La donna: un’immagine che vende?

La suggestione, la finzione e l’abbandono della routine a favore di una dimensione lontana dalla realtà: ecco cos’è la pubblicità! Essa estrapola momenti quotidiani della realtà, che esaspera o modifica, rispondendo al bisogno elementare dell’uomo di sognare.

Tuttavia, spesso la pubblicità non è così affascinante come appare. La pubblicità – parte del fulcro dell’economia di uno Stato – ha lo scopo di influenzare le scelte del destinatario e di persuaderlo a comprare il prodotto che si reclamizza. La pubblicità deve richiamare l’attenzione del pubblico e già a partire dagli anni ’50, se pur in parte inconsapevolmente, essa sfruttava temi come sessismo, razzismo e stereotipi. Ancora oggi, tanti sono gli esempi di pubblicità stereotipata, come quella della gioielleria Pandora che identifica il modello di donna-madre: “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa le farebbe felice?”

Addirittura, in altre pubblicità, per richiamare l’attenzione a livello visivo, si utilizza il corpo della donna; esso viene proposto con modalità particolari, esaltando la sua esibizione. Il problema è che, in alcune pubblicità, il corpo femminile viene utilizzato in maniera inadeguata e non consona. Ad esempio, la pubblicità di un bowling a Messina focalizza l’attenzione sul seno di una donna affermando: “nuove bocce al bowling”.

In questo modo viene mostrata la donna sensuale e tentatrice, associata ai prodotti più vari e spesso “oggettivata”, come nel caso della ‘bionda’ delle pubblicità Peroni: “Chiamami Peroni. Sarò la tua birra”; o del più recente spot dell’auto Giulietta di Alfa Romeo: “lo sono Giulietta. Prima di parlare di me, provami”.

La domanda sorge spontanea, perché utilizzare la donna e il suo corpo in maniera non pertinente alla sponsorizzazione di qualsiasi prodotto?

Sicuramente, il fascino esercitato dall’immagine femminile è uno strumento di facile cattura dell’attenzione di cui la pubblicità ha una sete inesauribile. Però, utilizzandolo in maniera non pertinente, si sta implicitamente svalorizzando l’essere umano, poiché se si è convinti che il corpo attraente della donna in pubblicità attiri quest’ultimo, si è altrettanto convinti che l’uomo sia così mentecatto da scivolare sempre nei soliti stratagemmi. Inoltre, se l’obiettivo è quello di “far cadere l’’occhio”, dovremmo perseguirlo perché è giusto attirare l’attenzione; tuttavia, farlo in un modo più attinente, senza favorire gli stereotipi e senza il dilagare della volgarità che finisce per trionfare con allusioni, parole e ambiguità di ogni tipo.

Il problema in pubblicità non è tanto la donna o il nudo in quanto tale, che non dovrebbe più scandalizzare, ma le conseguenze alle quali conduce la “realtà” pubblicitaria. In essa si trova un solo canone di bellezza, dettato dalle mode, che si riflette nell’immagine femminile poiché la donna viene rappresentata come un essere perfetto e viene trasformata nell’oggetto del desiderio dell’uomo.

Così, le donne diventano solo corpi svuotati da ogni contenuto poiché l’aspetto estetico viene considerato un valore sociale: una ragazza si sente costretta, fin da subito, a misurare la propria autostima in base al proprio aspetto fisico. Le pubblicità hanno contribuito all’inseguimento di un sogno che, in quanto tale, rimane solo ideale: l’ambizione di un corpo perfetto. Dunque, il sogno equivale a un “sonno della ragione” che, come insegna Francisco Goya, talvolta genera mostri. Spesso, la corsa alla perfezione si trasforma in odio per il proprio corpo, finendo per trattarlo da oggetto… proprio come le pubblicità fanno. La perfezione rientra in quella spasmodica ricerca della felicità che non terminerà mai, data la perenne insaziabilità dell’uomo.

Dunque, il problema è che ci si confronta con una società che, a partire da questa finzione pubblicitaria, non rappresenta la figura femminile per com’è davvero, ma tenta sempre di nasconderla dietro stereotipi e canoni che non fanno altro che distorcere la realtà e illudere la collettività stessa. È come se vi fosse quel velo di Maya di cui trattava Schopenhauer: tra gli uomini e la vera realtà è presente uno schermo che fa vedere essa in modo distorto e non per come è veramente. Il problema giunge quando viene rimosso il velo poiché si genera il cosiddetto “strappo nel cielo di carta” di cui trattava Pirandello: si mostra la società senza l’impalcatura dei valori, pregiudizi e stereotipi creati dall’uomo stesso su cui quest’ultimo aveva fondato tutte le sue certezze. Rimuovendolo sembra quasi che l’essere umano non riesca a fare a meno dei soliti canoni dettati da secoli.

Fortunatamente, la politica italiana ha deciso di schierarsi dalla parte di chi pensa che sia giusto trovare un modo per attirare l’attenzione dei cartelloni pubblicitari per vendere, ma non mettendo in primo piano il corpo femminile non concorde col prodotto da vendere.

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121, recante disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali.”

Così pubblica la “Gazzetta Ufficiale” il 10 novembre. Assomiglia a un qualunque tedioso nuovo decreto sul codice della strada del quale ci si potrebbe disinteressare non appena lette le prime righe. Tuttavia, tra i 26 articoli c’è una straordinaria novità: l’introduzione del divieto di forme di pubblicità da contenuto lesivo dei diritti della persona costituzionalmente garantiti. Dunque, viene vietata qualsiasi forma di pubblicità presente su strade e veicoli avente contenuto sessista, violento, offensivo, lesivo dei diritti civili e avente forma discriminatoria.

Nonostante i cartelloni pubblicitari costituiscano solo una piccola parte del vasto mondo dell’advertising, il decreto-infrastrutture rappresenta certamente un passo in avanti. Un miglioramento è dato anche da alcuni brand che hanno inaugurato nelle loro pubblicità concetti quali l’“empowerment” e il “body positivity” come strategia di marketing. L’esempio eclatante è l’azienda ‘Dove’ che ha deciso di sfidare i concetti di bellezza mandando in onda lo spot “Real Beauty”, il quale vedeva rappresentazioni realistiche di donne.

Dunque, non è sbagliato mostrare la donna o il nudo in pubblicità, se ciò si verifica in maniera consona. Come già anticipato, la pubblicità deve attirare l’attenzione del pubblico, tuttavia, è necessario che ciò avvenga cercando di sfociare sempre nell’attinente, nel consono, nel pertinente.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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