Fumetto: un genere minore? “La storia del topo cattivo”
Porta la firma di Bryan Talbot, navigato fumettista inglese, La storia del topo cattivo, graphic-novel del 1995, recentemente ristampata in Italia da Tunuè. Questa nuova edizione del 2023, contiene, oltre alla prefazione di Neil Gaiman (autore del noto Sandman), anche una breve intervista a Talbot stesso, che ci svela alcuni retroscena della storia. La nostra protagonista è Helen, un’inquieta adolescente scappata di casa che vive come senzatetto tra le strade di Londra. Lei sogna di ripercorrere i luoghi del suo idolo, la scrittrice dei racconti che leggeva da bambina: Beatrix Potter (autrice vittoriana realmente esistita, celebre per il personaggio di Peter Coniglio). Il suo obbiettivo finale è raggiungere Hilltop, nel Lake District, cittadina dove l’autrice era riuscita, dopo una vita di sforzi, a costruire una propria fattoria in cui scrivere e trascorrere l’ultima parte della sua vita a contatto con la natura. Assistiamo così al viaggio che Helen affronta incontrando numerosi tipi umani: dai vari passanti londinesi (alcuni pronti a sfruttarla, altri decisi ad aiutarla), al giovane Ben e la sua banda di stravaganti orfani, fino ai teneri coniugi McGregor.
Un inconfessabile segreto grava però sulle spalle della fragile ragazza.
Nel suo vagare Helen è sempre accompagnata da una piccola topolina che funge da vero e proprio specchio per la nostra protagonista. Come Helen stessa ricorda a Ben, i topi «hanno solo avuto una cattiva pubblicità» venendo spesso associati da tutti alla sporcizia e alle malattie. In realtà il topo è un animale estremamente pulito per i canoni del mondo animale (lava diverse volte il suo pelo nel corso della giornata), è robusto, ha pollice opponibile, vive in gruppo e si adatta bene all’ecosistema. Simbolo di fortuna nell’antica Roma, di prosperità in Cina, è addirittura venerato in India come reincarnazione della dea Shri Karniji ed è considerato il dominatore degli ostacoli per eccellenza. Anche Helen è una topolina: per le sue condizioni viene puntualmente giudicata negativamente dai passanti senza che nessuno di loro conosca davvero le sue qualità e il suo vissuto. Per la precisione, quel che Helen si porta dietro è il trauma degli abusi. Tra una disavventura e l’altra, infatti, attraverso flashback, scopriamo che dall’età di otto anni Helen subisce molestie sessuali da parte del padre all’insaputa dalla madre la quale, non avendo mai desiderato una figlia, è in preda a depressione e alcolismo. Un mese prima dell’inizio della sua storia, Helen prova a difendersi dall’ennesima avance del padre ma, senza avere neanche il tempo di spiegare, viene accusata dalla madre di essere un’adolescente maleducata (sarà proprio quest’ultimo episodio a farle abbandonare casa). A quanto pare però, genitori e passanti non sono gli unici a considerarla un topo cattivo: lei stessa si considera tale! Durante il confronto finale, rivela come le “speciali” attenzioni paterne tutte per lei, da un lato, la facciano sentire superiore alla madre ma, dall’altro, le scatenano un gran senso di colpa.
Con la storia di Helen, Bryan Talbot cerca di abbattere il tabù sull’abuso familiare. Come dice nell’intervista, infatti, nota ancora molta difficoltà nel parlarne liberamente a livello mediatico e, più che provare a cercare una soluzione al problema, prova a descrivere in maniera quasi analitica quanto l’elaborazione del trauma da parte della vittima sia un processo lento e faticoso. Sempre nell’intervista, dichiara come la novel sia il risultato di varie ricerche su testi scientifici: gli atteggiamenti e le parole di Helen, infatti, sono quelli tipici di tutte le vittime di abuso (sensazione di essere inutili, sporchi e e cattivi, scarsa autostima, intollerenza di contatto fisico e ripiegamento in sé stessi). La sua fuga è, invece, dovuta alla naturale incapacità di un bambino di gestire il trauma, a causa della mancata consapevolezza che maturerà soltanto dopo svariati anni.
Oltre l’incredibile realismo dei meccanismi psicologici, il secondo grande punto di forza de La storia del topo cattivo, è il rapporto con la letteratura e i luoghi d’origine. Helen si identifica totalmente con Beatrix Potter perché con lei condivide il nome (nome di battesimo della Potter era proprio Helen), la passione per la natura e il disegno (Beatrix era anche illustratrice dei suoi testi), la forte timidezza, il rapporto complicato con i genitori e un fortissimo desiderio di indipendenza. L’autrice è per Helen un vero e proprio modello da imitare: se Beatrix è riuscita a vincere la propria timidezza per emanciparsi e realizzare i propri sogni allora può farcela anche lei. Ma come può Helen raggiungere del tutto il suo idolo? Tramite i luoghi in cui Beatrix ha vissuto. Talbot riprende la teoria (studiata in ambito accademico da ricercatori di letteratura e geografia) per cui visitando i luoghi frequentati si possa idealmente entrare in simbiosi con l’artista, condividerne le emozioni e comprenderne le scelte e gli elementi che lo hanno portato a realizzare le sue opere così come le conosciamo. Non a caso, soltanto grazie al contatto con questi luoghi Helen, trova il coraggio di confessare il suo trauma e affrontare i genitori per l’ultimo confronto.
A rendere credibile tutto questo ci sono gli stupendi disegni. I paesaggi del Lake District sono raffigurati quasi come dei dipinti, con i colori sgargianti del verde naturale che, in totale opposizione con le tonalità oscure della città nelle tavole iniziali, spezzano la tensione accumulata fin qui nel tormentato viaggio di Helen. Talbot tramite queste ambientazioni riesce a rasserenare anche noi lettori che possiamo così accompagnare con tranquillità Helen nel suo ultimo ma decisivo passo.