Disturbi alimentari: la bulimia
Il rapporto con il cibo è diventato assurdamente complesso per moltissime persone. Secondo la Società italiana per lo studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA) le persone colpite sono circa 8.500 all’anno; questi dati evidenziano una netta prevalenza del genere femminile, ma anche una preoccupante e costante crescita di quello maschile. Ogni anno i disturbi alimentari causano la morte di 3.240 persone, nel 20% dei casi ragazzi tra gli 8 e i 14 anni. Tutto questo solo in Italia.
In tanti individui, inoltre, anche se non ci sono elementi sufficienti per una diagnosi, persistono comportamenti anomali ricollegabili ad uno o più di questi disturbi. Il silenzio a tale proposito è decisamente troppo, ed anche le poche volte in cui se ne parla, si fa fatica ad andare in profondità. Descrivere le malattie, spiegando quali siano i comportamenti che le caratterizzano e aggiungendo dati statistici, non è sufficiente ai fini di una vera sensibilizzazione e conoscenza del problema.
Oggi inizieremo a presentarle, affinché riusciate approfondire ciò che sapete a riguardo.
Perché mangiare è diventato un problema? Perchè esiste il famoso “senso di colpa”? Come è possibile che la maggior parte di noi abbia interiorizzato a tal punto questo mindset da reputare “normale” questa sensazione? Gli alimenti sono, per definizione, sostanze “indispensabili al normale svolgimento di funzioni fondamentali per l’individuo e per la specie” (da l’Enciclopedia Treccani): è solo cibo che entra nel nostro corpo, il quale lo distribuisce secondo le sue necessità. Perché allora odiarlo o odiare noi stessi in relazione a quanto mangiamo?
Esistono diverse tipologie di DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), ma le “classiche” sono: anoressia, BED (Binge Eating Disorder) e bulimia; in questo primo articolo cercheremo di raccontare qualcosa di quest’ultima.
La bulimia è caratterizzata dall’assunzione rapida ed incontrollata di grandi quantità di cibo seguita da metodi per espellerlo, solitamente lassativi o vomito autoindotto. Si tratta di uno dei disturbi alimentari più subdoli che ci siano: è invisibile. Ricordiamo, innanzitutto, che anche di bulimia si può morire: ci sono persone che si sono tolte la vita per qualche grammo in più, altre che sono state portate via da un grave shock di disidratazione e via dicendo. Le ripercussioni esistono, insomma, e possono essere irreversibili.
In Fame d’amore, la scrittrice Fabiola De Clercq– che in prima persona ha sofferto di questo disturbo- spiega la contraddizione di questa malattia: la persona bulimica, infatti, “è posseduta dalla brama di mangiare tutto ciò che trova, in modo automatico, seriale, e insieme nutre l’ideale anoressico del corpo magro, in cui è certa di trovare la soluzione del suo disagio”. Il fortissimo desiderio di estrema magrezza, quindi, viene infranto dall’individuo stesso che lo prova. Scatta allora la punizione.
Tuttavia, non sempre chi ha questo disturbo alimentare desidera un corpo esile, gracile. Talvolta trasferisce le proprie frustrazioni e sofferenze sull’alimentazione. Quest’ultima è tangibile, riesce dunque a concretizzare problemi o disagi insiti nella nostra mente. La sensazione di sazietà opprimente alla fine dell’abbuffata può essere la prova che stiamo male davvero.
Le crisi bulimiche sono indescrivibili tanta è la sofferenza che le caratterizza. Una volta innescate, talora anche da minime trasgressioni, la persona entra in uno stato di trance. “Pensa” solo ad ingurgitare quanto può: cibi cotti, crudi, congelati, con la carta o avariati senza la preoccupazione per il dopo. “Nei primi dieci minuti spesso non ci si rende neanche conto di mangiare”; dopodichè “è come ritrovarsi al volante di un’automobile lanciata in piena corsa”, spiega la De Clercq nel sopracitato libro, “e rendersi conto dopo pochi minuti che i freni, lo sterzo, il cambio non funzionano. L’unica possibilità è andare avanti lungo un percorso obbligato”. L’atto di procurarsi il vomito che segue è estremamente violento e via via più doloroso, perché il corpo è sempre più disabilitato da questa pratica. Ma questo è nulla rispetto all’angoscia che attanaglia una persona che, dopo una crisi, sa che non può non farlo. Il meccanismo che si innesca, infatti, è come quello della tossicodipendenza.
Tantissime persone vivono in questo incubo. Noi cosa possiamo fare? Non sarebbe semplice stilare una lista delle possibili cause riconducibili alla bulimia, perchè sono estremamente soggettive, come le soluzioni. Certo è che dietro questi comportamenti c’è una profonda sofferenza che ha bisogno di essere presa sul serio. In particolare, come già accennato, si tratta di un DCA estremamente subdolo, quindi è possibile avere accanto persone che ne soffrono e non averne la minima idea. Non mostra molti segnali, ma quelli che dà possono essere davvero determinanti. Ascoltare se stessi è importante, ma per creare una società compatta bisogna prestare attenzione anche a ciò che dicono gli altri. Essere sensibili e solidali. L’amore e la gentilezza, nelle loro forme più pure, possono davvero aiutare chi soffre di disturbi alimentari ad appigliarsi ad altro e a rivedere la luce del sole.