Guerre dimenticate, l’Europa alla prova della Storia
Questa è la seconda parte dell’intervista al professor Foradori, in cui ci parlerà della situazione di alcuni dei Paesi in cui si è trovato a lavorare e di come Italia ed Europa si approccino al tema della politica estera. Per la prima intervista sulla sua carriera lavorativa e sui consigli utili per noi studenti, guardare qui
- Le sue ultime esperienze all’estero sono state in Paesi devastati dalla guerra, Iraq e Libia, estremamente ricchi di risorse ma estremamente deboli. Come si è arrivati in questa situazione?
Entrambi sono Paesi con un potenziale vastissimo – andato disperso per tanti motivi, spesso ascrivibili alle dittature che li hanno dominati compromettendone lo sviluppo politico, economico e sociale. Queste, crollando, hanno lasciato un vuoto ora riempito da vari gruppi, in un contesto di ampia frammentazione politica e debolezza istituzionale, che si alimentano a vicenda. Questo processo è molto più evidente in Libia, meno in Iraq, ma in entrambi è ben presente l’interferenza di attori esterni, regionali, con i relativi clienti, in un mosaico spesso di difficile comprensione. Il ruolo che ho svolto come political advisor è proprio questo: comprendere ed inquadrare quei Paesi nel più ampio contesto regionale.
- Ci troviamo in un periodo in cui molte forze stanno accelerando il degrado della sicurezza internazionale. Conflitti come quelli di cui stiamo parlando sembrano però congelati – secondo lei questa situazione può reggere?
Al di là di episodi improvvisi ed imprevisti, come la rinnovata conflittualità in Medio Oriente di cui dovremo vedere le più ampie conseguenze, pare difficile vedere un crollo degli equilibri attuali: i vari attori hanno trovato un compromesso conveniente per tutte le parti in gioco, e specialmente nel caso libico sembra difficile un ritorno al conflitto aperto, visto lo stato di prostrazione degli attori locali e la scarsa disponibilità dei loro sponsor internazionali a rilanciare le ostilità: tensioni internazionali certo non mancano, a partire da quella ucraina e quella del conflitto tra Israele e Hamas, pochi trovano conveniente riaprire un conflitto nel Nord Africa.
- Spesso si dice che l’opinione pubblica italiana, ed occidentale, è ampiamente distratta: la politica estera è un tema totalmente secondario. Cosa ne pensa?
Con poche eccezioni, sì, l’opinione pubblica internazionale ed italiana è volatile: si interessa delle questioni internazionali in poche occasioni, principalmente quando ne è direttamente toccata o quando succede qualcosa di particolarmente grave e sensazionale come vediamo nel caso della guerra tra Israele e Hamas. Libia e Iraq ad esempio sono considerati conflitti dimenticati – eppure, specialmente nel caso della Libia, parliamo di Paesi strategici. Certamente l’Italia è troppo piccola per influenzare seriamente le sorti dell’Africa. Può però giocare un ruolo rilevante ponendosi come guida dell’opera europea in Africa – o ci si pone come Europa, o i problemi sono semplicemente troppo grandi per essere risolti: è fondamentale portare pace, sicurezza e sviluppo in quell’area; vedremo cosa sarà il piano Mattei, se ne è parlato per anni senza particolari risultati. La ricetta è ovvia, la questione è la volontà politica – ed economica.
- Si è spesso detto che l’Occidente abbia adottato l’idea per cui gli affari internazionali si conducessero solo ed esclusivamente con la diplomazia, quando vediamo in varie aree del mondo che questo non è vero, a partire dall’Ucraina. Come dovrebbero reagire Italia ed Europa?
Sono sempre stato un forte fautore della difesa europea. Specialmente nei contesti altamente conflittuali, un’Europa basata solamente sul soft power, sugli affari economici, un’Europa con le armi spuntate insomma, si trova schiacciata – tantopiù davanti ad attori che sono in grado di proporre affari tanto o più interessanti dei nostri, pensiamo ad esempio a Pechino. La mia esperienza diretta in questi Paesi mi insegna che la dimensione di sicurezza, per riuscire a giocare un ruolo importante nel mondo, è imprescindibile.