Muri musicali

«La musica è come la vita: si può fare in un solo modo, insieme» sosteneva il compositore Ezio Bosso. Eppure, spesso, alcuni generi musicali diventano un vero e proprio muro in grado di dividere le nuove generazioni dalle vecchie. Se ne era accorto Emis Killa che nel 2018, nella canzone Donald Trump, rappa «io ci provo ma tu vuoi mettere un muro tra noi come Donald Trump». A essere paragonato all’ex-presidente americano è l’ascoltatore medio d’età avanzata che, non riuscendo a comprendere temi e linguaggi coloriti del rap, rifiuta il genere creando una barriera comunicativa tra se e l’artista.

In Italia il rap iniziò a circolare con successo negli anni ‘90, quindi i trentenni e ventenni nati in quel decennio o subito dopo sono cresciuti assieme alla cultura hip-hop. Per i più adulti, legati a melodie armoniose e cantanti dalle grandi abilità vocali, il rap, con il suo stile parlato e i testi violenti, rappresenta un modo inconcepibile di fare musica, e dunque di scarsa qualità. Può sembrare banale ma è proprio questo elemento che porta case discografiche, radio e televisioni, ancorate alle vecchie generazioni, a non investire nella musica rap per non urtare il target di riferimento, puntando quindi sulle più tradizionali e rassicuranti canzoni d’amore. «Ho portato il mio disco alle radio, l’hanno ascoltato di rado» e «dicono attento alle cose che dici perché ti ascoltano pure i minori» recitano le strofe di Emis.

Recentemente, infatti, pur di attirare pubblico giovane e sembrare al passo con i tempi, i mass-media hanno coinvolto sempre più i rapper nei loro progetti ma limitandoli. Nei vari Battiti Live, Festival di Sanremo, etc. gli artisti sono spesso costretti ad esibirsi in tarda serata (quando i bambini sono già a letto) o a censurare le parti più forti dei loro brani (Massimo Pericolo, ad esempio, nel 2021, ai Seat Music Awards, fu costretto a cambiare una parola relativa al sesso). Inoltre, in tutti questi contesti, il conduttore di turno li presenta sempre come «artisti amati dai giovani» quasi come a volerne inconsciamente prendere le distanze. Paradossalmente più i media fanno finta che questo muro non ci sia, più invece le differenze risaltano. Emis Killa descrive così le sue esperienze radio-televisive: «sto speaker non è carismatico, parla e mi asciuga come un cocainomane», «si atteggia da giovane, mi imbarazza come si comporta, mi saluta facendo le corna». L’aspetto più interessante è che le sue rime valgono per qualsiasi epoca. La stessa identica situazione si era infatti verificata in Italia negli anni ’70 con il rock: Vasco Rossi ricevette le stesse critiche di un rapper dei giorni nostri!

Che sia rap, trap, rock o pop da boyband, ogni generazione ha il suo nuovo genere che la distingue e che viene considerato dai più adulti di scarsa qualità rispetto alle tendenze del proprio tempo. Ma come sosteneva il musicologo di fine ‘800 Jules Combarieu, la musica è solo un linguaggio e come tale cambia in rapporto alla società, non può essere definita solo come migliore o peggiore di quella che c’era prima. Non è la musica in sé a creare barriere ma noi ad utilizzarla, a causa della resistenza al cambiamento, come pretesto per differenziarci da chi viene dopo. Esisterà un modo per abbattere questi muri generazionali?

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi