Ritorno al mare?

Sopravvissuti (pare) a quest’inverno, dobbiamo sopravvivere ai prossimi. È in quest’ottica che si può inquadrare, almeno in parte, il dinamismo nostrano nel Mediterraneo, con il cosiddetto “Piano Mattei” del governo italiano: sulle orme di Enrico Mattei, fondatore di quell’ENI che alimentò la ricostruzione italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia vuole stabilire e rafforzare le collaborazioni con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, grandi potenziali o reali produttori di gas, secondo il modello vincente di un’equa spartizione dei profitti tra Italia e Paesi d’estrazione.

Recisi i legami con la Russia a seguito della brutale guerra contro l’Ucraina, il Mediterraneo è la fonte più logica delle risorse che ci mandano avanti: la nostra storia e in primis la nostra geografia di Paese marittimo, con ottomila chilometri di coste, ci portano ad essere protagonisti (spesso poco interessati) dell’area. Nell’immaginario collettivo, è molto più forte l’importanza dell’Unione Europea e del nostro continente in generale, quando moltissime opportunità – e minacce – arrivano dal nostro mare.

Ed infatti non è solo una questione di gas. Dal Mediterraneo arrivano i commerci dall’Asia e dal resto del mondo, con i grandi porti di Genova e Trieste e quelli sottosviluppati del Sud; arrivano i flussi migratori che hanno destabilizzato a più riprese la politica italiana, con centinaia di migliaia di disperati cui abbiamo il dovere di dare una prospettiva e qualche sicurezza; sempre dal Mediterraneo arrivano poi le crescenti minacce di uno spazio di mare relativamente stretto, in cui tutti gli attori, ostili e non, hanno ormai cominciato dalla fine della guerra fredda – chi più chi meno – una politica marittima di espansione e consolidamento, nella paura di perdere l’accesso alle risorse ed allo spazio marittimo fondamentali per respirare come economia e come nazioni.

Con la fine della guerra fredda il nostro interesse verso quest’area di mondo è al contrario scemato –  la nostra diplomazia e la nostra politica hanno continuato ad intessere e rafforzare legami, ma l’implosione della Libia nel 2011 e lo scoppio delle Primavere Arabe hanno indebolito la nostra presenza nel e la comprensione del sud del Mediterraneo, proprio mentre la crisi economica e politica spazzava il Nord Africa, milioni di persone chiedevano risposte e il fondamentalismo islamico si diffondeva nell’area.
Contemporaneamente, aumentava il flusso di migranti, che tra il 2014 ed il 2017 raggiunse il suo picco ma continua tragicamente tutt’ora.

In questa situazione, con un’economia debole e una politica interna fragile, l’Italia ha perso gran parte delle proprie capacità d’azione. Intenta a ricostruirsi dopo la crisi del 2011, e con un’Unione Europea occupata nel non distruggersi, ci siamo mossi d’emergenza in emergenza, prima contro il terrorismo dell’ISIS che aveva messo radici in Libia, davanti alle nostre coste – ed in quell’occasione la NATO tornò a concentrarsi sul Mediterraneo – poi con la questione immigrazione ed i famosi accordi con le fragili autorità libiche per la gestione dei migranti. Nel mentre, attori molto più dinamici – tra cui Francia, Turchia, Russi ed Arabi – si muovevano disinvoltamente e con agende di lungo periodo, senza timore di usare la forza, mentre la Repubblica Popolare Cinese si insediava nei porti del bacino – arrivando anche in Italia tramite la firma degli accordi di partecipazione alla Via della Seta. Questo evento, unito all’arrivo dei mercenari russi in Cirenaica, ha rialzato prepotentemente l’attenzione degli Stati Uniti verso il Mediterraneo, mare strategico da cui passa un quarto del commercio marittimo globale e da sempre punto molle dell’Alleanza. La crisi innescata dalla guerra russo-ucraina ha infine ridato a quest’area di mondo l’attenzione che merita: tanto l’Unione quanto la NATO ne hanno fatto uno dei propri punti focali d’interesse, e la necessità di risorse energetiche ha proiettato verso l’Africa la nostra attenzione.

Ecco allora che, finalmente, l’Italia può sviluppare una politica di ampio respiro nella regione, unendo gli interessi energetici a quelli economici, di sicurezza e di sviluppo dell’area. Perché se è vero che la penisola è in una posizione privilegiata per incontrare e far incontrare le varie realtà del Mediterraneo, è altrettanto fondamentale la capacità di utilizzare tutti gli strumenti e tutte le risorse per costruire un mare pacifico.

La nostra politica, tendenzialmente disinteressata al Mediterraneo, ha cominciato a dotarsi degli strumenti necessari a un’opera così complessa, ad esempio tramite l’avvio della creazione di una zona economica esclusiva – fondamentale per poter dialogare alla pari con Stati più assertivi del nostro, e per stringere accordi duraturi; si è poi tornato a parlare dell’aumento delle spese militari, necessarie in un mare in cui tutti gli attori si stanno rafforzando – per quanto non possa piacere, è necessario essere capaci di difendersi prima di sedersi al tavolo delle trattative.

L’Italia ha poi davanti a sé, come dicevamo, l’opportunità storica di divenire uno dei principali snodi energetici dell’Unione: il gas del Nord Africa e dell’Asia centrale, ed in un’eventuale prospettiva futura quello russo, può essere convogliato verso nord, verso il cuore dell’Europa, dai gasdotti del nostro Paese. L’Italia accrescerebbe così il proprio peso nell’Unione, e potrebbe finalmente portare l’UE nel Mediterraneo. Inoltre, uno sviluppo verso sud permetterebbe di ridare linfa, lavoro e crescita al Sud Italia, che versa nelle condizioni che ben conosciamo, e ad un Sud del Mediterraneo in cui milioni di giovani sono attratti verso l’emigrazione, il radicalismo o le dittature dalla mancanza di lavoro e prospettive.

Anche la nostra storia e la nostra cultura favoriscono questo sforzo: escludendo il caso libico ed in parte quello greco, il colonialismo italiano è stato sostanzialmente inesistente nella regione – anzi, l’eredità di Mattei e le pratiche dell’Eni ci permettono di entrare da attori benvoluti, se sapremo definire cosa vogliamo, evitando così ripetizioni della nostra (costretta) confusione in Libia. Inoltre, la centralità dell’Italia ci garantisce la possibilità di tessere legami culturali in tutta la regione, sul modello delle iniziative culturali di vari centri quali l’AESI – che si occupa di mettere in comunicazione giovani dall’Italia, dai Balcani e dal Medio Oriente; e con una prospettiva come quella immaginata da Romano Prodi, portatore della creazione di un’università panmediterranea.

Sarà poi necessario espandersi oltre il semplice Mediterraneo, perché quel che accade nel Mediterraneo ha spesso origine al di fuori – ma vicino – ad esso: dall’immigrazione, che si origina a sud del Sahara, all’instabilità somala ed etiope che alimenta anch’essa l’immigrazione ed è causa di pirateria. All’India ed ai Paesi del Golfo, partner strategici a livello economico ed energetico in quell’area di mondo, gli interessi dell’Italia e dell’Europa si espandono su un’area che va dalle Canarie all’Oman e dal Regno Unito alla Nigeria, il cosiddetto Mediterraneo allargato.

Sarà fondamentale, in quest’ottica ed in generale, essere flessibili ed efficaci, incontrando le varie realtà senza preconcetti e creando legami nelle aree di reciproco interesse, ricorrendo a tutti gli strumenti necessari e con una visione chiara in mente. Solo così sarà possibile, con uno sforzo prima nostro e poi collettivo, dare finalmente una qualche prospettiva di pace ad un Mediterraneo che è stato, è e sarà decisivo per il nostro futuro.

Indro Furlanetto

Studente del corso triennale in Studi Internazionali. Appassionato di relazioni internazionali, geopolitica e storia.

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