La tua vita non finisce a trent’anni
Trent’anni: una data di scadenza. Così si sentono molti giovani oggi, tra la fretta di fare esperienze e il bisogno di scegliere quale direzione dare alla propria vita. Se a questo si aggiungono ansia climatica, instabilità del contesto socio-economico e geopolitico, e il rapporto controverso con i social media, diventa certamente difficile non farsi prevalere dalle preoccupazioni e dai dubbi su di sé e sul proprio futuro. Se anche tu hai mai provato, o tuttora provi, la sensazione di vivere una corsa contro il tempo e di dover affrontare decisioni che in questo momento non sai (o non vuoi) prendere, questo articolo potrebbe fare per te.
Ansia, incertezza, frustrazione, solitudine, sopraffazione. Tutte queste emozioni, e con loro molte altre, possono essere racchiuse in una singola espressione: Quarter-Life Crisis (QLC). La Crisi del Quarto di Vita può essere definita come un periodo di crisi esistenziale che colpisce molti giovani adulti tra i 18 e i 35 anni e che, come vedremo in seguito, si può dire caratterizzata da un rapporto problematico con uno o più dei seguenti concetti: successo, tempo e identità.
Gli studi sulla QLC divergono su diversi aspetti, quali il range di età dei soggetti coinvolti e i fattori determinanti. Per quanto riguarda l’età, è utile e chiara la distinzione fatta da Robinson (2015) tra le due forme di crisi: la forma lock-out, ovvero l’incapacità di entrare nei ruoli adulti, la quale concerne soprattutto i giovani tra i 18 e i 25 anni; e la forma lock-in, che, al contrario, fa sentire intrappolati all’interno di questi stessi ruoli e che generalmente colpisce gli individui tra i 25 e i 35 anni.
Come accennato in precedenza, la QLC può essere definita da uno svariato numero e tipo di fattori, i quali possono emergere o meno in base alla propria soggettività; allo stesso tempo, essa può essere scatenata dagli eventi più disparati, ad esempio la chiusura di una relazione importante o l’entrata nel mondo del lavoro. È perciò inverosimile fare una generalizzazione, come è invece possibile avere alcuni dei “sintomi” della QLC senza trovarsi effettivamente in una condizione di crisi.
Successo
Quando si parla di Quarter-Life Crisis il primo aspetto da considerare riguarda il rapporto tra giovani e lavoro. Non è una novità che, soprattutto in Italia, ci sia un problema con il lavoro giovanile: i dati Istat per il 2022 mostrano un tasso di disoccupazione del 23.7% nella classe di età 15-24 anni e dell’11.4% in quella 25-35 anni. I giovani italiani, di conseguenza, oggi si sentono costretti ad accettare lavori precari e sottopagati: secondo una ricerca diffusa da LinkedIn Italia (2017) il 77% dei giovani lavoratori tra i 25 e i 33 anni si sente “costantemente sotto pressione” e il 78% ha dovuto rivedere il proprio percorso professionale e, perciò, le proprie scelte di vita. C’è chi l’ha fatto licenziandosi, chi tornando a studiare, chi cambiando città o perfino Paese.
Sulla base di queste premesse diventa piuttosto chiaro come molti giovani abbiano un rapporto conflittuale con l’idea di successo. Lo stesso studio mostra come il 43% degli intervistati provi una forte ansia all’idea di non trovare (o non poter mai fare) il lavoro dei propri sogni, e come questa stessa emozione sia causata anche da molte altre preoccupazioni, quali non essere in grado di comprare una casa di proprietà e non avere un certo stile di vita, oltre che dalla disoccupazione, dallo stipendio e dalla carriera (soprattutto nelle donne, con un 49% rispetto al 36% maschile).
Alla luce di questi dati, emerge come il lavoro e la concezione di successo siano fattori spesso determinanti quando si parla di Crisi di Quarto di Vita. Il confronto con gli altri e le aspettative sociali su cosa, come e quando sia “giusto” percorrere certe tappe molte volte generano un sentimento di inadeguatezza e frustrazione verso se stessi. Proprio questo collegamento richiama il nostro prossimo punto, ovvero il rapporto con il tempo: vediamo perché.
Tempo
Se leghiamo tempo e aspettative sociali possiamo parlare di una vera e propria calendarizzazione sociale delle tappe della vita. Questa programmazione sistematica si riscontra non solo in ambito professionale, ma anche e soprattutto nella sfera sentimentale. A testimonianza di ciò, la sopracitata ricerca di LinkedIn riporta che il 31% dei giovani intervistati ha paura di trovare un partner. Inoltre, una ricerca pubblicata sul Journal of Social and Clinical Psychology mostra che il 23% degli intervistati hanno considerevoli problemi di stress legati alla relazione romantica: tra le sottocategorie a spiccare sono la rottura, il sesso e l’amore non corrisposto.
Un altro aspetto a cui accenna lo studio appena citato e su cui vale la pena concentrarsi riguarda la cosiddetta anuptafobia, cioè la paura di rimanere single. Sebbene gli individui maggiormente colpiti appartengano alla fascia d’età tra i 30 e i 40 anni, questa fobia può dare problemi anche ai più giovani. Tra le principali cause troviamo la pressione sociale e il retaggio culturale: essi determinano infatti quella che abbiamo chiamato calendarizzazione e che stabilisce quando è “giusto” fare certe esperienze e quali tappe di vita seguire per essere socialmente accettati. La necessità che molti di noi hanno di sentirsi conformi a un gruppo porta a cercare freneticamente di stare al passo con i tempi scanditi dalla società e a sentirsi inadeguati quando ci si trova “in ritardo” rispetto a questa tabella di marcia.
Sebbene questo rapporto conflittuale con il tempo sia connesso a molte sfere della vita, in quella sentimentale può diventare una vera e propria fonte di malessere e carenza di autostima. Come accennato in precedenza, il confronto con gli altri e il desiderio di conformità sociale sembrano spesso definire chi siamo: cerchiamo di capire come e perché.
Identità
Quest’ultimo concetto rappresenta il punto centrale della QLC in quanto questa rappresenta in primis una crisi d’identità. “Cosa vuoi fare dopo?”, “Chi vuoi diventare?”, “Dove ti vedi tra dieci anni?”: tutte queste domande costituiscono dei veri e propri dilemmi e la mancanza di un obiettivo preciso – che sia questo lavorativo o sentimentale – spesso viene scambiata con l’idea che la propria vita non abbia un senso.
Tra gli aggettivi più utilizzati da coloro che vivono questa crisi troviamo “perso”, “sopraffatto”, “solo”, “spaventato”, “bloccato”. La scelta del percorso universitario e poi lavorativo, così come la ricerca di un partner, sembrano scontati, eppure sempre più persone si trovano di fronte ad una realtà diversa dalle proprie aspettative e questo diventa spesso destabilizzante.
Spesso definiamo noi stessi in base alle nostre scelte ma, parafrasando le parole della dott.ssa Barbara Jacoby (TEDx UMD), non dobbiamo né farci limitare da esse né pensare di non poterle riconsiderare, in quanto “non c’è una scadenza per essere se stessi”. Nel momento in cui si riesce ad evadere dalla bolla delle aspettative sociali diventa più facile accettare se stessi e le delusioni, i fallimenti e i cambi di rotta che fanno inevitabilmente parte della vita di ognuno. I trent’anni non rappresentano un punto di non ritorno ma solo un eventuale momento di passaggio da vivere con quanta più serenità possibile. Riprendendo le parole della dott.ssa Jacoby: “Comporre una vita è molto più di definire obiettivi e poi vivere felici e contenti. In realtà significa reinventare se stessi ancora e ancora”. Il tempo per vivere, e soprattutto il tempo per sbagliare, non finisce a trent’anni.