per la vostra visione del conflitto?

Francesca: Assolutamente no, anzi, il contrario! Una volta sono andata a un concerto del marito di una mia amica e alla fine dell’esibizione siamo stati fuori a parlare con un po’ di persone. Quando hanno capito che ero italiana sono impazziti: una ragazza ha continuato a ringraziarmi e abbracciarmi perché li trattavo come delle persone “normali”. Io sono rimasta sconvolta: come avrei dovuto trattarli?

Secondo la vostra esperienza chi è contro la guerra prova un senso di colpa forte?

Francesca: Secondo me sì, dal mio punto di vista si sentono un po’ discriminati, pensano che al di fuori della Russia vengano visti come colpevoli del conflitto.

Marco: Molte volte ci si chiede perché i russi non facciano niente per fermare il conflitto, ma in un contesto autoritario come quello della Russia di Putin i civili non possono assolutamente essere incolpati. Comunque, anche nei miei confronti non c’è stato nessun tipo di ostilità. Solo se parli inglese può capitare che alcuni ti urlino contro, ma questo succedeva anche prima.

Da noi c’è la percezione che le sanzioni abbiano avuto un effetto, anche se si crede che si possa fare di più per colpire la Russia. La ragazza russa che abbiamo intervistato era preoccupata per il ritiro delle grandi multinazionali dal Paese, in quanto rappresentavano posti di lavoro persi. Nella vostra quotidianità le sanzioni hanno cambiato qualcosa?

Marco: Ci sono due tipi di sanzione: si può espropriare la casa o la barca, andando a colpire i grandi oligarchi, ma si può anche colpire l’economia in generale, ritirando le grandi multinazionali dal Paese. Noi non sentiamo molto l’impatto delle sanzioni, anzi, se il rublo cade il nostro potere d’acquisto sale. C’è un po’ di inflazione, anche se noi non la vediamo molto. Nei centri commerciali ci sono alcuni negozi vuoti perché le grandi firme hanno lasciato il Paese.

Le sanzioni economiche hanno un effetto long-term: è vero che colpiscono la popolazione, ma secondo me è una scelta consapevole dei Paesi che le impongono per suscitare malcontento nei confronti del governo di Putin. Anche perché colpire direttamente Putin è quasi impossibile.

Non credi che ci sia il paradossale effetto contrario di rafforzare il consenso attorno a Putin? Dall’intervista con la ragazza russa è emerso proprio questo aspetto: buona parte della popolazione russa reputa che Putin sia l’unico in grado di salvare il Paese dalle sanzioni dell’Occidente.

Marco: Secondo me sì, ma non è un effetto dovuto alle sanzioni, ma alla guerra. Il conflitto porta a delle estremizzazioni dei punti di vista; quindi, chi era dubbioso si ritrova ad appoggiare Putin e chi era già favorevole alla sua politica ora lo è ancora di più. Piuttosto, la sanzione è da vedersi come una conseguenza della guerra. È comunque un’osservazione corretta: il governo e i media allineati stanno premendo molto sulla demonizzazione dell’Occidente, proprio per aumentare il consenso.

Francesca: Non ho molto da aggiungere, le conseguenze sulla nostra quotidianità non sono state forti. Viviamo nel centro di San Pietroburgo, una delle città più ricche del Paese, e io avevo già una carta di credito russa. Nemmeno io riesco a vedere l’enorme aumento dell’inflazione di cui si parla. Centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro a causa del ritiro delle grandi aziende, ma penso che molti di loro riusciranno a sopravvivere.

Quindi al momento non passa la percezione di una “crisi sociale”?

Francesca: Considerate che ci troviamo nel centro di San Pietroburgo e la popolazione è molto ricca. Bar e ristoranti sono sempre pieni, i supermercati sono ben forniti…

Marco: In Russia ci sono disuguaglianze evidenti, la crisi sociale esisteva già prima dell’inizio del conflitto. La guerra va a colpire e danneggiare ulteriormente gli strati più poveri della popolazione. Viviamo in un contesto estraniante: sappiamo che questa nazione è in guerra, usciamo di casa e vediamo che tutti si riversano nelle vie principali a fare shopping. Sappiamo che la gran parte della gente al di fuori della nostra “bolla” è povera, soffre e non ha i soldi per comprare da mangiare, ma noi vediamo solo persone che spendono il loro denaro per acquistare beni e vestiti costosissimi.  

Come considerate la scelta delle università italiane (Trento inclusa) di interrompere i programmi di studio con la Russia?

Marco: Io sono delegato all’Internazionalizzazione del CdS e stiamo seguendo attivamente quello che sta succedendo. In realtà le relazioni sono state interrotte in uscita, quindi gli studenti UniTN non potranno venire in Russia. È una scelta tutto sommato giusta, in quanto l’università ha la responsabilità sugli studenti in mobilità. Il fatto che l’università non abbia interrotto i rapporti in entrata è un segnale positivo: l’università deve essere libera e aperta, non deve attaccare lo studente russo. Inoltre, ora per gli studenti russi è difficilissimo partire per studiare all’estero, a meno che non abbiano una famiglia particolarmente ricca. Lo stipendio medio è di 3 euro all’ora, che con il crollo del rublo potrebbe abbassarsi ulteriormente a 1.50. La nostra università ospitante si è dichiarata favorevole alla guerra e questo potrebbe essere un problema. Sarebbe legittimo smettere di collaborare con questa istituzione, ma allo stesso tempo è necessario trovare un modo per permettere agli studenti russi di partire e studiare all’estero.

Un ringraziamento da parte di tutta la redazione va ai ragazzi, con i quali contiamo di rimanere in contatto per eventuali sviluppi futuri.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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