Quale futuro per l’Università?
di Niccolò Bonato, Alessandra Carpenè, Martina Tessarin
La campagna elettorale per la presidenza della Provincia di Trento è entrata in università. Martedì si è tenuto nell’Auditorium di Lettere un dibattito tra i candidati alla presidenza della Provincia, i cui temi centrali sono stati l’università e il sistema d’istruzione: dal problema degli alloggi al servizio di assistenza psicologica, dall’internazionalizzazione al diritto allo studio, passando ovviamente per il come affrontare il buco di bilancio dell’Ateneo, stimato al momento tra i 10 e i 15 milioni di euro. Riecheggiava nell’auditorium il monito del rettore Deflorian di “prenderci sul serio”. Quasi un mese fa questi aveva infatti esposto i problemi e le sfide che il prossimo governo provinciale dovrà affrontare in tema di università per decidere se “confermare o ridefinire” il modello di ateneo che si vuole su questo territorio.
Al dibattito – organizzato dalla Consulta comunale degli studenti di Trento, dalla Consulta provinciale degli studenti e dal Consiglio degli studenti dell’Università – erano presenti sei su sette dei candidati. L’assente era l’attuale presidente della Provincia Maurizio Fugatti, il quale aveva fatto sapere che non avrebbe potuto partecipare al tavolo delle discussioni, con non poco disappunto da parte degli studenti e dei principali rappresentati dell’Università. Il presidente era infatti impegnato a Torino per la seconda giornata del Festival delle Regioni e delle Province autonome, durante la quale insieme agli altri governatori ha incontrato la premier Meloni. Il festival in questione è “un’occasione per rilanciare un messaggio di unità” come ha dichiarato il presidente Mattarella, intervenendo durante la prima giornata davanti ai governatori presenti. Ma anche in quest’occasione, c’era un’assenza rumorosa: al governatore Fugatti era infatti impedito partecipare, in quanto oberato dalla sua campagna elettorale: doveva essere al mercato di Cles a stringere mani. Ad ogni modo, a ricordare la sua presenza come candidato, è stato messo un cartone con la sua foto. Purtroppo il cartonato è stato di poche parole, per cui non si è potuta conoscere la visione dell’Università dell’attuale governatore.
Per le prime tre domande rivolte dalla moderatrice Marika Damaggio, vicecaporedattrice del quotidiano Il T, i candidati avevano tre minuti di tempo a testa per rispondere. In questa prima parte sono state poste le questioni più importanti in modo diretto e preciso, in particolare sui rapporti tra Università e Provincia (fattisi tesi negli ultimi anni), i problemi del caro affitti e della scarsità di alloggi per studenti e infine la delicata questione riguardo l’avvio della Scuola di Medicina. Per la seconda parte i tempi si sono ridotti a un minuto e le domande sono arrivate direttamente dal pubblico, in particolare dai rappresentanti degli studenti dell’Università.
L’evento è durato quasi due ore e mezza, sono stati toccati diversi punti e proposte idee a volte anche molto divergenti tra loro, ma in ogni caso è stata un’occasione per avere un contatto diretto e non filtrato con i possibili prossimi presidenti presenti.
Prima di passare al dibattitto, una breve panoramica dei candidati e delle liste che li sostengono.
Fugatti Maurizio: Noi Trentino per Fugatti presidente; Lega per Fugatti presidente; Fratelli d’Italia; Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro (UDC); Forza Italia; La Civica; Partito autonomista Trentino Tirolese – PATT; Fassa
Marini Alex: Movimento 5 Stelle
Valduga Francesco: Italia Viva; Campobase; Alleanza Verdi e Sinistra; Fascegn; Casa Autonomia.Eu; Azione; Partito Democratico del Trentino.
Degasperi Filippo: La me Val – Primiero Vanoi Mis; Onda; Unione Popolare
Divina Sergio: Giovani per Divina presidente; Noi con Divina presidente; Alternativa Popolare per il Trentino
Dardo Elena: Alternativa
Rizzo Marco: Democrazia Sovrana e Popolare
- Autonomia dell’Università: un successo o da rivedere?
Marini. Nel 2013 è terminato il passaggio degli oneri finanziari dallo Stato alla Provincia, l’atto finale di un processo nato nel 2009 con la sigla degli Accordi di Milano e culminato nel 2011 con la stipulazione dello Statuto dell’Università. Al tempo ci fu un dibattitto all’interno della comunità universitaria riguardo l’autonomia dell’Ateneo sia sui principi dell’attività accademica sia sul contenuto stesso dello Statuto. Nello Statuto, calato quasi dall’alto, erano state segnalate delle storture politiche, le stesse di cui adesso paghiamo le conseguenze. Ad ogni modo, non ritornerei indietro restituendo le competenze allo Stato, ma piuttosto lavorerei per scrivere un nuovo Statuto che includa maggiormente il ruolo del corpo accademico e gli studenti, proprio per affermare l’autonomia dell’Università. I principi su cui si basa lo Statuto potevano andare bene allora perché c’era una gestione del potere che tendeva a controllare tutto, però ora questi stessi principi si dimostrano inadeguati perché qualcun altro ha preso le redini della macchina pubblica. Quando in Consiglio provinciale si è voluta fare la Scuola di Medicina noi abbiamo evidenziato la necessità di un riequilibrio finanziario, in quanto i percorsi di Medicina richiedono ingenti risorse. Istituire il corso di Medicina è stata una scelta lungimirante, ma non si è provveduto a riformare adeguatamente il bilancio. È quindi necessario stabilire nuove regole, anche a livello di Statuto, per garantire dei fondi certi al funzionamento dell’ateneo.
Valduga. Sono a favore della delega alla Provincia. Ciò però non significa chiusura ed autoreferenzialità, bensì necessità di stabilire dei rapporti stretti e vincolanti tra Università e Provincia, in modo da consentire un grande sviluppo in breve tempo nella ricerca e nell’innovazione, senza che quest’ultima si sostituisca al potere universitario stesso. La questione principale, dunque, verte su come questa delega debba essere gestita, e quali sono le priorità per l’amministrazione, che dovrebbe creare una comunità in grado di risolvere anche possibili ostacoli che potrebbero presentarsi lungo il percorso. Il problema, quindi, non c’entra con il governo dell’autonomia ma risiede in come viene governata l’autonomia stessa.
Degasperi. L’Università potrebbe rendere maggiormente se fosse di competenza dello Stato. Il fatto che questa sia provinciale costituisce un problema perché rappresenta di per sé una contraddizione, e proprio per questo motivo ci sono contrasti tra l’istituzione e l’amministrazione. La delega significa dare una iper-competenza alla Provincia, ma visto che lo Stato non sarà mai d’accordo con il ritiro della delega è necessario per essa onorare gli impegni assunti. In particolare, ciò di cui stiamo parlando non è un problema di mancanza di liquidità perché nel conto della Provincia ci sono tre miliardi e mezzo di euro che possono essere spesi.
Divina. L’Università di Trento è nata dall’intuizione di un presidente del passato, Bruno Kessler, che ha fondato l’Istituto Trentino di Cultura; poco dopo nacque la storica facoltà di Sociologia della nostra Università. Oggi quello che ci manca è la progettazione, la classe politica è completamente disattenta all’investimento più importante che si possa fare, investire sulla formazione dei propri giovani; oggi chi amministra la Provincia si è distaccato da questo progetto di investimento in cultura.
Dardo. L’Università è un fiore all’occhiello della nostra Provincia. È assolutamente da mantenere il rapporto strettamente provinciale e per questo non restituirei le competenze allo Stato. Per fare un esempio, il Trentino è stato uno punto di contatto tra il mondo mitteleuropeo e quello mediterraneo e bisognerebbe sfruttare questa storica potenzialità e dunque lavorare ad una proposta che tenga conto anche delle facoltà stesse dell’Ateneo. Bisogna mantenere l’autonomia, altrimenti sarebbe un passo indietro. La mia lista e io siamo pronti a ricevere tutte le richieste che possono arrivare, e anche se siamo da poco tempo operativi sul territorio, cercheremo di andare avanti su questo punto. Saremo osservatori approfonditi di quello che succede. Infatti volevo fissare un appuntamento col rettore per capire meglio i problemi che stanno attraversando l’Ateneo e la comunità universitaria, perché secondo me e i candidati della mia lista un politico deve affrontare i problemi con chi ci vive in mezzo.
Rizzo. La lettura immediata di questa domanda è indifferente, perché prima dobbiamo individuare che tipo di società vogliamo avere complessivamente, in un’ottica di lungo periodo, e solo da lì possiamo inquadrare determinati modelli di formazione e di lavoro. Si dice che l’istruzione debba essere collegata alle richieste che vengono dal mondo del lavoro, ma la formazione delle nuove generazioni non può essere affidata solo agli andamenti del mercato. Abbiamo ancora bisogno di una formazione generalizzata e di uno spirito critico: dobbiamo fornire gli strumenti per interpretare una realtà che è in costante cambiamento.
- Scarsità di alloggi: come intervenire per calmierare il mercato e per costruire gli studentati?
Marini. Il tema degli alloggi non credo debba essere affrontato per compartimenti stagni, ma nel suo complesso: il problema abitativo non riguarda solo gli studenti, ma tutte le famiglie del Trentino. Bisogna certamente realizzare degli alloggi per garantire uno spazio dove possano studiare, dormire e vivere, però una politica intelligente dovrebbe considerare l’offerta abitativa, e dunque far interagire i vari enti preposti a dare una risposta alla popolazione, dall’Opera universitaria all’Itea (società diretta dalla Provincia che si occupa del servizio pubblico di edilizia abitativa su tutto il territorio trentino, ndr) passando ovviamente per i Comuni di Trento e Rovereto. È evidente che se aumentano gli studenti, quindi la domanda di alloggi, e l’offerta rimane costante, gli affitti aumentano. Bisogna dare una risposta a tutta la popolazione in termini di canone sociale, canone moderato e canone concordato. Bisogna formulare politiche che diano risposte collettive, così anche da favorire la convivenza tra le varie generazioni. Si può anche pensare a strutture di co-housing oltreché studentati, così da favorire l’integrazione dello studente nella nostra comunità e possa valutare di permanere nel nostro territorio. Credo che questa sia la sfida, altrimenti gli studenti si sentiranno scollegati dal territorio.
Valduga. La residenzialità degli studenti è fondamentale per uno scambio di pensiero comune e per un miglioramento collettivo e il poter studiare a un prezzo adeguato è una questione di diritto allo studio. Il tema della casa si lega fortemente alle politiche della casa, che possono essere trattate con soluzioni originali proprio grazie ai poteri dell’autonomia. Per esempio, c’è un patrimonio di alloggi sfitti che ha necessità di essere reinserito nel mercato per mezzo dell’intervento del governo provinciale: in questo modo si favorisce la restituzione del territorio a chi lo abita. Una seconda questione è la costruzione dei nuovi studentati, finanziati anche grazie ai fondi del PNRR. A partire da questo ovviamente c’è poi bisogno di migliorare altre serie di servizi a partire dalla mobilità.
Degasperi. L’autonomia viene utilizzata in maniera distorta, il problema degli affitti è presente in molte altre città italiane, dove la competenza è affidata allo Stato. A Trento non c’è carenza di territorio consumato perché l’urbanistica è al massimo livello, la questione riguarda come questi volumi vengono utilizzati, per esempio alcuni immobili che sono stati costruiti come residenze e sono poi stati trattati a uso turistico. Servono inoltre interventi sugli affitti brevi, che non sono stati trattati nella maniera adeguata. Un ulteriore problema risiede in Itea che possiede 10 mila immobili, e che in 10 anni ha speso per la manutenzione degli stessi solo 2 mln di euro.
Divina. Trento nel tempo è diventata una città universitaria con più di 15 000 studenti su una popolazione di poco più di 100 000; è necessario pensare alle esigenze di questi studenti, che oltre alla formazione hanno bisogno di altri servizi. È chiaro che in questo momento ci sia una discrepanza tra alloggi disponibili e alloggi richiesti, tutti abbiamo visto le proteste degli studenti nelle tende, ma con un buco finanziario di 10-15 milioni sarà difficile trovare le risorse per riuscire a investire sull’edilizia universitaria.
Dardo. Non mi addentro nel campo dell’edilizia perché non è il mio campo, ma c’è sicuramente la necessità di mettere mano agli alloggi di Itea, perché da lì si possono ricavare diversi spazi. Comunque, noi di Alternativa siamo abbastanza pragmatici, e confrontandoci e studiando abbiamo pensato a cosa si può fare almeno nell’immediato per alleviare questi problemi. Innanzitutto aumentare le borse di studio, elargendole anche a studenti trentini che devono recarsi fuori regione perché magari il corso di studio che vogliono intraprendere non è presente sul territorio. In secondo luogo, come ci ha suggerito uno dei nostri giovani, si potrebbe ragionare sul fatto di erogare ai corsi delle triennali anche l’on-line, sebbene noi rifugiamo abbastanza dalla digitalizzazione. È una scelta difficile e orribile, lo so, tra l’altro io sono insegnante e ho attraversato il periodo del Covid, però gli studenti lavoratori possono in questo modo seguire le elezioni e ciò sgraverebbe anche il problema degli alloggi, dato che gli studenti non avrebbero necessità di trasferirsi qui.
Rizzo. Il tema dell’edilizia universitaria dev’essere il tema principale quando si pensa allo sviluppo e al futuro delle nuove generazioni. Il bonus 110 dell’edilizia a questo proposito è stato gestito male, poteva e doveva essere indirizzato anche in prospettiva universitaria, ma è sempre la politica che compie queste scelte.
- Scuola di Medicina: è stata una scelta giusta crearla? Adesso è meglio continuare ad ampliarla o fermarsi e consolidare quanto fatto?
Marini. Bisogna iniziare a pianificare tutte le strutture, anche edilizie, necessarie. Io credo che ci si debba innanzitutto soffermare sugli strumenti di governance, quindi rapportarsi in modo profittevole agli enti preposti sul territorio, in primis Opera universitaria, Comune di Trento e Comune di Rovereto, ma secondo me andrebbero coinvolte anche le associazioni della società civile. Questa dovrebbe essere la sfida da affrontare, in quanto il pericolo è calare dall’alto decisioni scollate dalle varie realtà. Sullo sviluppo di Medicina si deve ragionare su rapporti interregionali e nazionali: non si possono realizzare tutte le specializzazioni qui e perciò è necessario favorire gli scambi inter-atenei. Ci deve essere una visione universale.
Valduga: L’autonomia non deve imporre scelte sul territorio, ci deve essere condivisione. Per quanto riguarda Medicina, l’Università è stata spinta dall’omologazione veneta, poi i problemi che si sono presentati sono stati risolti grazie all’ex rettore Collini e alla collaborazione con l’Università di Verona. La questione principale è che Trento non può rimanere da sola, c’è bisogno di esperienza e competenza condivisa che vadano anche al di fuori della Provincia, per cui la dimensione di una Scuola di Medicina a cui puntare deve essere regionale ed euro-regionale. È necessario che ci si concentri in innovazione e ricerca insieme a innovazione tecnologica che produca attrattività e utilità per il corso stesso.
Degasperi: L’avvio di Medicina è una questione positiva, il problema concerne il numero programmato. Per quanto riguarda le strutture, l’Università è bloccata dal problema della finanza provinciale. Le strutture sono all’avanguardia, ma è necessario che ci siano spazi decorosi. L’autonomia non viene utilizzata al meglio perché non guarda agli spazi che ha già, cercando invece di prendere potere anche in altri luoghi come l’Università.
Divina. C’è stata una scollatura incredibile tra formazione e mondo del lavoro, nella sanità in particolar modo: nessuno si è accorto che fissando il numero chiuso delle facoltà di medicina, si finiva per non riuscire a rimpiazzare il turnover del settore sanitario. Si è deciso di attuare una convenzione con l’Università di Padova, ma non si è pensato alla scarsa funzionalità di un’Università di Medicina in una Provincia di poco più di 500 mila abitanti. Anche Bolzano di conseguenza, sempre in tema di medicina universitaria, si è mossa in autonomia e si è legata all’Austria: bastava collaborare e trovare una sinergia a livello territoriale, sinergia che avrebbe portato maggiori risparmi e maggiori servizi alla comunità.
Dardo. Nella situazione attuale, segnata da una carenza significativa di personale medico, potenziare Medicina è più che adeguato. Guardando al nostro territorio, c’è l’emergenza di lavorare sui territori, come le valli, dove non c’è un servizio adeguato. La facoltà di Medicina è in difficoltà e bisognerà mettersi all’opera al fine di migliorare tale situazione. Se ci sarà data la possibilità di lavorare in tal senso, raccoglieremo le informazioni necessarie per risolvere. A questo problema si ricollega quello delle infrastrutture, per cui bisogna trovare i fondi per farlo.
Rizzo. “Prevedere significa comandare” è una citazione di De Gaulle, in merito alla ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Noi facciamo esattamente il contrario, e anche la nostra facoltà di Medicina ne è un esempio. È stata fatta senza visione: se guardiamo all’Università di Padova per esempio, e alla fondazione nata l’8 giugno 2022 che ha già ricevuto nello stesso anno un finanziamento di oltre 320 milioni di euro, capiamo che noi non stiamo andando da nessuna parte.
- Come vi ponete sul tema dell’internazionalizzazione per l’Università?
Marini. Io nella mia vita ho studiato e lavorato molto all’estero, in particolare ebbi l’occasione di fare un anno di Erasmus in Spagna. E quella fu la scelta azzeccata: quando sono tornato in Italia, sono poi andato negli Stati Uniti, Belgio, Brasile, Nuova Zelanda, Messico, etc… Io credo fortemente nella necessità di mantenere rapporti internazionali sia dal punto di vista dello studio e dell’esperienza sia come opportunità per il lavoro. Io volevo fare esperienze, lavorare e conoscere quanto più possibile per portare tutto questo bagaglio in Italia, in Trentino, nella terra che mi ha offerto tutte queste opportunità. Credo che le esperienze che ho avuto io le debbano avere tutti.
Valduga: Ribadisco che il Trentino non deve essere piccolo e solo, l’Università è fatta anche per chi viene da fuori e non solo per i trentini, e questa è un’occasione di crescita. L’Università deve essere dentro alle dinamiche del mondo grazie ai vari progetti di internazionalizzazione e alla cooperazione internazionale, che crea uno scambio vivace e proficuo di progetti per esportare eccellenze e importare conoscenza. Ci deve quindi essere un’attenta azione locale per una visione globale.
Degasperi: L’Università dovrebbe essere un’istituzione autonoma e lontana dalla politica sugli indirizzi da percorrere. In caso di investimento sarebbe necessario più che altro investire sul secondo ciclo, quello delle scuole superiori a favore di percorsi all’estero per i quali le famiglie ad oggi devono investire capitali.
Divina. È necessario proseguire sulla strada dell’internazionalizzazione. L’autonomia della nostra Università offre ai nostri studenti molte opportunità di esperienze all’estero, esperienze determinanti per la loro vita e il loro futuro professionale. Oggi dobbiamo dare ai ragazzi gli strumenti per affrontare questo mondo in continuo cambiamento, in modo che siano preparati a lavorare in ambito globale: una formazione che abbraccia l’internazionalizzazione si presenta sicuramente come uno dei migliori strumenti.
Dardo. Siamo d’accordo sui progetti internazionali. Condivido con Degasperi la possibilità di scelta e non di imposizione; si deve proseguire su questa direzione. Tornando a quanto avevo detto prima, il Trentino come punto d’incontro tra mondo mitteleuropeo e mondo mediterraneo può favorire la collaborazione internazionale col Nord Europa, soprattutto nel quadro dell’Euregio. Dato che ci sono le difficoltà che abbiamo già detto, come gli alloggi, ci possiamo tenere più sul piccolo piuttosto che pensare ad andare fuori dall’Europa, e quindi lavorare maggiormente sul territorio.
Rizzo. Il tema dell’internazionalizzazione è legato al tema della previsione. Spesso, anche nei cicli di studio di base, manca l’orientamento degli studenti e la struttura universitaria non sempre è in grado di aiutare. Un altro tema è quello della fuga dei cervelli, tema a cui deve pensare anche lo Stato. Si potrebbe pensare a un sistema di crediti e di debiti che colleghi il ciclo di studio con il percorso professionale: sarebbe fondamentale per evitare che, chi si è formato nel nostro paese, poi fugga e porti il suo talento all’estero.
Dalla domanda successiva i candidati avevano un minuto di tempo per rispondere
- L’Opera universitaria aveva richiesto alla Provincia il finanziamento per due studentati, un ampliamento di un blocco del Sanbapolis e uno a Rovereto, e per aumentare le borse di studio secondo le indicazioni ricevute dal Ministero.
Marini. Andrebbero riviste le formule di finanziamento dell’Università, in particolare nello Statuto, al fine di garantire a quest’ultima le risorse necessarie per svolgere alle sue attività e rispondere alle esigenze degli studenti. Io credo che si possa pensare ad una quota minima fissa di finanziamento all’Università, accompagnata ad una variabile. L’unico intervento che l’attuale giunta di destra ha fatto in materia di Opera universitaria è stato quello di far in modo che sia il governo provinciale a decidere i vertici dell’ente.
Valduga. Il problema è di come vengono utilizzate le risorse per facilitare l’attuazione del diritto allo studio, sull’utilizzo del denaro c’è quindi bisogno di una lista di priorità da parte dell’amministrazione. Il tema degli studentati ci dimostra come il PNRR sta stravolgendo il concetto di autonomia: paradossalmente con più soldi si fa di meno.
Degasperi. Provincia e Comuni devono smettere di far finta di non vedere la speculazione presente sugli affitti, il primo passo deve quindi essere un aumento dei controlli. Sul fronte dei fondi, ribadisco che i soldi per nuove politiche ci sono.
Divina. In provincia di Trento non sta venendo applicando art. 34 della nostra Costituzione, che afferma che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, questo nel pratico si esplica nell’erogazione delle borse di studio e nella garanzia degli alloggi. I soldi ci sono, basti pensare a quanti soldi sono stati buttati nel settore della musica, si pensi al caso del concerto di Vasco Rossi: questo evento ha fatto spendere molti soldi pubblici, mentre nelle altre città questo stesso evento porta soldi.
Dardo. Per quanto riguarda lo studentato non posso rispondere perché, siccome non siamo in Consiglio provinciale, non possiamo avere accesso a certe informazioni. Comunque, se mi troverò in una posizione di consigliera, andrò ad approfondire questi temi perché la cultura e l’istruzione per me e la mia lista sono importanti.
Il candidato Rizzo ha dovuto abbandonare anticipatamente il dibattitto a causa di un impegno, per cui non ha potuto rispondere a questa domanda e alla successive.
- Come attirare nuovi dottorandi in Trentino?
Marini. Per attirare dottorandi ci devono essere risorse e opportunità. L’attrattività di un territorio però non si limita a ciò che c’è dentro l’Università, ma si deve creare un ambiente che favorisca il trascorrere la propria vita lì.
Valduga: serve investire su ricerca e innovazione, si possono innescare circoli virtuosi in una ricerca di base che produca per l’impresa e l’industria in modo che si possano creare indotti per investire nuovamente nella ricerca. Insieme alle possibilità di lavoro serve occuparsi maggiormente dei servizi per rendere bello il territorio da vivere.
Degasperi: Ci deve pensare chi gestisce l’Università, che è un’istituzione autonoma. La Provincia svolge la funzione di facilitatrice assecondando le proposte che possano essere originali e attraenti per i dottorandi. Il compito dell’amministrazione provinciale è di creare condizioni di contesto per far sì che le persone scelgano di rimanere poi nel territorio.
Divina. Studenti e ricercatori sono attratti dalle prospettive. Trento da questo punto di vista, sebbene possa dare molto di più, sta già offrendo fondazioni e istituti di ricerca di altissima qualità, anche in campo tecnologico e medico; questo contesto, se opportunamente sostenuto e finanziato, basterà a creare appetibilità.
Dardo. Io punterei sui territorio. C’è tanto lavoro da fare, soprattutto ambientale, e questo potrebbe attrarre numerose professioni necessarie.
- Siete favorevoli a istituzionalizzare un supporto psicologico come quello nell’Università anche alle superiori? E a ripristinare i corsi di genere?
Marini. Io credo che sia fondamentale nelle scuole educare alle relazioni umane e quindi si dovrebbero introdurre i corsi di educazione emotiva e sessuale con modalità di insegnamento moderne. Va bene l’assistenza psicologica, ma dovremmo anche insegnare ai ragazzi a costruire degli strumenti per affrontare le avversità e le difficoltà che possono anche comportare l’equilibrio mentale.
Valduga. Come Sindaco di Rovereto mi sono ritrovato a confrontarmi con i dirigenti scolastici. Mi ha colpito il fatto che l’emozione principale provata dagli studenti sia l’ansia. Dunque sì al supporto psicologico in Università e nei licei per la prevenzione e per il trattamento del problema con figure professionali, insieme alla creazione di un clima adeguato allo studio. Sì anche all’educazione di genere.
Degasperi. Servono feedback che accompagnino l’assistenza psicologica, il corpo docenti ricopre un ruolo determinante, ed è necessario lavorare su chi si confronta con i ragazzi. Sì all’educazione di genere.
Divina. Per quanto riguarda il culto della performance, sono tanti i luoghi, scuole come aziende, in cui oggi si incentivano modelli che prevedono più pause e una produttività flessibile, a seconda delle esigenze: è un discorso complesso che più che alla politica, va lasciato agli esperti. Per quanto riguarda il tema dell’educazione di genere, dipende da come si esercitano questi discorsi.
Dardo. Siamo aperti a portare avanti i corsi di educazione di genere, fermo restando che si tratta di libertà di scelta del singolo, senza che diventi un discorso ideologico. Durante la pandemia abbiamo passato un periodo devastante, e quindi si è avuto bisogno del supporto psicologico; sono favorevole a questo servizio, però l’assistenza psicologica deve essere fatta da persone davvero competenti.
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