In Georgia il popolo chiede a gran voce pace ed Europa

La regione caucasica è un crogiuolo di popoli diversissimi, una terra periferica per definizione, sia essa di un’area storicamente a forte influenza sovietica o di un’Europa sempre più inclusiva e di largo respiro. Il 10 marzo 2023, dopo lunghe giornate e notti di proteste, il Parlamento georgiano ha revocato la legge sui «foreign agents» che avrebbe minato l’indipendenza di media e Ong – sulla falsa riga di quanto accade in Russia e Bielorussia con normative analoghe. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare Giorgi Khachidze, uno studente di relazioni internazionali che si è messo in gioco in prima linea per scongiurarne l’approvazione. Non solo ci racconta cosa significa fare attivismo di opposizione in un paese con carenti libertà democratiche, ma ci descrive un paese tanto distante geograficamente che, come altri, dovremmo forse percepire a noi più vicino.

Cosa ha scatenato in te e i tuoi colleghi la voglia di agire e fare qualcosa di concreto per fermare questa legge? Come mai è stata percepita in maniera così forte dalla vostra opinione pubblica?

Questa legge è, fondamentalmente, una legge russa. Leggi di questo tipo non esistono in Occidente, al massimo c’è qualcosa di simile in Ungheria. Il testo pretendeva che qualsiasi organizzazione con finanziamenti provenienti dall’estero (per più del 20%, ndr.) dovesse essere registrata come «foreign agent». Va posta attenzione sul fatto che nella traduzione dal georgiano il significato di «agent» muta completamente: nella nostra lingua l’accezione del termine somiglia più a «spia». Queste persone stanno facendo del bene, sono impegnate in progetti sull’educazione, sull’uguaglianza di genere, nella sanità e molto altro. Era sbagliata sin dal principio. Come se non bastasse, era criticata aspramente anche dai rappresentanti degli Stati Uniti e dei paesi Europei: è evidente che una legge del genere avrebbe compromesso le nostre già piccole chances di entrare a far parte di Nato e Ue. Tutte le istituzioni che ci permettono di avere un’istruzione di qualità sono finanziate dall’Europa o dagli Stati Uniti, e senza il progetto Erasmus+ io e te non ci saremmo mai conosciuti, per esempio! Io e i miei amici, insomma, come molti altri, la percepivamo come profondamente ingiusta. È tutto iniziato su Messenger, sul gruppo dei compagni di corso, all’inizio soltanto per confrontarci e condividere le nostre opinioni al riguardo. Poi abbiamo pensato che forse era arrivato il momento di fare qualcosa, e abbiamo fissato la prima riunione il 27 febbraio, una settimana prima dei dibattiti parlamentari.

Torneremo a quel punto, ma prima vorrei chiederti come l’eventualità di un ingresso nell’Unione Europea è percepita dalla popolazione e a livello governativo. È popolare solamente tra giovani e studenti? Quali sono le prospettive a breve-medio termine?

Guarda, ormai da vent’anni ci sono ricerche e sondaggi che mostrano come più o meno il 70/80% della popolazione sia completamente a favore, e l’Ue è persino più popolare della Nato, attualmente. L’hai visto il video virale della donna con la bandiera dell’Ue che ha sfidato gli idranti della polizia davanti al Parlamento? Noi studenti abbiamo agito forse per primi, ma non eravamo soli: c’erano associazioni, corporazioni e il settore civile. A livello governativo la situazione è più complessa, non c’è una risposta semplice. Alcuni politici sono pro-Europa, altri meno. Non possono dire di essere pro-Russia, altrimenti nessuno li voterebbe, ma pongono alcuni dilemmi che sono effettivamente piuttosto spinosi, specie alla luce della guerra in Ucraina. Assumere atteggiamenti più critici nei confronti della Russia, unirci alle sanzioni economiche e via dicendo, significherebbe mettere a rischio la sicurezza del paese. Dipingono l’ingresso nell’Ue come un dilemma di guerra e di pace, credono e provano a farci credere che l’Europa stia provando ad aprire in Georgia un secondo fronte della guerra. Dal punto di vista pratico, la Georgia l’anno scorso (a marzo, pochi giorni dopo l’aggressione russa, ndr.) ha presentato insieme a Moldavia e Ucraina l’istanza per aderire all’Ue. Gli altri due paesi hanno ottenuto lo status di candidato ufficiale, noi no. Sarebbe un passo enorme, perché significherebbe essere certi, un giorno, di poter entrare a fare parte dell’Unione, e avere a disposizione molti fondi per adeguarsi ai parametri richiesti in termini di lotta alla corruzione, tutela dei diritti umani, indipendenza del sistema giuridico e altro ancora. In ogni caso è un’opportunità storica unica: cinque anni fa mai si sarebbe pensato di essere così concretamente vicini all’ingresso nell’Unione.

La storica controversia nelle regioni di Abkhazia e dell’Ossezia del Sud è in qualche modo legata?

Sì, inevitabilmente. Tanti georgiani, me incluso, hanno vissuto la guerra. Prima dal 1991 al 1993 e poi nel 2008. Quelle sono regioni che percepiamo come nostre, ma attualmente sono sotto il controllo della Russia. La loro occupazione ha causato morti e sfollamenti. L’integrazione europea è l’unico modo possibile per riprenderci quei territori, per essere uno Stato libero, indipendente ed economicamente prospero.

Raccontami, infine, come avete fatto ad organizzare le proteste e la mobilitazione. Ho visto dei video sulle tue storie Instagram, la folla che avevi di fronte mentre parlavi era impressionante!

Devi sapere che in Georgia, forse ancora di più che in altri paesi, gli studenti hanno sempre avuto un ruolo di politico di rilievo, storicamente. Ora la situazione è migliorata, ma in passato le manifestazioni portavano sempre con sé morti e feriti. Quando si è presentata questa situazione è stata come una presa di coscienza: «Okay, forse è il nostro turno». Alla prima riunione eravamo in quindici studenti, anche con idee politiche diverse, poi ci siamo allargati. Abbiamo pensato alle prime strategie, collaborando con il settore civile. Tutti i nostri banner e il nostro stesso nome: «Students against Russian law» erano molto semplici, ma in Georgia era questa la maniera più semplice per trasmettere il messaggio. Il primo giorno in cui la legge veniva discussa eravamo soltanto trecento o quattrocento davanti al Parlamento, nei giorni successivi siamo diventati qualche migliaio, anche fino a tarda notte. Caso vuole che proprio in quei giorni nella nostra università si dovessero scegliere alcuni corsi opzionali, e uno tra quelli, «European Union foreign policy», era tenuto da Nikloz Samkharadze, illustre professore e deputato tra i principali sostenitori della legge. Un fatto molto strano, perché generalmente era uno che si era sempre mostrato a favore dell’Europa. Siamo riusciti con la collaborazione di tutti gli studenti a boicottare il corso, e il fatto ha avuto grande risonanza mediatica grazie alla popolarità del professore. Ci hanno persino invitato in alcuni talk show. Le proteste sono durate più di una settimana ed è stata durissima, pensa che i portavoce del Parlamento ci hanno persino mentito riguardo al posticipo dei dibattiti parlamentari per farci andare a casa. Non è stato facile, avevamo paura soprattutto perché attualmente il primo partito, Sogno Georgiano, dispone di una larga maggioranza ed è governato da un oligarca che ne influenza tutte le decisioni. Sono stati tutti d’accordo per una settimana, luce verde, poi quando il «grande capo» si è reso conto che la gente non si sarebbe mossa dalla piazza, improvvisamente luce rossa. Il dibattito parlamentare è stato ininfluente. Un’altra chiave del successo sono stati eventi informativi, conferenze e la collaborazione con i media di opposizione. Siamo riusciti ad organizzare un’assemblea autonomamente gestita per spiegare a tutti gli studenti perché questa legge fosse sbagliata per il futuro della Georgia. L’aula era piena, penso sia servita a tanto. Abbiamo trovato molti più colleghi motivati a collaborare nell’organizzazione delle marce e delle proteste. A tutti questi eventi abbiamo spesso trovato dei «provocatori» inviati dal governo in incognita per metterci i bastoni fra le ruote e rallentare le proteste. Facevano commenti approssimativi, vagamente a favore della legge, ma quando gli veniva chiesto come si chiamavano, sparivano. Abbiamo superato questo, i cannoni ad acqua e lo spray al peperoncino. Alla fine, il 9 marzo, il governo si è reso conto che la protesta sarebbe stata troppo difficile da gestire e ha ufficialmente accantonato il disegno di legge.

Hai detto che una delle chiavi di volta sono stati gli eventi informativi e la collaborazione con i media, quanta libertà hanno questi enti? Come definiresti la libertà di stampa nel tuo paese?

Attualmente ci sono degli organi di stampa di opposizione e si possono trovare canali in cui esprimere il proprio dissenso, un po’ come abbiamo fatto in questa occasione. Ma l’indipendenza di questi enti è messa a repentaglio da un problema molto più rilevante, ovvero l’indipendenza del sistema giudiziario. La giustizia è in mano al governo, al 100%. Questo è il motivo per cui il direttore di uno dei maggiori media di opposizione è ora in prigione. Non ci fidiamo dei nostri giudici. Non sono giudici, sono più dei gangster che controllano tutto per mano del governo.

Grazie per l’intervista, è stato davvero interessante. Quest’estate vengo a trovarti!

Sono io a doverti ringraziare! È bello sapere che la nostra storia verrà raccontata in Italia e, cosa ancora più importante, che i problemi del nostro paese hanno risonanza anche in Europa. Solo così facendo la Georgia potrebbe veramente avvicinarsi a un futuro europeo.

Riccardo Eger

Zaino in spalla e voli low-cost, poi, nel tempo libero: tennis, giornalismo e Studi Internazionali

More Posts - LinkedIn

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi