Qatar, autogol ai diritti umani

Dopo poche ore dal fischio d’inizio, dieci anni dopo la scelta da parte della FIFA di affidare la Coppa del Mondo 2022 al Qatar, l’emirato è al centro di critiche e dissenso pubblico per via delle violazioni dei diritti umani e per le innumerevoli morti riportate sul lavoro per le costruzioni di infrastrutture legate all’evento.
Infatti, per erigere nuovi stadi, hotel, strade e la città in cui si svolgerà la partita finale sono stati coinvolti almeno 30mila operai stranieri, pesantemente sfruttati. Secondo il “The Guardian” le vittime sul lavoro riportate ammontano almeno a 6500, ma il numero reale sarebbe ben più alto: Amnesty International ne conta 15mila.

Ad oggi numerose nazionali hanno mostrato le loro rimostranze, sulla scia delle associazioni per i diritti umani ed ambientali: la Danimarca sceglie di scendere in campo con la maglia spoglia dello
sponsor, e con la terza maglia nera in segno di lutto per gli immigrati morti sul lavoro.

Solo qualche giorno fa, la televisione pubblica tedesca (ZDF) trasmetteva un’intervista rilasciata dall’ex calciatore – nonché ambasciatore dei mondiali in Qatar – Khalid Salman, che definiva l’omosessualità una “malattia mentale”. Ricordiamo infatti che i rapporti tra persone dello stesso sesso sono considerati haram, illegali, considerati immorali dalla legge islamica della Shari’ah. Tra le pene vi sono multe, detenzione e persino la morte per lapidazione. Il Qatar afferma che tutti saranno “benvenuti” e “nessuno sarà discriminato”, ma l’amministratore delegato di Qatar 2022 Nasser Al Khater ribadisce che il governo non cambierà le sue leggi sull’omosessualità e chiede ai visitatori di “rispettare la nostra cultura”. Un recente rapporto di Human Rights Watch (poi contestato dal governo) afferma infatti che le forze di sicurezza del Qatar continuano ad arrestare cittadini gay, lesbiche e transgender, talvolta costringendoli a sottoporsi a una terapia di conversione.

A seguito di tali dichiarazioni, la nazionale australiana ha risposto pubblicando un video in cui si chiede la depenalizzazione delle relazioni omosessuali. Il Belgio segue, dichiarandosi “pienamente allineato” sulle questioni sollevate in difesa dei diritti umani: “[…] la posizione della nostra federazione, dei nostri giocatori e dei membri del nostro staff è esattamente la stessa di quella dell’Australia”.
Già nel 2021, la nazionale norvegese presentava una terza maglia speciale, con un codice QR che indirizzava a una pagina web di informazioni sugli abusi che si verificano quotidianamente nell’emirato arabo sui lavoratori che provengono dalle aree più povere del mondo. La Francia vieta le proiezioni pubbliche delle partite. Alla dichiarazione di Infantino e Samoura, rispettivamente presidente e segretario della FIFA, di “accogliere e abbracciare tutti, indipendentemente dall’origine, dal background, dalla religione, dal sesso, dall’orientamento sessuale o dalla nazionalità […] attraverso il linguaggio universale del calcio”, numerose federazioni europee, membri del Gruppo di lavoro UEFA sui diritti umani e del lavoro (Germania, Inghilterra, Belgio, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Galles, Portogallo, Svezia e Svizzera) hanno risposto ricordando che “abbracciare la diversità e la tolleranza significa anche sostenere i diritti umani, che devono essere universali e ovunque applicati”.
Numerosi sostegni alle polemiche giungono inoltre dall’allenatore del Portogallo Fernando Santos, dal brasiliano Tite, dallo svizzero Dominique Blanc e molti altri ancora.
Mentre le squadre europee scenderanno in campo con la fascia “One love” al braccio, tifosi e spettatori da casa dovrebbero ricordare che la Coppa del Mondo dovrà essere seguita senza dimenticare il costo umano che è stato pagato: non esiste sport senza valori, né sport senza l’impegno nella difesa dei diritti umani.

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