Concedersi una pausa
Quante volte succede di arrivare a sera e rendersi conto di aver trascorso tutto il tempo senza far nulla? Ho sprecato una marea di ore, diciamo. Ecco, in questo nuovo articolo cercheremo di argomentare proprio su questo, mettendo in luce le varie possibili risposte all’inevitabile frustrazione che queste situazioni generano.
Con giornata produttiva, tendenzialmente, intendiamo 24 ore nelle quali riusciamo ad incastrare doveri, faccende e incontri tra amici alla perfezione. Immaginiamo una giornata frenetica, stancante per il corpo, per la mente o per entrambi e le attribuiamo una connotazione positiva. Spesso, insomma, ci vediamo come delle macchine che più fanno e meglio è, ma meglio per chi? Quanto questa mentalità è effettivamente coerente con il nostro essere umani?
Ci piacerebbe dire che spesso quando passiamo una giornata nell’ozio in verità leggiamo, annotiamo i nostri pensieri, guardiamo un bel film, ma la verità è che il più delle volte spendiamo ore su Instagram, il massimo che scriviamo è un messaggio su Whatsapp e guardiamo serie tv scadenti per il puro gusto di distrarci. Non è sempre così, ovviamente, ma quando ci abbandoniamo ad un libro o ad un documentario è più raro il senso di colpa, perché, almeno, in questi casi abbiamo la percezione – assolutamente corretta – di aver fatto qualcosa di vantaggioso per noi stessi, di esserci arricchiti.
A volte, però, succede di avere voglia di staccarsi da tutto. Volersi liberare dal peso di dover essere sempre produttivi e dalla pressione delle notifiche che pretendono una risposta immediata. Allora facciamo partire una serie tv che non richieda chissà quale attenzione per essere seguita e compresa, che sia superficiale, piacevole oppure ci lasciamo inghiottire dal vortice dei reels di Instagram o da TikTok e stiamo a letto, sotto una coperta, con il cervello in pausa. Magari quel giorno facciamo anche più di una merenda, perché vogliamo smettere per una volta di preoccuparci della linea, della dieta, della pelle del viso che poi ci punirà per aver consumato tanto cibo spazzatura. Rimaniamo tutto il giorno in pigiama e non ci trucchiamo, non sistemiamo i capelli, magari neanche laviamo i denti, tanto chi mi deve vedere?, pensiamo. Ci abbandoniamo a noi stessi, insomma, e tra un episodio su Netflix e l’altro talvolta ci fermiamo e stiamo un po’ in silenzio, facciamo riposare gli occhi, li chiudiamo, ci sentiamo un po’ in colpa, ma non abbastanza da metterci giacca e scarpe e uscire a prendere un po’ d’aria, ormai oggi va così, domani andrà meglio. Iniziamo a programmare per il giorno seguente una serie di attività da fare ad un ritmo insostenibile, il tutto con la tacita consapevolezza che non riusciremo mai a portarle a termine in 24 ore, poi facciamo partire un altro episodio e ci rendiamo conto che è l’ultimo, cavolo, ho guardato un’intera serie in un pomeriggio, e ora?
Tutto questo è normale. E tutto questo spesso succede perché tendiamo a sovraccaricarci per soddisfare delle aspettative che sono generalmente attribuite agli altri, ma sono solo nostre. Quello che talora sfugge è un punto di vista più ampio, nel quale noi siamo solo un piccolo puntino nel mondo. In realtà, ad esempio, bocciare un esame piuttosto che superarlo con lode importa decisamente più a noi che al collega che ce lo chiede, il quale il più delle volte vuole semplicemente confrontare il proprio risultato con un altro per averne una percezione quanto più giusta possibile. Spesso il nostro unico nemico è davanti allo specchio e l’unica voce che dice che non abbiamo fatto abbastanza, che siamo grassi, che siamo dei fannulloni è quella nella nostra testa.
Non è sempre così, chiaramente, perché talvolta esistono veramente pressioni esterne, verbali specialmente, e in quel caso è sempre necessario chiedersi: perché lo sto facendo?, ma a me importa questa cosa?. Il bello, infatti, è che più si cresce, maggiore diventa la rilevanza della nostra volontà su ciò che facciamo. Quando siamo giovanissimi andare a scuola è un dovere e stare alle regole della casa è una forma di rispetto imprescindibile (negli ovvi limiti della legalità e della deferenza reciproca). Ma via via che passano gli anni siamo chiamati a prendere decisioni importanti, così finiamo per trovarci all’università con in mano una serie di aspetti da gestire che, potenzialmente, possono essere organizzati in qualsiasi modo. Di fronte a questa libertà, l’irrinunciabile obiettivo deve essere la propria serenità: bisogna mirare ad una quotidianità che non sembri una prigione dalla quale evadere e che non sia inquinata da obiettivi comuni e casuali, bensì sia pianificata secondo principi frutto delle nostre considerazioni personali. Una pressione verbale, quindi, può essere gestita ricordando a se stessi ogni giorno le proprie motivazioni, che non è detto siano le stesse di chi ci sta intorno, ma che, nonostante questo, devono essere rispettate.
Altre volte ancora, invece, ci sono ragioni più serie alla base di questa chiusura verso il mondo che, infatti, in questi casi diventa costante. Se l’atteggiamento di rigetto verso ciò che ci sta intorno diventa persistente, quindi smettiamo di uscire e allontaniamo sistematicamente le persone che ci vogliono bene, portiamo avanti una dieta fortemente sbilanciata, abbandoniamo anche Netflix, i social e l’unica possibilità di confronto che ci concediamo sono solo i nostri pensieri, è strettamente necessario parlare con qualcuno. Come primo passo bisogna trovare la forza di rivolgersi ad una persona fidata, che sia uno psicologo, un genitore o un amico. É importante: certi atteggiamenti, specialmente se protratti nel tempo, possono essere un forte campanello d’allarme che non può essere ignorato.
Ad ogni modo, in generale, il non fare – quello sano – non è poi così male. Nell’ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla, scriveva Virginia Woolf (dal saggio Una stanza tutta per sé, 1929). A prescindere da quale sia la nostra routine, è quindi importante concedersi delle pause, anche quando ci pare di non averne bisogno, non solo per recuperare le ore di sonno, ma anche per ascoltarci, capire se camminiamo nella direzione giusta, guardarci intorno, abbandonare il solito punto di vista e percepire il nostro posto nel mondo, nel quale siamo molto più piccoli di quanto le nostre ridotte realtà ci facciano credere.