Disturbi alimentari: anoressia e BED
Oggi riprendiamo il discorso sui disturbi alimentari, cercando nuovamente di fornire informazioni in modo delicato ma efficace, per rendere più consapevole la vostra conoscenza a riguardo. Dopo avere parlato della bulimia nello scorso articolo di questa rubrica, affrontiamo le restanti: anoressia e BED (Binge Eating Disorder, detto anche disturbo da alimentazione incontrollata). Anche in questo caso parliamo di problematiche con un tasso di mortalità tristemente rilevante, soprattutto nel primo caso, dove si oscilla tra il 5 e il 10%.
Analizzandoli a prima vista, possiamo definirli come due disturbi agli antipodi. La diagnosi di anoressia nervosa, infatti, prevede una rigidissima restrizione alimentare; il binge eating, invece, si distingue per un’alimentazione incontrollata, caratterizzata da ingestione compulsiva e non prevede pratiche di eliminazione.
Quest’ultimo in particolare è purtroppo sottovalutato, forse perché comportamenti analoghi (non necessariamente patologici) si possono riscontrare nella maggior parte degli individui, tuttavia rimane un problema molto serio. Da eventi sporadici si può passare ad una regolarità pericolosa per il nostro organismo, che sostituisce con l’abbuffata un confronto con problemi e traumi. Allora, anche una piccola questione può essere ingigantita e può portare in cucina senza il minimo controllo di sé. A tutti noi sarà capitato talvolta di mangiare molto e cedere alle golosità che abbiamo davanti: questo non è BED. Se ci sentiamo in colpa successivamente può essere il segnale di un rapporto non pacifico con l’alimentazione, ma il disturbo da alimentazione incontrollata è più profondo. Il cibo è odiato e amato allo stesso tempo, diventa una proiezione inconsapevole di ciò che proviamo e ogni boccone è una frustrazione che sembra svanire, perché la mastichiamo e non esiste più. Tra le conseguenze più deleterie abbiamo: obesità grave (nel 2017 Adnkronos ha riportato una media di 57 mila decessi annui in Italia), depressione (seconda causa dei decessi nel mondo, secondo un rapporto dell’Ocse) e bassa autostima.
Tuttavia, tra il BED e l’anoressia ci sono anche punti di contatto. Chi soffre di uno di questi disturbi è tormentato dal pensiero ossessivo del cibo e la paura costante di ingrassare, evita di mangiare in pubblico o, se non può farne a meno, tende a farlo con parsimonia e il più lentamente possibile. Solitamente, inoltre, soprattutto nel caso della seconda, si può parlare anche di dismorfofobia, cioè il timore cronico e immotivato per un presunto difetto fisico o per il proprio aspetto in generale. Se una persona rifiuta con determinatezza il cibo che le viene offerto, spesso chi le sta intorno tende ad insistere. Provando a forzare qualcuno, però, due possono essere i risultati: la persona cede alla tentazione, scelta che quasi sicuramente innescherà una crisi appena sarà sola, oppure è pervasa da un tale senso di disagio che eviterà di uscire le prossime volte. Talvolta cadiamo in errore: pensiamo che chi rifiuta il cibo voglia stare al centro dell’attenzione e affondiamo quindi nella superficialità più deleteria, che ci porta a non considerare questi piccoli segnali. Ma allora come dovremmo comportarci in questi casi?
Se una persona soffre di un disturbo alimentare, cedere ad una patatina davanti a tutti non la aiuterà mai a stare meglio: si tratta, infatti, di disagi psicologici. A monte di questi problemi ci sono spesso tanta insicurezza, fragilità e tristezza; l’unica soluzione è cercare di scoprire da quali pensieri, eventi, relazioni o contesti sociali derivino. Ancora una volta, quindi, gli strumenti che abbiamo in mano sono ascolto e gentilezza. Far sentire qualcuno speciale, ricordargli che esiste e noi lo sappiamo. Se una persona mostra un disagio di qualche tipo, evitiamo di umiliarla o sottoporla ad attenzioni eccessive che chi soffre non vuole quasi mai e mostriamoci disponibili, pronti ad ascoltare e non giudicare, magari anche a non dire niente. Insomma, facciamo capire che ci siamo e questo sarà già molto importante.
Ci sono, inoltre, tanti altri aspetti da analizzare, ma, piuttosto che a livello descrittivo (internet è già pieno di articoli che analizzano minuziosamente questi disturbi), potremmo parlare del ruolo delle parole. Come già accennato nell’articolo precedente, non esistono formule magiche per risolvere questi problemi: è necessario farsi affiancare da uno specialista e il processo è lungo. Tuttavia, c’è molto che noi possiamo fare, sia a livello preventivo, sia per affiancare chiunque sia in difficoltà. In questa moltitudine, imparare a scegliere le parole può fare una differenza non da poco.
- “Quest’estate voglio diventare anoressica!”
- “Ma così sei troppo magra!”
- “Saresti ancora più bello/a se facessi un po’ di palestra… ma anche così sei carino/a dai.“
- “Scusa se lo dico, ma è proprio un/a ciccione/a.”
- “Ma che ti costa mangiare questo! Non ti succede mica nulla.”
- “Hai finito o mangi anche il piatto?”
- “Hai visto come è ingrassato/a? Prima stava molto meglio …”
Nessuno ha bisogno di queste frasi, a noi non porta beneficio dirle e agli altri non ne porta sentirne. Allora perché sono così frequenti? Partiamo dalla prima, alla quale credo sia da imputare semplicemente poco tatto e un po’ di ignoranza. Risulta particolarmente deleteria perché perpetua lo sminuimento di questo problema, già molto sottovalutato. Le altre invece, sono alla portata delle bocche di tutte noi e fanno danni inimmaginabili. Ebbene sì, malattie come queste, che entrano profondamente nella mente, spesso germogliano così. Affondano le radici l’equazione magro è bello e l’idea che piace ciò che è magro, non piace ciò che è grasso. Ma raggiungere la magrezza che si insinua nelle nostre teste è possibile solo con Photoshop; prende quindi il via una corsa su una strada lunghissima, che ti svuota passo dopo passo e che non ha traguardo. Un po’ come il paradosso di Achille e la tartaruga di Zenone, per intenderci. Questi disturbi hanno una portata tanto critica perché riguardano proprio il carburante che ci tiene in vita: il cibo. Soprattutto nel caso dell’anoressia, si inizia a flirtare con l’idea della morte e il vortice diventa sempre più travolgente.
Ma la verità è che siamo sempre padroni di noi stessi e che possiamo sempre invertire la rotta. Anche se è complicato, anche se tutti lo sapranno e penseranno che sono debole, anche se gli altri mi compatiranno senza davvero capirmi. Ad un certo punto non si tratta più degli altri, ma della nostra vita, che è il dono più prezioso che abbiamo.
Lo scrittore inglese Matt Haig, nel suo libro autobiografico Ragioni per continuare a vivere racconta che, nel periodo della sua vita in cui la depressione sembrava stesse per avere la meglio, è stato il pensiero della sua fidanzata in lacrime sul suo corpo a frenarlo. Immaginare il dolore dei suoi genitori. Non siamo mai soli e ci sarà sempre qualcuno pronto a volerci bene e a lasciarci libera la sua spalla per riposarci un po’. Basta tenerlo a mente.
E noi, intanto, cosa possiamo fare? Amare, amare e ancora amare.