Israele, i missili e la quotidianità deturpata da un conflitto eterno e disumano

Suona la sveglia. Fuori è ancora buio. Sei abituata ad alzarti a queste ore, ma prima che tu possa intercettare qualche messaggio sui social, apri la mail e leggi che tutti i tuoi prossimi impegni lavorativi sono cancellati. Per oggi e per le prossime settimane. Accendi la televisione, che rimarrà sintonizzata sullo stesso notiziario fino a notte fonda, quando stremata, dallo stress e dalle lacrime, riuscirai a prendere sonno. Pensi agli amici e colleghi che ti avevano raggiunto in Israele in questi giorni, e a quelli che ti stavano per raggiungere. Katerina è atterrata a Tel Aviv ieri sera, ti avrebbe dovuto incontrare di lì a poco, ma è tornata in aeroporto per provare ad accaparrarsi un posto in uno dei pochissimi voli che non verranno cancellati. Due giorni dopo sarà ancora lì, spaventata a morte, blindata in un albergo di fortuna. Togli al telefono la modalità silenziosa. Ti arriva una notifica che non senti quasi mai. Poi un’altra. E un’altra ancora. Il suono sembra quello di quando perdi una vita in un videogioco. Un messaggio ti avvisa che un missile sta per abbattersi nel paese in cui vivi, indicando la distanza che ti separa dal punto in cui tra pochi secondi esso andrà a schiantarsi. Non è un videogioco. Sui social imperversano storie, video, messaggi alla ricerca di amici che non rispondono più al cellulare. Nel Sud del paese, non troppo distante dalla Striscia di Gaza, era organizzato un grande festival musicale con centinaia di giovani. E’ diventato uno degli obiettivi di Hamas: prima i missili, poi il fuoco indiscriminato e crudele su tutti quelli che cercavano di scappare. Altre decine di eventi si svolgevano nel paese, che questa settimana rallentava per la festa religiosa del Sukkot. La sera verranno raccolti, solamente nello spiazzo dove si teneva il festival, 260 corpi senza vita. Ti manca l’aria. Il presidente dice alla televisione che Israele è in guerra, tu ascolti, e la voce si riverbera nella tua testa come ovattata, si mischia ad altri mille pensieri. Non puoi resistere da sola ancora per molto senza una crisi di nervi. Suoni al vicino di casa, quello un po’ antipatico. Ti accoglie, ti presenta ai suoi amici e passate insieme la serata cercando di distrarvi da quel che vi circonda, ma continuando a pensare ai modi in cui potreste rendervi utili. Domani andrete a donare il sangue, hanno enorme bisogno proprio del tuo gruppo sanguigno. Non c’è tabacco che tenga, distrarsi è impossibile. Uno dei tuoi migliori amici vive a Sderot, vicino al confine, con la famiglia, i due bambini, e la moglie incinta del terzo. La mattina presto si sono riparati in un rifugio antimissilistico, lì ci passeranno anche la notte successiva. La loro casa va a fuoco, per le strade impazzano camionette di milizie che sparano a inermi obiettivi civili per attirare l’attenzione dell’esercito israeliano e poi tendere a loro volta agguati e contrattacchi. Al paralizzante shock iniziale sopraggiunge una desolata riflessività che ti lacera e prosciuga di ogni energia; perché di rassegnarti che l’uomo sia capace di ciò che leggi, vedi, ascolti, proprio non ti va, e a comprendere una guerra codarda, che non ti appartiene, che non appartiene a nessuno se non al fanatismo, non ci sono riusciti due popoli in più di settant’anni: tu cosa puoi pretendere di fare, in una sera. Cerchi di prendere sonno, ma decine di aerei che volano sopra il tuo tetto la pensano diversamente. Le esplosioni sono solo qualche sporadico sibilo che intuisci in lontananza. La tua città, Netanya, poco a nord di Tel Aviv, è – per il momento – solo lambita da questa catastrofe.

Il conflitto israelo-palestinese nasce contestualmente alla creazione dello Stato di Israele, nel 1948. Tentare di riassumerlo in un articolo è tanto impossibile quanto sbagliato, concettualmente. L’area è una polveriera geopolitica che nasconde interessi latenti ed estesi, a volte, oltreoceano. All’origine delle tensioni c’è la percezione di Israele come di una forza occupante, indebita e illegittima, da parte della Palestina, uno stato a riconoscimento limitato de facto occupato in gran parte da Israele stesso. La Palestina dal 2007 è sotto il controllo di Hamas, un gruppo alternativo alle precedenti autorità che in passato si erano impegnate – invano – nei negoziati degli accordi di pace. I territori su cui oggigiorno ha parziale indipendenza sono la striscia di Gaza, che fino al 1967 era sotto il controllo dell’Egitto, e la Cisgiordania, comprendendo anche la capitale de iure a Gerusalemme Est. Da quando Hamas ha preso il potere, Israele ed Egitto tengono il territorio sotto assedio, operando anche blocchi aerei e navali. Prima dell’operazione di questi giorni, l’ultima guerra tra le fazioni si era registrata due anni fa, con molte più vittime palestinesi. Era durata due settimane. Le tensioni sono sfociate nei decenni in uno stato di guerriglia poco regolamentato, ma non erano mai scaturite in maniera così violenta. In due giorni sono stati lanciati più razzi di quanti ne furono lanciati nei quasi due mesi di conflitto risalenti al 2014 e – novità ancora più rilevante – i terroristi e i militanti hanno fatto ingresso in Israele via terra, mare e aria, seminando violenza nella popolazione civile. I metodi utilizzati sono di inaudita ferocia, paragonabili a quelli di Hezbollah e dell’estremismo islamico. Ostaggi detenuti in aperta violazione del diritto internazionale, pubblico vilipendio di cadaveri, abusi di ogni tipo. Il tutto documentato da numerosi video resi disponibili online, proprio come faceva l’Isis, allo scopo di reclutare nuovi seguaci. L’altra novità è l’ormai conclamato sostegno logistico degli iraniani – acerrimi nemici di Israele – nel gestire le operazioni militari. Il conflitto sarebbe, in questo senso, da considerarsi in risposta ai promettenti progressi appena annunciati nelle relazioni diplomatiche di Israele con Egitto e – soprattutto – Arabia Saudita. Il sostegno dell’Iran porterà con ogni probabilità a un appoggio fattuale degli Stati Uniti in favore di Israele, il quale potrebbe avere un effetto deterrente utile al cessate il fuoco, una volta che tutte le milizie che hanno già fatto ingresso nel territorio israeliano saranno neutralizzate. Per ottenere ciò, il governo ha richiamato alle armi numerosi giovani che avevano svolto il servizio di leva, obbligatorio per uomini e donne.

La proclamazione di Netanyahu: “Israele è in guerra e la vinceremo”

Cerchi di prendere sonno, ne avresti bisogno. Liolya, la gatta grigia del tuo vicino, ti guarda come se avesse bisogno di spazio sul tuo (suo) divano. Torva, ma non troppo. Sale, si stiracchia con felina noncuranza e, con il savoir-fare aristocratico tipico dei gatti, ti si acciambella di fianco iniziando a fare le fusa. Liolya dorme. Per lei è più semplice. Nella tua vita ti è già capitato di ritrovarti a dover prendere sonno per fuggire all’incubo che stavi vivendo, già. Speravi di non dovertici abituare. Hai videochiamato tutti i tuoi cari, stanno bene e sono al sicuro. Cerchi di prendere sonno. Suona la sveglia.


Il racconto è basato su fatti realmente accaduti a una ragazza israeliana di 25 anni

Riccardo Eger

Zaino in spalla e voli low-cost, poi, nel tempo libero: tennis, giornalismo e Studi Internazionali

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