Sconfiggere il Patriarcato: La Forza della Rabbia contro i Femminicidi
Difficile parlare di un tema così importante senza cadere nel banale, soprattutto quando si sente che ciò di cui si sta scrivendo assume grande rilevanza e valore, non solo a livello generale ma anche personale e politico. È inevitabile che tutte ci siamo sentite colpite almeno una volta di fronte alla narrazione dell’ennesimo caso di femminicidio, abbiamo tutte provato rabbia, dolore e anche impotenza nel sentire o leggere dell’ennesima sorella ammazzata per mano di un uomo, e forse è proprio da questa rabbia e dolore che nasce anche la paura di non riuscire ad essere lucide e razionali quando se ne parla. Se c’è però un concetto in cui credo fortemente è che la rabbia che ci muove possa effettivamente essere utile, possa effettivamente essere motore d’azione. In una società che vede le donne che esprimono con forza e rabbia le proprie opinioni come isteriche e incapaci di regolarsi, io rivendico la potenza di quella rabbia che nasce dalla stanchezza di vederci sempre vittime.
ActionAid stima che nel mondo almeno il 35% delle donne ha subito violenza (sessuale e non) almeno una volta nella vita e che nel 38% dei casi di omicidio di donne l’autore è il partner. L’Osservatorio nazionale Femminicidi, Lesbicidi, Trans*cidi di Non Una Di Meno raccoglie ogni anno i dati relativi agli omicidi di donne e altre soggettività non maschili per mano di uomini con lo scopo non solo di mostrarli e renderli noti ma “soprattutto per denunciare la violenza sistematica esercitata sulla vita delle donne e di tutte le libere soggettività che si sottraggono alle norme di genere imposte”, come è possibile leggere sulla home page dell’Osservatorio. I dati vengono aggiornati ogni otto del mese e il numero totale di Femminicidi, Lesbicidi, Trans*cidi (da qui in avanti indicati come femminicidi per mera comodità di scrittura) di quest’anno è di 93 (dati aggiornati all’ 08/10). Ciò su cui è importante concentrarsi e che pone la differenza con la violenza sugli uomini è il numero di casi e soprattutto la sistematicità con cui questi avvengono: la violenza maschile sulle donne è strutturata e sistematica, non si tratta di casi isolati o di “raptus”, come spesso vengono identificati da una narrazione che invece punta a demolire questa prospettiva di sistematicità e di intenzionalità nell’eliminazione (spesso anche piuttosto violenta) della vittima. Una delle cose che Non Una Di Meno sottolinea in forma di slogan è che “il femminicida non è malato ma figlio sano del patriarcato”: impossibile parlare di femminicidi senza tenere in considerazione la matrice patriarcale da cui derivano. L’uccisione non è che il capitolo finale di ciò che avviene continuamente in una società patriarcale incapace di accettare un no, di accettare – in sostanza- la nostra autodeterminazione. Ecco perché non dobbiamo reprimere la rabbia che ci muove, perché è la stessa società patriarcale che cerchiamo di combattere che ci vorrebbe pacate e placide, semplici spettatrici di una violenza inaudita e continua di cui la morte non è -come già detto- che il capitolo finale, in un libro ben più lungo i cui capitoli precedenti sono troppo spesso sottovalutati e giudicati come semplici goliardie (si pensi al fenomeno del catcalling) o addirittura invisibilizzati (come nel caso della violenza psicologica).
A far sì che questa rabbia si faccia motrice di attivismo è Non Una Di Meno, di cui un nodo è presente anche qui a Trento dal 2018. L’esigenza di strutturarsi e di esistere sul territorio trovò subito riscontro nella prima azione del nodo con la raccolta delle denunce di varie donne a seguito dell’adunata degli Alpini di Trento a maggio dello stesso anno e con la conseguente redazione di un documento in cui si invitava a far luce sulla questione e a non ignorarla. Di azioni del nodo in questi anni ce ne sono state molte, ad esempio l’importante presa di posizione dopo le molestie subite da molte durante il concerto del 25 Aprile alle Albere o il comunicato con cui si invitava all’annullamento dell’evento di Halloween organizzato al SanBàpolis con ospite il trapper Niky Savage che nei suoi testi promuove “la cultura dello stupro” e la visione di donna come semplice oggetto sessuale (per citare solo le ultime a livello cronologico), azioni utili a portare l’attenzione mediatica su questioni legate alla violenza di genere. Senza dimenticare uno dei momenti più importanti per Non Una Di Meno: l’organizzazione della manifestazione che ogni 25 Novembre si svolge a Roma nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Realtà come quella di Non Una Di Meno sono l’importante dimostrazione di come questa rabbia che tutte sentiamo di avere, possa effettivamente strutturarsi in azioni concrete di lotta al patriarcato e quindi alla violenza maschile sulle donne. Esiste una concreta alternativa al subire in silenzio e all’essere mere spettatrici di una sistematica eliminazione delle nostre esistenze per mano di uomini violenti ed oppressori. Allora il mio invito personale è a coltivare questa rabbia, a non rinnegarla, perché è forse solo grazie alla nostra capacità di sentirci ancora così arrabbiate che possiamo preservare le nostre esistenze e farci portavoce di tutte le sorelle le cui esistenze invece sono state cancellate. “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”.