Il sale nelle pagine di Sostiene Pereira
Esistono libri che non si leggono e basta. Alcuni di loro si sentono, con tutti i cinque sensi. Esattamente come il nostro primo contatto con la realtà avviene attraverso le percezioni sensoriali, allo stesso modo l’immersione del lettore in questi libri particolari diviene profonda e potente. Capita, a volte, che chi scrive riesca a farci sentire il gusto dei cibi senza averli davvero in bocca, toccare materiali ruvidi e setosi, annusare odori intensi e delicati, ascoltare lamenti o risate lontane, come se fossero vicini a noi ma provenienti da un’altra dimensione, del tutto reali quanto del tutto invisibili. Tutte queste percezioni sono contenute in fogli di carta stampata, la quale, certo, possiede essa stessa un certo profumo caratteristico, ma che, stimolando la nostra mente, ne può assumere di potenzialmente infiniti.
In Sostiene Pereira, romanzo pubblicato nel 1944 da Feltrinelli, Antonio Tabucchi rende possibile tutto questo grazie al suo semplice ed elegante modo di scrivere, con cui riesce a creare attorno al lettore una sottile atmosfera fatta di brezza marina e zucchero. Ci troviamo a Lisbona, in Portogallo, nel 1938, sotto il regime di Salazar, che getta l’inquietante ombra di un futuro buio che si sta per abbattere su tutta l’Europa. Qui sono giornate estive, la città è calda e percepiamo il sudore sulla nostra stessa pelle, appiccicoso e scomodo, che inumidisce i nostri vestiti. Il dottor Pereira è un giornalista che si occupa di gestire la pagina culturale del giornale cattolico Lisboa. Con un passato glorioso e di grande successo e felicità, ora lo troviamo nel suo studio, solo, la maggior parte del tempo indeciso, insicuro su ciò che dovrebbe dire o pensare riguardo tutto ciò che lo circonda, mentre a casa conversa con il ritratto della moglie defunta.
All’interno del romanzo si parla di molte cose: guerra, morte, vita… Si arriva addirittura a toccare apici filosofici grazie all’indimenticabile teoria della confederazione delle anime, ma sempre con la grande dolcezza con cui viene piallato lo strato ruvido di questioni che possono apparire molto pesanti. Ma in queste poche righe non voglio parlare dei grandi temi su cui ci si potrebbe concentrare a lungo, ma preferisco metter luce sul minuzioso lavoro stilistico messo a punto dall’autore, che riesce a catapultarci nei luoghi in cui si sviluppa l’azione facendo leva su parole ed espressioni che innescano i nostri sensi. È un po’ come quando sogniamo: stiamo correndo, nuotando, chiacchierando, e tutto questo ci risulta così vero perché lo sentiamo, ma in realtà siamo semplicemente distesi sul nostro letto, immobili.
Immergiamoci nella storia. Ci vengono descritte le abitudini del dottor Pereira, che puntualmente si ripetono in una confortevole routine, in poco tempo impariamo che adora la limonata con tanto zucchero: metà bicchiere di zucchero e metà bicchiere di succo di limone. Il suo cibo preferito sono le omelette alle erbe aromatiche. Ecco un buon esempio per comprendere l’abilità dello scrittore nella creazione di una dimensione sensoriale artificiale. Il dottor Pereira beve limonata e mangia omelette alle erbe aromatiche. Il primo passo è vederlo davanti a noi: ciò che ci viene presentato sul tavolo è tutto giallo. Il contenuto del bicchiere è giallo canarino, quello delle omelette è giallo pallido, con qualche punta verdolina all’interno della frittata. Poi sentiamo gli odori: un profumo intenso, come quando si annusa una pianta di rosmarino, di timo o di salvia. Ci portiamo il bicchiere al naso, che storciamo leggermente perché sentiamo che il contenuto è dolciastro e stucchevole. Ed ecco, finalmente, il gusto: è difficile sentire i sapori veri e propri diffondersi nei nostri palati, ma percepiamo la mollezza dell’omelette, il pizzico intenso e deciso delle erbette al suo interno. E poi il dolce della limonata che impasta la bocca, facendoci salivare e provare un senso di sete impellente. Lo sentiamo sulle nostre stesse papille, il sapore zuccherino, che per un attimo allevia la copiosa sudorazione.
È a causa dell’obesità che il suo cardiologo, il dottor Costa, consiglia caldamente al protagonista di farsi ricoverare qualche giorno in una clinica talassoterapica a Parede, tra Lisbona e Cascais, per aiutarlo a risolvere la sua pesantezza, il suo disagio. Le conversazioni tra Pereira e il giovane medico della clinica, il dottor Cardoso (che suona stranamente onomatopeico a cuore, carne, carnoso) sono tenere e divertenti, il dottor Pereira viene spinto a rivelare le proprie abitudini alimentari e lo fa cercando di rimanere neutrale, ma dovendo ammettere il suo largo consumo di frittate e limonate, dice addirittura di bere una decina di bicchieri al giorno, rigorosamente composti per metà da zucchero e per metà da limone, sotto lo sguardo scioccato di Cardoso. Ed ecco così che gli vengono vietate le limonate, rimpiazzate da acqua preferibilmente minerale, ma anche gassata va bene. Divieto seguito da domande piuttosto intime (<<Attività sessuale? Neanche donnine? Polluzioni notturne? Che cosa sogna di notte di preciso?>>) a cui Pereira, nella sua pinguedine, risponde in maniera imbarazzata, senza capire bene il senso di tutta quell’invadenza. È impossibile non sorridere durante questi scambi, si arriva addirittura a sperare che egli non smetta veramente di bere limonate e mangiare omelette alle erbe aromatiche, sennò smetterebbe di essere lui, di essere Pereira.
È con la brezza marina dell’oceano e con le conversazioni insieme a Cardoso, che Pereira comincia a farsi domande. Comincia a comprendere. Che cosa? Il vero nucleo del romanzo sta proprio in questo, ma lascio ai lettori curiosi il compito di scoprirlo. La cosa a cui diamo importanza qui è il fatto che questa realizzazione avviene vicino al mare, dentro a una vasca piena di alghe, poco lontano da Lisbona ma abbastanza per avere una visuale più consapevole dei cambiamenti che stanno avvenendo fuori e all’interno di lui, in un luogo limpido e cristallino, che possiamo odorare, che possiamo assaggiare.
Davanti al mare (in greco θάλασσα, thàlassa) che molti di noi hanno visto e amato quest’estate, non si può non pensare a Sostiene Pereira, alla clinica talassoterapica, all’azione lenitiva dell’aria salmastra e del sale sulla nostra pelle, che si incrosta tra le sopracciglia e i capelli bagnati. Guardare l’aperto mare, proprio come capita al protagonista del romanzo, forse ci permette di vedere le cose che ci accadono in maniera differente. Che sia il blu oceanico, il cristallino sfolgorare dell’acqua di un’isola o il più torbido mare della costa adriatica, l’effetto di spaesamento e di maggior ampiezza del respiro che si producono in noi hanno la stessa matrice. Una linea di un orizzonte che non finisce mai ci permette di non far finire mai i nostri pensieri e di fare un respiro di fronte ai problemi, alle incombenti responsabilità che a volte sembrano essere più grandi di noi. Quando poi guardiamo il mare, ci chiediamo quanto veramente siano insormontabili.
Forse non ci rechiamo sulla costa per lo stesso motivo del dottor Pereira, ma per qualche speranza di beneficio sì. Lo stesso dottor Cardoso non smette di ribadire che corpo e psiche sono indissolubilmente legati l’uno all’altra. Guardare il sole che cala sull’acqua e che piano piano va a tuffarsi dentro il mare, colorando il cielo di luci arancioni, gialle, rosa e viola a seconda della giornata appena trascorsa, anche solo questo, non potremmo paragonarlo a un trattamento talassoterapico? Forse siamo tutti un po’ il dottor Pereira, cerchiamo il mare e ampi paesaggi per curare un po’ cose che dentro di noi si sono incrinate senza che ce ne rendessimo conto, o per rimettere a posto piccole questioni interne fuori controllo. Per poi ripartire più carichi di prima. Magari non beviamo limonata zuccherata e non mangiamo omelette alle erbe aromatiche, ma abbiamo anche noi le nostre abitudini che ci rendono quelli che siamo, a cui siamo affezionati più di ogni altra cosa. Ad esempio, le mie omelette sono spaghetti col sugo di pomodoro e basilico della nonna, e la mia limonata è freschissima acqua delle fontanelle di montagna.
E le vostre?
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