La voce del Pride: intervista a Shamar Droghetti, Presidente Arcigay del Trentino
I prossimi 2 e 3 giugno, Trento sarà il teatro di un’iniziativa assente da anni: l’ultima edizione del Dolomiti Pride risaliva ormai al 2018. Le strade verranno colorate lungo il percorso scelto, che avrà culmine nel parco delle Albere ma, idealmente, il Pride sarà la conclusione di un percorso ben più ampio, tra i numerosi eventi e la costante rivendicazione politica di tipo intersezionale. Di seguito è possibile trovare un’intervista al Presidente Arcigay Trentino Shamar Droghetti, riuscito nel riportare il Pride sotto il Tridente.
A cosa è stata dovuta l’assenza del Pride sul territorio Trentino? Qual è stata la condizione che ha poi messo in moto l’organizzazione del tutto lo scorso anno?
Il motivo si deve leggere un po’ nella questione della pandemia, quindi in una difficoltà – come Arcigay, ma in generale per le associazioni – nel ricostruire la propria rete sul territorio dopo un evento che ha scombussolato le nostre vite. C’è stato bisogno di riallacciare i rapporti con le altre realtà del territorio e rilanciare l’azione politica. Ci eravamo posti – come prima cosa dall’inizio del mandato – di riportare il Dolomiti Pride e abbiamo impiegato un anno per trovare la struttura adeguata, per rimettere in moto la macchina associativa, poi lo abbiamo fatto: abbiamo lanciato il cuore oltre l’ostacolo, ce lo sentiamo.
L’ufficialità dell’evento è arrivata ormai un anno fa, quali sono state le sfide nell’organizzazione? Quali saranno invece le sfide che come associazione affronterete poi sul territorio?
La sfida più grande è stata mettere in moto questa “macchina”. Si lavora da 5 mesi a ritmi abbastanza serrati, con assemblee aperte, poi c’è da attivare i vari gruppi, ci sono fundraising, pre-eventi, l’accessibilità – quest’anno vogliamo un Pride accessibile, non solo per il percorso, ci saranno aree safety per chi ha bisogno di decompressione dai rumori, per esempio. Ancora, la gestione delle relazioni umane, trovare la sintesi, è fatto ragionando per sintesi, con l’obiettivo di far sentire il Dolomiti Pride un Pride di tutti, riuscendo a trovare anche un percorso che dica che l’abbiamo fatto e l’abbiamo fatto bene. Il movimento è fatto di tante istanze, come anche il documento politico è corposo, sono 30 pagine di elaborazione, frutto di un processo lungo mesi e mesi: c’è stato un lavoro di revisione e di rifinitura per trovare le parole e i modi giusti per esprimere quello che volevamo. Quello che ci aspetta è, sicuramente, un po’ di riposo, poi si ricomincia a settembre. L’anno prossimo l’Arcigay Trentino avrà 30 anni e in prospettiva ci aspettiamo un altro grande evento. L’azione politica continuerà anche in risposta a questo governo e a questa giunta.
Come avete percepito la risposta del territorio all’organizzazione dell’evento? Non solo a livello di adesioni, parliamo della comunità trentina in tutte le sue sfaccettature.
La sensazione che ho è che la città aspettasse questo Pride con un po’ di voglia, c’era aspettativa e da quando abbiamo lanciato la conferenza stampa, ma in generale già da quando a luglio dell’anno scorso abbiamo detto pubblicamente l’idea, la risposta è stata significativa. Ora spesso per strada ci fermano per chiederci di collaborare e noi siamo felici per l’ottimo riscontro da parte della società civile, prima ancora delle realtà che aderiscono. Sapevamo di avere un tessuto vicino a noi con cui facevamo mobilitazioni, ma non davamo per scontato di avere una risposta così viva e vivace. È un elemento positivo, c’era l’aspettativa di farlo.
Le Albere, così come l’intera Trento durante la marcia, si coloreranno per due giorni: qual è il messaggio che non vi stancherete mai di ripetere per tutta la durata del Pride?
Vorrei riuscire a dire che ce n’è solo uno, ma non è così. Se devo fare una sintesi: il voler dare voce a chi è oppresso, a chi è marginalizzato, a chi voce non ce l’ha mai avuta. Il Pride è “di più”, va a parlare con tutte le persone ai margini della società, vorremmo riuscire ad avere questo mantra, che è un po’ il filo conduttore in tutti gli eventi organizzati prima fino all’evento finale, vorremmo riuscire a rappresentare chi è fuori dai margini della società.
Credi che la comunità studentesca e universitaria possa avere un ruolo attivo e di rilievo nella difesa dei diritti della comunità LGBTQIA+?
Questo ruolo ce l’ha sicuramente, lo sentiamo con i sindacati studenteschi sul territorio, ci lavoriamo a stretto contatti da anni e ora in particolare per il Pride, c’è un supporto fondamentale che è, in generale, per la difesa di un mondo che è quello che vogliamo costruire insieme. Si dice che la scuola è il luogo dove si costruiscono i cittadini di domani, così l’università è il passo successivo: si dà coscienza, anche politica. Avere Trento come città universitaria permette di avere un Pride ancora più partecipato, la componente studentesca è importante.
Parlando invece dei patrocini ricevuti dai comuni della zona, qual è la posizione dei centri principali?
Sicuramente dal 2018 la scena politica è cambiata: forse allora i comuni avevano un’apprensione differente davanti a quello che poteva essere il Dolomiti Pride, forse nemmeno sapevano bene cosa fosse, forse avevano una diffidenza maggiore. Abbiamo visto fare in qualche modo ammenda da parte di Ugo Rossi che, come presidente della Giunta Provinciale, negò il patrocinio e dice che oggi lo darebbe: penso sia la chiave di lettura per far capire in quale contesto ci stiamo muovendo. Trento ha patrocinato l’iniziativa, è partner in questo percorso, ci sta aiutando ed è diventato un evento di rilevanza comunale, l’amministrazione è assolutamente vicina. Abbiamo inviato le richieste di patrocinio e l’approccio mi sembra più vicino al tema. Sono arrivati i patrocini di Mezzocorona, Pergine e Rovereto, la provincia ha detto di no e siamo in attesa di risposte dalla parte altoatesina. Siamo certi che le adesioni ufficiali da parte delle istituzioni saranno significative.
Spostando l’attenzione a livello nazionale, il governo in carica sembra molto distante dalle istanze della comunità LGBTQIA+. Come valuti, ad esempio, l’improvviso stop alla registrazione all’anagrafe dei bambini di coppie omogenitoriali?
È una posizione indegna. Si va a voler cancellare una cosa che esiste, ovvero le famiglie omogenitoriali: le famiglie arcobaleno esistono e quei figli hanno il diritto a vedere riconosciute le loro figure genitoriali. Si inserisce bene nella visione di Italia e di Mondo di questo governo, che – quando appena eletto – ci diceva di stare tranquilli perché avrebbe avuto altro di cui preoccuparsi. Noi eravamo preoccupati che sarebbero venuti da noi a limare i nostri diritti e così è stato, la nostra preoccupazione non era infondata, sapevamo che un governo di destra avrebbe fatto questo: minare i diritti delle marginalità e di tutto quello che differisce dalla visione di norma, la loro visione di norma.
Diego Morone
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