Forme nascoste di perfezionismo

Nell’immaginario comune un perfezionista aspira a “raggiungere, nel proprio lavoro o nella propria attività, una perfezione ideale non facilmente attuabile”: immaginiamo, insomma, qualcuno dall’ambizione estenuante o ossessionato dai dettagli, una persona estremamente meticolosa e precisa. In qualsiasi stereotipo che spontaneamente ci viene in mente, però, mancano una serie di atteggiamenti e modi di fare altrettanto ricorrenti e potenzialmente problematici: In punta di piedi, in questo articolo ci dedicheremo proprio a questi.

Cominciamo la nostra discussione parlando della procrastinazione che, per essere capita, ha bisogno innanzitutto di una specifica importante. Tendiamo a pensare che, se sei un perfezionista, tutto quello che vuoi è raggiungere l’eccellenza, ma questa correlazione è in realtà incompleta: non abbraccia, infatti, il non voler commettere il minimo errore durante il percorso, l’aspettativa di non imbattersi in nessun tipo imprevisto e la paura di quell’ansia travolgente in caso di “fallimento”. Continuare a rimandare lo svolgimento di un lavoro, quindi, specialmente se non abbiamo scelto volontariamente di farlo, non è più pigrizia, bensì un naturale modo di proteggersi, di evitare lo stress e i modi in cui si manifesta su di noi ed indica anche, spesso, il normale desiderio di non voler deludere se stessi e le presunte aspettative altrui.

Oltre a questo, altri segnali sono la mancanza di spontaneità e i problemi di fiducia. Per quanto riguarda la prima, il perfezionismo ne è parte integrante perché rende overthinker professionisti, abili creatori di scenari improbabili e difficili: diventa faticoso, quindi, seguire l’istinto perché farlo priva della sicurezza, tanto illusoria quanto di conforto, di poter gestire qualunque cosa accada solo perché l’abbiamo precedentemente messa in conto. Il tema della fiducia, invece, si intreccia alla nostra discussione sia in termini di autostima che in relazione al prossimo. Credere in sé e nelle proprie capacità richiede accettare di non essere infallibili, essere disposti a subire qualche contrattempo grazie alla consapevolezza di sapersi autogestire e curare di sé, tutti aspetti in cui i perfezionisti a volte fanno molta fatica. A proposito del rapporto con gli altri, invece, è rilevante la fiducia nel loro giudizio e nell’approccio che hanno alla vita; il perfezionismo, al contrario, come ha spiegato la terapista e scrittrice Amy Morin per Forbes, porta talvolta ad essere intransigenti e molto critici verso chi non rispetta gli standard più elevati. 

Inoltre, anche i disturbi del comportamento alimentare sono un esempio che si incastra perfettamente nella nostra discussione di oggi. Che si tratti di anoressia, bulimia o binge eating, per menzionare i più diffusi, il filo lilla che fa da collegamento è spesso voler seguire un regime perfetto, non permettersi sgarrare, volere il controllo se non lo abbiamo più da qualche parte o volerlo perdere, per una volta, se mantenerlo a tutti costi a lavoro, nelle relazioni e nello studio è il nostro obiettivo quotidiano. Come l’esperta del settore Lauren Muhlheim ha spiegato, però, non è facile capire quale sia la natura di questo collegamento: alcune ricerche mostrano che segni di perfezionismo sono spesso manifesti prima del disturbo alimentare; altre ne testimoniano la persistenza anche durante e dopo il percorso di recovery; altre ancora suggeriscono che la necessità di controllo ed eccellenza venga meno quando il DCA inizia ad essere trattato.

L’ultimo punto sul quale ci soffermiamo riguarda come ci raccontiamo agli altri. Nascosti in bella vista, nel modo in cui ci presentiamo sono spesso presenti segni evidenti di perfezionismo: ne osserviamo ora i tre principali, che possono escludersi a vicenda o talvolta coesistere. In pole position abbiamo parlare male di sé in caso di fallimento o errori, un modo di fare che suggerisce che il proprio valore è strettamente correlato ai successi raggiunti piuttosto che al modo di essere, ai sentimenti provati e al semplice fatto di esistere. Dopodiché troviamo nascondere i propri successi: tornando alle parole di Amy Morin, pur di non riconoscere il proprio talento, i perfezionisti tendono ad attribuire i meriti alla fortuna o a continuare a criticarsi con frasi quali “Avrei dovuto raggiungere il mio obiettivo più velocemente” o “Se fossi stato più intelligente non avrei dovuto lavorare così duramente”. Infine, sminuire i propri problemi si collega al nostro discorso perché può indicare la necessità di mantenere un’apparenza di controllo, di perfezione e di infallibilità.

Dunque, se ci sentiamo chiamati in causa da questo discorso, come possiamo darci una mano? Prendendo atto nuovamente che andare in terapia ad esplorare il proprio vissuto e le proprie emozioni rimanga uno degli strumenti più potenti, dato che in Italia non è ancora un servizio facilmente accessibile, vediamo due consigli più pratici alla nostra portata. Uno di questi è la cosiddetta exposure therapy, che si basa sull’idea che l’esperienza ha un impatto molto forte sul nostro modo di vedere le cose. In questo caso si tratta di prendere di petto le proprie paure, concederci di sbagliare, ad esempio, e vedere che non succede niente di ingestibile: questo può insegnarci che siamo capaci di affrontare gli imprevisti – che sia chiedendo aiuto o cambiando i nostri piani – e che perdere il controllo non ci definisce né è un indice di debolezza (semmai, anzi, è segno di umanità). 

Nel caso in cui non ci sentissimo pronti a questo, però, può essere utile anche una semplice ridefinizione dei propri metri di giudizio: calibrarli ad una realistica valutazione di noi può concederci di metterci alla prova senza subire eccessivo stress, episodi di ansia o addirittura di depressione; allo stesso modo, vedere gli altri come mondi da scoprire piuttosto che da giudicare può regalarci relazioni più profonde e appaganti. Insomma, essere molto scrupolosi e precisi è positivo finché non ci danneggia, finché non ci paralizza facendoci agire seguendo la paura, finché non rovina il rapporto con noi stessi e il prossimo.

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