Stare al mondo

Tutti abbiamo vissuto o dovremo fare i conti con dei periodi che non augureremmo a nessuno, dominati da stanchezza e tristezza. A volte ci sentiamo stupidi quando non c’è neanche qualcuno o qualcosa da incolpare: un esame, un fidanzato, un genitore. Ci guardiamo intorno: tutto è dove deve essere, eppure ci sentiamo insoddisfatti, come se mancasse sempre qualcosa. E a volte fa un po’ paura. Nel corso degli anni è impossibile quantificare quante persone si siano sentite così. Manifeste nei modi più diversi, queste emozioni possono travolgere chiunque. Talora possono fare una pressione che a volte sembra insostenibile, altre lo diventa e si registrano tante vittime (la stima è di circa 4000 l’anno). È ciò che cercheremo di analizzare nell’articolo di oggi.

La depressione è, come abbiamo accennato nell’ultimo articolo, il disturbo mentale più diffuso (più di 2,8 milioni di persone solo in Italia secondo l’ISTAT) e spesso è associata all’ansia cronica grave (circa il 7% della popolazione oltre i 14 anni). Ci sono molti aspetti che potremmo analizzare a riguardo, per esempio la correlazione con la condizione socio-economica, quanto sia determinante avere un impiego stabile, il frequente rifugio nelle sostanze stupefacenti (in aumento soprattutto tra i giovani tra i 15 e i 34 anni) o ancora la rilevanza di una buona istruzione. Questo può fornire una maggiore conoscenza del problema e, senz’altro, una migliore gestione del disagio per chi si occupa di strutturare piani riabilitativi e quant’altro. Ma a noi cosa serve davvero sapere?

Partirei con una nozione semplice: la depressione è una malattia che può condurre alla morte. Una volta fatta propria questa definizione, molte risposte al problema apparentemente plausibili svaniscono immediatamente: “dai ma vieni a ballare con noi!”, “forza, su con la vita!”, “pensi che stare chiuso in casa ti porterà da qualche parte?”. Nessuna di queste frasi ha senso per una persona che ne soffre. Insomma, non basta solo un po’ di buona volontà.

Spesso sottovalutati, esistono i “campanellini d’allarme”. Lungi da me voler suggerire di vivere ogni momento drammatico come fosse l’ultimo, anche perché l’equazione tra tristezza e depressione non tiene conto di quanto l’ultima abbia un impatto non solo a lungo termine, ma anche pervasivo sulla vita quotidiana. Matt Haig, nel libro autobiografico dove racconta la sua esperienza, spiega con un esempio questa verità: la malattia non è una parte del corpo da cui puoi dissociarti. Se hai mal di schiena puoi dire: “Questa schiena non la sopporto più!” e creare una specie di scissione tra il dolore e te stesso. Il dolore è qualcosa di estraneo, […] ma almeno non è te. Con la depressione e l’ansia, invece, il dolore non è una cosa a cui puoi pensare, perché sono un pensiero. Noi non siamo la nostra schiena, ma siamo i nostri pensieri.

Tuttavia certe sensazioni e determinati atteggiamenti possono essere il preludio di un disturbo ansioso-depressivo. Frequenti crisi di pianto, anedonia (cioè incapacità di trarre piacere dalle cose), improvvisa introversione e affaticamento immotivato ne sono alcuni esempi. Spesso, quando ci troviamo faccia a faccia con un’emozione negativa, di qualunque tipo sia, tendiamo a minimizzarla. Però, come eliminare la cellulite dalle foto di Instagram non la rende invisibile sul nostro corpo, cercare di sminuire la nostra percezione del problema non lo rimpicciolisce veramente. Il più che si può ottenere è un po’ di frustrazione: sapere che qualcun altro soffre di mal di schiena non allevia il dolore, come non lo allevia pensare a chi ha mali peggiori. Ogni emozione è degna di essere vissuta così come viene percepita: non esiste una scala oggettiva per misurare le nostre reazioni alle situazioni della vita; invece, abbiamo a disposizione un ventaglio di opzioni per evitare di lasciarci sopraffare.

Razionalizzare, ad esempio, è ben diverso dal ridimensionare. A tale proposito, cercare di trasferire le emozioni permette di gestirle in maniera più efficace: fare brainstorming, scrivere, disegnare, suonare, cantare e correre sono tutti esempi di attività che consentono di vivere le proprie sensazioni e alleggerirne il peso. Quest’ottica ci può aiutare a capire i fenomeni autolesionisti, che spesso sono i più difficili da comprendere ed empatizzare. La chiave del problema è proprio questa: si cerca di trasferire un disagio psicologico in uno fisico, tangibile e gestibile. Ovviamente così facendo si allontana un problema sostituendolo con un altro, se non affiancandolo, ed è una pratica tanto pericolosa quanto diffusa (l’ANSA riporta che un ragazzo su 5 ha compiuto atti autolesivi).

Nella XXIV epistola a Lucilio Seneca, nel lontano periodo tra il 62 e il 65 d.C., suggeriva all’amico come liberarsi dalle paure. Ricordati, anzitutto, di vedere le cose nella loro semplice realtà, scriveva, senza esterne deformazioni: ti renderai conto che in ogni avvenimento non c’è niente che debba far paura, se non la stessa paura. Capita anche a noi, grossi fanciulli, quello che capita ai fanciulli: essi si spaventano se vedono mascherati i loro stessi amici […]. Bisogna togliere la maschera non solo alle persone, ma anche alle cose, e restituire loro il vero volto. 

Nessuno di noi è perennemente felice, anzi, dunque per evitare di sprofondare nei nostri pensieri è necessario imparare a conoscerli ed organizzarli, senza vergogna né timore e, quando necessario, con il supporto di uno psicologo.

Quando vivi con la depressione sei inibito ed ogni piccolo oggetto o evento è in grado di destabilizzarti: ogni emozione è amplificata e così lo è anche l’auto consapevolezza. In questa circostanza, ad esempio, l’idea di viaggiare risulta particolarmente inquietante. C’è chi non riesce neanche ad allontanarsi dalla propria camera o addirittura dall’angolo del letto nel quale è rannicchiato da giorni, figuriamoci se l’idea di partire è contemplata. Ma vivere se stessi ad alto volume è controproducente e, nel bilanciarlo, spostarsi è molto d’aiuto: viaggiare è una lezione di modestia, disse Flaubert, ci fa capire quanto è minuscolo il posto che occupiamo nel mondo. Nuovi stimoli sono in grado di inaugurare pensieri e riflessioni che, anche se ancora connotati in negativo, sono comunque qualcosa in più rispetto a ciò che avevamo prima, un guadagno.

Anche l’attività fisica è in grado di regalare ampi benefici. Abbiamo la possibilità, attraverso i movimenti, di dare forma alle nostre emozioni (a tale proposito la danza risulta la disciplina perfetta). Inoltre, sempre più in voga, anche lo yoga riesce garantisce effetti benefici; in più, è una disciplina pressoché unica nel suo genere: tratta il corpo e la mente come parte dello stesso tutto.

Una delle caratteristiche di chi soffre d’ansia è quella di trasferire il catastrofismo rapido ed inarrestabile che inquina i pensieri in palpitazioni, sudorazione eccessiva e formicolio. La mente inizia a perdersi fra tutti i possibili eventi disastrosi che potrebbero avvenire o essere avvenuti e li percepisce come prossimi, reali e a suo carico. Altre conseguenze, spesso successive agli attacchi di panico ma non necessariamente, sono la derealizzazione e la depersonalizzazione. Di questo si parla ancora molto poco, ma è importante riportarne la definizione: il fatto che ve ne sia una garantisce a chi l’ha provata la sicurezza di non essere solo, che sia un vero problema e che, come tutti, si possa imparare a gestire. Questo disturbo è caratterizzato da una “sensazione di scollegamento dal proprio corpo o dai propri processi mentali, come se si stesse osservando la propria vita dall’esterno (depersonalizzazione), e/o dalla sensazione di essere dissociato dall’ambiente circostante (derealizzazione)” (da MSD). A svantaggio di questi disagi, esistono nuovamente diverse possibilità. Meditare è una di queste. Non si intenda chissà quale bizzarra seduta di gruppo: anche solo chiudere gli occhi, godersi il silenzio e visualizzare un’immagine rilassante può essere d’aiuto. Concentrarsi sul proprio respiro e accettare la propria momentanea condizione, senza cercare di contrastarla, sono altri due possibili strumenti. Il bello della mente umana è che, sebbene talvolta presenti degli inconvenienti nel suo funzionamento, sa anche come risolverli a patto che ci alleniamo a mantenere la calma. 

Ansia e depressione possono colpire chiunque tra noi. Sono dei disturbi subdoli e, a tale proposito, la sottovalutazione sociale (specialmente per quanto riguarda i “campanellini d’allarme”) non è d’aiuto. A volte pensiamo che certi atteggiamenti siano mossi da una ricerca di attenzioni e connotiamo immediatamente questo come negativo: ma chi di noi non ha bisogno di un po’ di amore e premurosità? Forse, facendo uno sforzo, possiamo essere più solidali e, senza farci troppi problemi, aiutarci l’un l’altro. Dare ascolto e disponibilità agli amici più cari e regalare un sorriso, un complimento o un piccolo aiuto a chiunque che gioverà non solo a loro, ma anche a noi. L’amore è, al solito, l’arma più potente. Darne dà soddisfazione quanto riceverne, se solo individuiamo le vere priorità e diventiamo consapevoli quanto basta di noi stessi. Se vuoi rendere gioiosa la tua vita, lascia ogni preoccupazione per essa. Nessun bene giova a chi lo possiede, se il suo animo non è pronto a perderlo; ed è più facile accettarne la perdita se, una volta perduto, non può essere rimpianto (Seneca, IV epistola a Lucilio).

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