Toxic positivity: quando l’ottimismo forzato diventa un problema
Quante volte, aprendo i social, vediamo un mondo in cui tutto è perfetto, in cui la foto di una persona sorridente, curatissima e in perfetta forma non ci sembra solo un attimo colto da un professionista al quale ne sono seguiti tanti altri, ma tutta la sua vita. Pagine di pseudo-incoraggiamento, poi, condividono continuamente foto di bigliettini che recitano no bad days, good vibes only e chi ci circonda in un momento di difficoltà ci ripete che non ci sono motivi per piangere, perché va tutto bene.
Così come, però, c’è una linea non poi tanto sottile tra Instagram e la realtà, altrettanto si può dire distinguendo l’ottimismo dalla positività tossica. In questo nuovo articolo In punta di piedi, allora, proviamo a spiegare questa differenza e a presentare l’insidiosa toxic positivity nei suoi caratteri principali.
- Di cosa si tratta?
Secondo Tabitha Kirkland, psicologa e professoressa presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Washington, è un modo di rispondere alla propria sofferenza o a quella di qualcun altro che si manifesta con la mancanza di empatia. Respinge le emozioni invece di affermarle e, spiega, potrebbe provenire da un luogo di disagio, come una situazione in cui vogliamo essere d’aiuto ma non sappiamo cosa dire.
Non coincide, quindi, con l’ottimismo, perché in questo caso le emozioni negative vengono accettate con la consapevolezza che, in un modo o nell’altro, sarà possibile affrontarle: ad un atteggiamento tossico, invece, è estranea la fase del riconoscimento e l’approccio ad un momento di difficoltà è il rifiuto.
- Conseguenze nei rapporti
Per quanto riguarda la relazione con gli altri, per quanto le classiche frasi incoraggianti possano sembrare, sul momento, essere quelle giuste, spesso hanno solo l’effetto di far smettere di parlare l’altra persona. La Kirkland porta questo esempio: se un amico ci confida una diagnosi negativa che ha ricevuto, le sue preoccupazioni per il futuro potrebbero essere difficili da sentire per noi. Invece di ascoltarlo, quindi, potremmo interromperlo e rassicurarlo goffamente, perdendo così l’occasione di essere davvero d’aiuto.
A volte anche i genitori incappano nello stesso errore: davanti ad un figlio che piange, ripetendogli che sta bene e che non deve farlo, non c’è niente per cui star male, alla lunga lo educano solo a reprimere i suoi sentimenti.
Ci sono situazioni in cui, invece, la realtà che non vogliamo accettare riguarda la nostra vita. Diverse ricerche, tuttavia, hanno provato che reprimere le proprie emozioni porta solo a stare peggio in seguito. Questo è vero sia alla luce del fatto che un qualsiasi disagio, finché non viene affrontato, rimane al nostro fianco passo dopo passo, seppure in forme diverse, sia in virtù di uno studio pubblicato sul sito della NIH (National Institutes of Health), agenzia del Dipartimento della Salute e dei Diritti Umani degli Stati Uniti. In quest’ultima sede è stato infatti dimostrato che gli individui che accettano piuttosto che giudicare le proprie esperienze mentali possono raggiungere una migliore salute psicologica, in parte perché l’accettazione li aiuta a provare emozioni meno negative in risposta ai fattori di stress.
- Come evitarla
La mindfulness, cioè letteralmente la consapevolezza, è una delle pratiche più funzionali. A discapito del classico luogo comune, non chiede di mettersi a gambe incrociate, appoggiare il dorso delle mani sulle ginocchia, unire pollice ed indice e fare un paio di respiri profondi affinché la mente sia libera: in realtà, ha puntualizzato lo psicologo Ty Lostutter, non si tratta di non avere pensieri, ma di lasciarli entrare e poi farli andar via. Riconosci quando i tuoi pensieri vagano, ci spiega, e cerca di riportare la mente al presente. Concentrati sul tuo respiro. Quando si allontanano di nuovo da te, riportali indietro delicatamente.
Un secondo mezzo di cui disponiamo è il nostro modo di vedere i sentimenti: piuttosto che concentrarci solo su come ci fanno sentire, possiamo iniziare a pensarli come strumenti. Tutte le emozioni hanno uno scopo e nascondono informazioni utili su come stiamo nel mondo che, per essere colte, hanno bisogno che ci concediamo quantomeno di provarle. Bisogna poi quindi riconoscerle, cercare di capirne la provenienza e imparare a gestirle.
Infine, specificatamente in relazione al rapporto con gli altri, è utile mettere in chiaro quello di cui abbiamo bisogno e ciò che, confidandoci, cerchiamo: in molte occasioni, infatti, più che di una lista di consigli o frasi fatte, quello che ci fa sentire meglio è sapere di essere ascoltati da qualcuno.
Essere felici, insomma, non significa tanto non attraversare brutti momenti ed avere sempre il sorriso sulle labbra, quanto concedersi una vita piena di ogni tipo di emozione. E poi, per quanto una dieta sana con pasti instagrammabili, un fisico tonico, i capelli luminosi e un impiego ben pagato possano essere indici di benessere, non saremo mai davvero in salute finchè non avremo affrontato i nostri conflitti interiori, i traumi del passato e tutto ciò che, in un modo o nell’altro, ci rallenta e ci fa star male.