Stare bene, seconda parte: stare soli
Se è vero quanto detto nell’ultimo articolo, che per superare i momenti di difficoltà vale la pena contare sulla propria amicizia, è vero anche che si può imparare a godere della propria compagnia anche in una bella giornata in cui abbiamo il cuore leggero. In questo In punta di piedi, allora, proviamo a parlarne: qual è la differenza tra stare soli ed esserlo? Cosa possiamo fare e come gestire le paure più comuni?
Intanto, per rispondere alla prima domanda, possiamo affidarci a questa semplice definizione della psicologa Sarah Adler: essere soli è in realtà un mero dato di fatto; significa che non sei con altre persone. La solitudine è un’emozione che descrive la sensazione di tristezza attribuita alla mancanza di connessioni. Questa distinzione ci aiuta a capire perché, in effetti, non è necessario sentirsi in imbarazzo se siamo al cinema, ad esempio, senza gli amici: non è triste né deprimente se ti stai divertendo e stai passando una buona giornata. Ovviamente, nell’ipotesi in cui ci sentissimo isolati o trascurati non dovremmo vergognarci, ma non sarebbe neanche la stessa cosa: saremmo in una posizione di fragilità.
Una remora molto comune quando parliamo di una qualsiasi attività in solitaria è, che ci piaccia o no ammetterlo, l’opinione degli altri. Ma, se è vero che la felicità è semplicemente lo stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato (dal dizionario Treccani), perché partire dall’assunto che chi non è accompagnato non sta bene? Un preconcetto del genere emerge anche nel nostro modo di giudicare chi ci circonda: guarda quella, poverina, è da sola al tavolo a fare colazione, quando magari, più che di una Ellen Andrée che posa per Degas, è una ragazza che semplicemente non è con altre persone. Se giungiamo a queste conclusioni così frettolosamente sugli altri, è comprensibile che riserveremo lo stesso trattamento a noi quando ci troveremo in quella situazione. Questa è l’unica cosa su cui abbiamo davvero il controllo e per cui ha senso sforzarsi: non possiamo impedire agli altri di giudicarci tristi se siamo da soli, ma è anche vero che le opinioni altrui hanno a che fare con chi le pensa più che con chi le stimola e che, quindi, in realtà non ci riguardano.
Ci sono, generalmente, situazioni in cui stare da soli è più socialmente accettato di altre e, addirittura, ve ne sono alcune ritenute degne di ammirazione: viaggiare, ad esempio, è giudicato coraggioso, ma andare al ristorante senza qualcuno è triste. Se questo è da una parte comprensibile (perché legato a delle convenzioni sociali che di per sé non sono offensive né discriminatorie), dall’altra è bene che non guadagni il potere di condizionarci così tanto. Finché rispettiamo gli altri e le eventuali regole, siamo più che liberi di fare ciò che ci fa stare bene senza farci troppi problemi. É meglio essere felici e far cringiare qualcuno piuttosto che non esserlo mai.
Inoltre, è importante iniziare a dar peso alla propria narrazione e al modo in cui parliamo a noi stessi. Se, quando sbagliamo qualcosa, iniziamo a fare la lista dei nostri insuccessi e degli errori commessi, ad usare le nostre insicurezze contro di noi in una lunga critica personale nella nostra testa, non arriveremo da nessuna parte. Per godere della propria compagnia è necessario trattarsi con rispetto. Non possiamo pretendere di riuscire a passare una bella giornata essendo tanto autocritici: saremmo insopportabili!
La lista di ciò che possiamo fare da soli non differisce tanto da quella delle attività in compagnia, ma proveremo comunque a presentarne alcune che sembrano essere particolarmente benefiche. In generale, ad ogni modo, possiamo dire che il tempo passato da soli è salutare quando: è volontario; manteniamo al contempo delle relazioni positive con gli altri (in altre parole, non ci isoliamo); ci sentiamo bene (lista della consulente educativa Kendra Cherry in Things to do by yourself). Su quest’ultimo punto vale la pena aprire una parentesi: nell’intendere cosa significa “stare bene” dovremmo cercare di superare gli stereotipi e associare a questa idea, talvolta, anche il pianto, il senso di vuoto e la confusione quando sono conseguenze di un’azione introspettiva che ci porterà ad essere più consapevoli di noi.
Iniziamo con un’escursione in mezzo alla natura che, come prima esperienza, è un’ottima alternativa: essendo molto gettonata come attività da svolgere in solitaria, ci libera da quell’iniziale (e comprensibile) imbarazzo legato all’eventuale giudizio altrui. Prendere questa abitudine ci può quindi aiutare ad apprezzare la nostra compagnia e a rendere meno forzate e più piacevoli le altre attività che potremmo fare in seguito. Inoltre, indietreggiare un po’ dagli ambienti sovrastimolati a cui siamo abituati ci permette di entrare davvero in contatto con noi stessi, di capirci e conoscerci: diverse ricerche suggeriscono infatti che essere soli nella natura può aiutarci a focalizzare le nostre priorità, essere più appagati nelle relazioni e migliorare la definizione degli obiettivi futuri.
Un secondo suggerimento è quello di mettersi alla prova con qualcosa di nuovo come la pittura, il disegno, uno sport, una ricetta particolare o qualsiasi cosa sia potenzialmente in grado di stimolare il nostro interesse. Anche in questo caso, ovviamente, l’atteggiamento e gli obiettivi sono determinanti. Iniziare un’attività ex novo e pretendere di essere bravi ai primi tentativi non è realistico: certo, può anche succedere che dal forno esca una buona torta, ma da quale presupposto razionale può venire l’aspettativa convinta di un grande successo? Il senso principale di queste attività non è aggiungere una nuova skill sul curriculum, ma l’atto stesso di vivere qualcosa di nuovo, di sfidarsi, di uscire dalla propria zona comfort.
L’ultima proposta è andare ad un concerto. Il bello di questi eventi è l’atmosfera che li caratterizza, quel sentimento di unità che compatta un ampio numero di persone che non si conoscono. In un grande gruppo impegnato a cantare, a vivere l’emozione di una canzone dal vivo durante la quale ogni cuore batte allo stesso ritmo, la nostra individualità è ben presente e dissolta allo stesso tempo. Possiamo lasciarci andare, interpretare a squarciagola quel pezzo che ci piace tanto insieme a tanta altra gente che, presa dalle proprie emozioni, fa lo stesso. Questa libertà può tradursi in un’esperienza davvero catartica, per non parlare di quanto, a questi eventi, sia facile incontrare nuove persone con cui condividere una passione.
Dopo di che, una volta che ci sentiamo più a nostro agio, possiamo sfidare le convenzioni e andare al ristorante, al cinema o addirittura in un altro paese da soli, innamorati della nostra compagnia e di tutto quello che ci può offrire.