La Cultura dello Stupro
La cultura dello stupro si tramanda da secoli, in ogni parte del mondo. Pur se in diversa entità e frequenza, la violenza sessuale contro le donne è sempre esistita e, se in passato era accettata come una pratica comune, oggi dovrebbe essere vista per quello che è: violenza gratuita contro un altro essere umano. In caso di guerra lo stupro era – ed è tutt’ora – considerato una forte arma psicologica che non solo deprava i corpi delle donne che lo subiscono, ma diventa un modo per spaventare i civili, punire e ferire i mariti, i fratelli e i padri delle vittime: si parla in questo caso di stupro di guerra.
Nell’età classica gli antichi greci, gli eroi che incarnavano il cosiddetto principio del “καλòς και αγαθός” (bello e valoroso), quando conquistavano le città prendevano con sé le donne del villaggio e le rendevano concubine o abusavano di loro: era un segno della loro vittoria e un grave danno agli avversari che, se ancora vivi, si trovano senza mogli e figli o a guardarli subire molestie da parte dei propri nemici. Ci sono molti tragediografi che nelle loro opere parlano della consuetudine di rendere le donne il premio dei soldati che avevano vinto la guerra, considerandole come meri oggetti. Ne è un esempio Andromaca, la moglie di Ettore, la cui storia viene narrata da Euripide nelle “Troiane”: la moglie del principe, eroe omerico, diventa un bottino di guerra e finisce schiava di Neottolemo. Secondo alcuni autori, proprio la sua condizione di schiava avrebbe poi portato la donna al suicidio. Un altro esempio è l’episodio spesso narrato del “ratto delle sabine”, risalente alla fondazione di Roma, in cui le donne delle popolazioni latine furono rapite dai loro villaggi da Romolo per procreare e popolare la Roma appena fondata.
In età moderna, questa pratica si è protratta dalle conquiste vichinghe dell’Inghilterra fino alle guerre di colonizzazione in Asia e America. Nel corso delle due guerre mondiali, innumerevoli donne e ragazze sono state ripetutamente violentate dai soldati che si trovavano nei loro paesi a combattere contro i loro padri e mariti: ne sono un caso le “comfort women”, donne fatte prostituire in Giappone in quegli anni per divenire oggetto di piacere dei soldati.
Per citare esempi più recenti, nelle guerre in Cecenia, in Serbia e in Ruanda le violenze contro le donne delle popolazioni sono state sistematiche e cruente: in Bosnia, ad esempio, nei campi di concentramento le donne musulmane subivano abusi ed erano messe incinta per “epurare l’etnia”.
Ad oggi, con la guerra in Ucraina, lo stupro di guerra continua ad essere perpetrato dai soldati russi invasori. I primi casi sono stati riportati dalla vicepremier ucraina Olha Stefanishyna, che ha condannato apertamente le storie di donne violentate per strada, davanti a padri e mariti e poi assassinate. Purtroppo, queste violenze non sembrano essere sul punto di finire: si contano più di 25 mila pillole del giorno dopo inviate in Ucraina.
Se solitamente questi crimini vengono ricondotti agli uomini, non significa che non ci siano donne a favore: è stato eclatante il caso della telefonata intercettata tra un soldato russo e la sua fidanzata che, apertamente, lo incita a stuprare le donne ucraine: questo non solo indica che i soldati sono soliti commettere queste violenze, ma che spesso anche le stesse donne si pongono come esponenti e sostenitrici di un maschilismo secolare.
Durante l’occupazione di Bucha i casi di violenza sono stati moltissimi e particolarmente cruenti: diverse donne sono state violentate fino allo stremo con l’obiettivo di disincentivarle in futuro ad avere prole ucraina, tramite il trauma psicologico e fisico subito. Molte di queste non sono sopravvissute, sono state uccise o si sono suicidate. Alcune di loro sono state chiamate “prostitute naziste”. Lo stupro diviene così anche un’arma politica: il fatto di definire queste donne “naziste” rappresenta a pieno la messa in atto del piano di Putin, ovvero divulgare informazioni errate nel proprio paese e all’estero e “ripulire” l’Ucraina da questo presunto nazismo che ne caratterizzerebbe il governo e la popolazione. Considerare tutta la popolazione terrorista giustificherebbe così ogni tipo di comportamento, anche lo stupro, in quanto viene considerato solo un mezzo per un fine.
Il problema di queste violenze è la difficoltà nel reperire informazioni, perché spesso le vittime sono restie a denunciare; inoltre, spesso non hanno giustizia: è difficile, per non dire impossibile, che dei soldati vengano processati ex post per i crimini sessuali commessi in guerra.
In questo contesto, lo stupro è una vera e propria arma contro i civili che non è esito semplicemente di una cultura maschilista atta a traumatizzare le donne: infatti, queste violenze non si stanno limitando alla popolazione femminile. Sono stati denunciati casi di stupro anche tra i ragazzi delle popolazioni ucraine, che vengono abusati dai soldati in mezzo alle strade. Il fatto che vengano presi di mira sia donne che uomini evidenzia che l’obiettivo sia umiliare e distruggere i civili e lo stato. Lo stupro di guerra si differenzia dalla “classica” violenza sessuale perché non si tratta mai di un solo caso isolato e non riguarda solo un genere (nonostante la maggior parte delle vittime sia donna), ma è una pratica sistematizzata e spesso premeditata dalle gerarchie militari per ferire la popolazione. È un danno a lungo termine che impatta la vita della vittima, della sua famiglia, della società in cui vive.
Nonostante ci sia al giorno d’oggi una maggiore sensibilità nel cercare soluzioni che aiutino le vittime di violenze a denunciare e la società sia più mobilitata verso questo tema (si vedano ad esempio le proteste a Tallinn contro gli stupri del mese scorso), i danni provocati rimangono ancora in secondo piano rispetto a quelli militari e non c’è una procedura valida sempre da seguire che garantisca giustizia e un equo processo.
La violenza sessuale in guerra richiama ad una più generale cultura dello stupro, in cui la donna è vista da sempre oggetto del desiderio e del piacere dell’uomo; i casi di vittime di sesso maschile si presentano come una tragica eccezione alla regola secondo cui le vittime di questi abusi sono quasi esclusivamente di sesso femminile.
Le donne sono dall’alba dei tempi vittime indirette della guerra, mai in prima linea, ma sempre a combattere una battaglia più subdola e ugualmente violenta nelle loro case, nelle strade, di fronte ai loro figli, che le priva di ogni dignità e spesso della stessa vita.
Come, la tradizione femminista riporta nello studio sociologico delle relazioni internazionali, questo è il risultato di una storia e una cultura bellica dominata da decision makers uomini che, soprattutto nel caso di un regime come quello russo, utilizzano pratiche come lo stupro come strumento del terrore.