Quando non gli piaci abbastanza
Almeno una volta sarà capitato a tutti di frequentare qualcuno ed incolpare il tempismo, le differenze o la distanza appena l’altro fa un passo indietro. Tuttavia, per quanto lungi da questo articolo voler minimizzare le varie ragioni che possono portare ad una rottura, c’è un gruppo di circostanze in cui la verità è una sola: non gli piaci abbastanza, per citare il film di Ken Kwapis con Jennifer Aniston, Ben Affleck e tanti altri. Cerchiamo di definirle, allora, nei loro caratteri generali e di capire come interiorizzarle in modo proficuo.
Per trattare l’argomento nel modo più completo possibile ci affidiamo allo psicologo Roberto Rocha e a No le interesas in particolare, un episodio del suo podcast che fa proprio al caso nostro. Seguendo il suo ragionamento e immaginando di avere a che fare con qualcuno da poco, qualcuno che sembra essere coinvolto ma non ci dà effettive dimostrazioni, ci sono tre atteggiamenti che sono chiari segnali di un interesse insufficiente.
- Ti cerca e sparisce. In questo caso, di solito veniamo contattati con un fine molto pratico – che sia qualcosa di fisico, un’uscita al cinema o una cena -, ignorati per una o più settimane e poi invitati di nuovo in giro o a parlare di un suo problema e così via, come in un circolo vizioso. In una situazione del genere, non è che all’altra persona non faccia piacere la nostra compagnia: semplicemente, non c’è interesse affinché entrambi stiamo bene e siamo soddisfatti. Dal canto nostro, invece, per quanto possiamo impegnarci a rispondere in maniera fredda quando veniamo contattati dopo settimane di silenzio, se non siamo in grado di capire davvero che questo non è quello che meritiamo, quell’invito continuerà ad essere come acqua nel deserto e non riusciremo a declinarlo una volta per tutte.
- Ti dice “sì” ma non “quando”. Ipotizziamo di uscire con qualcuno che conferma interesse nei nostri confronti – magari anche aggiungendo quanto gli piacciano il nostro modo di vedere il mondo e il nostro corpo – ma che non fa mai il passo decisivo di dare un nome al rapporto. In questo caso, bisogna che prima o poi ci rendiamo conto che il nostro aver bisogno di capire cosa succede non corrisponde ad una incapacità di vivere il momento, bensì ad una comprensibile necessità alimentata dall’atteggiamento non chiaro di chi abbiamo davanti. Lasciare il tutto in un limbo mal definito significa inoltre che, nell’ipotesi in cui il nostro pseudo partner voglia fare un passo indietro, noi non meriteremmo neanche chissà quali spiegazioni: non eravamo niente, stavamo solo passando del tempo insieme, rischiamo che ci dica mentre piangiamo con il cuore spezzato.
- Si mostra confuso e poi, di punto in bianco, mette il turbo. Questo è l’atteggiamento di chi, quando iniziano a sorgere dei dubbi, invece di fermarsi, si butta a capofitto nella relazione, per poi metterla in pausa bruscamente perché non sa cosa gli succede o gli/le è venuto in mente l’ex. Di solito a questo segue un “rimani accanto a me, ho bisogno di te” che, purtroppo per noi, tendiamo ad interpretare in termini di “sei speciale, solo tu mi puoi capire”, anche se alla realtà appartengono solo le due seguenti possibilità: questa persona userà il nostro affetto per stare meglio e poi andrà avanti senza di noi o, in alternativa, non risolverà mai ciò che ha in sospeso e se ne servirà per creare una relazione in cui ha tutti i benefici di un rapporto serio senza impegnarsi.
Una volta consapevoli di tutto ciò, però, non è detto che siamo pronti a lasciar andare e questo può avvenire per diverse ragioni. Innanzitutto, è un oggettivo dato di fatto che la confusione dell’altro ci disorienta: a volte la premura regna sovrana e altre ci troviamo ignorati per un bel po’ senza essere cambiati in qualche modo. Ovviamente poi, non avendo noi accesso alla mente di questa persona, cerchiamo una risposta nella nostra e ci incolpiamo. Da qui iniziamo a credere che l’ascolto, la pazienza, le prestazioni sessuali e i consigli che abbiamo messo a disposizione non siano stati abbastanza e cerchiamo di cambiare, di assecondare nuove fantasie o bisogni del momento pur di essere scelti. Così, iniziamo a credere che la relazione con lui/lei ci darà la vera felicità, ignorando che questa è fatta di tante altre componenti, dal lavoro alla famiglia fino agli amici e gli hobby. Dulcis in fundo, la nostra memoria selettiva interviene alimentando una speranza negativa (che si distingue da quella positiva in quanto non ha possibilità di accadere) fondata solo su quegli sporadici grandi appuntamenti e che non tiene conto delle settimane di silenzio in cui l’altro era presente solo sotto forma di dubbio e ansia nei nostri pensieri.
Imparare a rinunciare a rapporti del genere non è sicuramente facile. Quanto segue dipende dal nostro modo di essere, però in generale più o meno tutti nel momento in cui siamo presi da qualcuno tendiamo a vederne solo i lati migliori e il potenziale latente. Per evitare questo, abbiamo uno strumento di cui possiamo servirci: concentrarci su quello che l’altro effettivamente ci offre oggi, non su ciò che supponiamo sia capace di darci un giorno. Ora magari questa persona è in grado di regalarci appuntamenti in cui ci sentiamo al settimo cielo, ma che costanza ha nel farlo? E poi, quanto di questo benessere è dato dalle nostre aspettative e da ciò che abbiamo proiettato su di lei e quanto, invece, è correlato a quello che stiamo effettivamente ricevendo? Quanto ci stiamo accontentando pur di vedere del buono nel suo modo di trattarci?
In fondo a tutto questo c’è, insomma, una grande lezione che dobbiamo imparare: volerci bene e avere sufficiente amor proprio da capire che meritiamo un amore costante e sincero. Non serve convincersi di essere tanto speciali per “meritarlo”: infatti, basta tenere sempre a mente che, in quanto semplici esseri umani, tutti siamo all’altezza gli uni degli altri e nessuno merita il potere di usare i nostri sentimenti per stare meglio. Mettere da parte il rispetto per noi stessi affinché chi ci circonda stia meglio non è nobile come sembra e, se pare essere l’unico modo per alleviare le pene dell’altro, allora forse noi – che in effetti non possiamo proprio salvare tutti – non siamo le persone giuste per questo compito.