“Lo sai cosa significa no?”, dialogo sulla consensualità
Mercoledì 12 ottobre, nella terza giornata della quinta edizione del festival Uman, che quest’anno ruotava attorno al tema generale della sfida, si è tenuta presso il dipartimento di Sociologia una conferenza con Valeria Fonte, attivista, divulgatrice femminista e recentemente autrice del libro “Ne uccide più la lingua”, sul tema della consensualità e della cultura dello stupro (rape culture in inglese).
La conferenza si è aperta con la seguente domanda: “Avete sentito parlare del concetto della cultura dello stupro? C’è qualcuno dei presenti che crede che questo concetto non esista?”. Questo termine viene coniato nel 1993 nel saggio “Transforming a Rape Culture” dalla professoressa di letteratura inglese della Saint Catherine University Pamela Fletcher, e dalle scrittrici Emilie Buchwald e Martha Roth. Queste definiscono il concetto di rape culture come:
“Un complesso di credenze che incoraggia l’aggressività sessuale maschile e sostiene la violenza contro le donne […] e che normalizza il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne ”.
Successivamente, Fonte ha chiesto al pubblico quali fossero le prime parole, le prime frasi o le prime immagini che ci venissero in mente relative al concetto di stupro, domanda a cui è stato risposto con: “Se l’è cercata”; “Non consensuale”; “Com’era vestita”; “Potere” “Violenza”; “Lividi” e “Essere calpestati”.
L’ospite ha mostrato al pubblico una serie di clip di pubblicità e alcune scene di film “rom-com” più celebri e conosciuti come “Twilight” e “Cinquanta Sfumature di Grigio”, chiedendo quindi al pubblico di individuare gli aspetti problematici in queste scene. Tale attività è servita a mostrare come questi erano stati romanticizzati e normalizzati all’interno di una relazione tra uomo, definito come soggetto avente potere di insegnare e di imporre, e donna, soggetto passivo. L’attivista poi ha problematizzato il fatto di normalizzare e romanticizzare i seguenti atteggiamenti tossici e pratiche illeciteperché in primo luogo viene trascurata la questione del consenso da parte del partner durante un rapporto sessuale, in secondo luogo c’è un reale rischio di non riconoscere lo stupro, che nell’immaginario comune è una situazione di violenza fisica tra due persone estranee, situazione che accade ma che è solamente una piccola parte del fenomeno.
In un secondo momento, si è trattato del tema del victim blaming . Questo concetto è stato introdotto da una video-clip del Grande Fratello Vip in un momento di discussione tra il presentatore Alfonso Signorini e due concorrenti Sara Manfuso e Giovanni Ciacci. In questa clip viene mostrato come Signorini invalida la reazione di Manfuso, che è stata vittima di una violenza sessuale, in una situazione in cui un concorrente le aveva toccato il sedere. La concorrente si era sentita a disagio e aveva reagito a tale sensazione ridendo, ed Alfonso le aveva detto che doveva imparare ad evitare di ritrovarsi in queste situazioni. Successivamente, Fonte ha mostrato una serie di titoli di giornali locali e nazionali in cui venivano descritte situazioni in cui l’aggressore era stato assolto per violenza sessuale per via del suo stato di lucidità. Questi esempi illustrati dall’ospite hanno messo in luce primo il fatto che nessuno reagisce allo stesso modo di fronte a situazioni di potenziale aggressione, in più imporre o consigliare ad una persona come dovrebbe rispondere, soprattutto se sa di ritrovarsi in tali circostanze e se è sola, potrebbe metterla in una situazione di ulteriore pericolo. Un altro problema sollevato è quello della narrativa giornalistica la quale ha la responsabilità di non legittimare determinate dinamiche come l’assoluzione al reato di aggressione per via dello stato di lucidità della vittima o altri particolari come una porta non chiusa.
Alla fine della conferenza, c’è stato spazio per alcune domande del pubblico.
“Nel parlare di questi temi, c’è sempre tanta nicchia, cioè noi siamo studenti universitari istruiti ed informati su questo tema però al di fuori dell’ambiente dell’università mi ritrovo di fronte a persone che non sanno e che non credono a tale concetto. Quindi cosa dovrei fare per poter attuare un confronto con la realtà al di fuori dell’università?”
Fonte: “È normale che per una persona che ha 60, 70 anni e che è cresciuta secondo una determinata pratica o costume sia molto difficile decostruire ciò perché attuare tale processo significa far crollare l’identità di una persona. Però non escludo la possibilità di un confronto, in cui non mi impongo di voler insegnare, se ci sono le condizioni per attivare un ascolto attivo da entrambi le parti. L’unico aspetto critico che sollevo è il fatto che lo Stato permetta dinamiche di non ascolto, cioè che consideri il fatto di ignorare una libera e legittima scelta. Un altro consiglio che voglio lasciare è di fare e di praticare l’arte della retorica perché quando una donna sa parlare bene, lei scuote le fondamenta.”
“In che modo possiamo ridare un significato alla parola consenso che è stata svuotata da tanti cavilli e modi per aggirare la concretezza del suo significato?”
Fonte: “La parola consenso è stata svuotata perché è stata messa in bocca ad un pubblico privilegiato maschile che è stato legittimato a parlare apertamente di consenso e che usa questa parola e le sue inclinazioni in maniera inopportuna. Ritengo che l’uso e la scelta di determinate parole abbia sempre un peso e che non contino le intenzioni, in quanto descrivono una visione più o meno soggettiva della realtà che ci circonda. Possiamo riappropriarci di questa parola decidendo quali inclinazioni, come quelle che abbiamo discusso assieme, vogliamo inserire nel termine consenso”.
“Questa è una domanda che mi pongo e faccio sempre quando partecipo a questi eventi. Noi, studenti universitari che partecipano e si informano, siamo una bolla o una comunità?”
Valeria: “Domanda molto interessante e che è difficile da rispondere. Personalmente, mi sono ritrovata in certe situazioni in cui ero in una bolla e in altre dove ero immersa all’interno di una rete sempre rimanendo nell’ambiente femminista. Quindi dipende molto da come gestiamo ogni singola situazione in determinati contesti, però diventiamo una rete quando diffondiamo e parliamo di questi temi al di fuori delle mura universitarie attraverso l’attivismo, la divulgazione ma anche attraverso le conversazioni con i nostri amici e conoscenti”.
Lasciamo alla fine di questo articolo i profili di due associazioni e ed un’applicazione che potete utilizzare nel caso in cui vi troviate in situazioni di molestia o aggressione perché chiedere aiuto in queste situazioni è di vitale importanza e non c’è nulla di cui vergognarsi.
Collettivo C.L.A.R.A (@ilcollettivoclara): uno sportello di supporto legale e psicologico gratuito per le vittime di diffusione di immagini e video a sfondo sessuale non consensuale.
Donne per Strada (@donnexstrada) un’associazione no profit che offre un servizio di sicurezza da remoto per poter rientrare in casa in tranquillità di tarda notte attraverso delle dirette Instagram le quali possono essere anche prenotate con anticipo (tra pochi giorni questo servizio sarà attivo presso un altro profilo @violawalkhome).
Where Are You è un’applicazione del 112, che tuttavia non è funzionante in tutte le regioni di Italia quindi vi consigliamo di verificare, dove, una volta attivata la posizione del GPS, di può messaggiare e chiedere aiuto alle forze dell’ordine più vicine se non si ha la possibilità di telefonare.
NOTE
[1] https://www.stateofmind.it/rape-culture/
[1] Dato che non esiste una definizione univoca in italiano sul termine di stupro coercitivo, vi forniremo quello di coercizione di sessuale dove rientra potenzialmente tale pratica. La terapista sessuale Janet Brito definisce la coercizione sessuale come una situazione in cui una persona fa pressione, minaccia, manipola o inganna un’altra persona ad avere dei rapporti sessuali senza ottenere un vero e proprio consenso
https://www.medicalnewstoday.com/articles/sexual-coercion