La carriera nei Gender Studies – Intervista alla professoressa Alessia Donà
- Lei si è specializzata nel campo dei gender studies, un settore di recente interesse per la ricerca. Cosa le ha fatto scegliere proprio questo percorso?
Ho incrociato quest’area del sapere durante il percorso di specializzazione post-laurea: la mia tesi di dottorato riguardava infatti le politiche di genere dell’Unione Europea e il loro impatto in Italia e Regno Unito. Studiando durante il dottorato, andando poi per conferenze internazionali e incontrando colleghǝ di altri paesi, mi sono avvicinata a quella che era una consolidata e ricca letteratura interdisciplinare (soprattutto in lingua inglese) ma che nel mio percorso universitario in Italia non avevo conosciuto. Sono poi entrata in reti di ricerca che si occupavano di gender and politics, cosa che in Italia non esistevano agli inizi degli anni Duemila (oggi ci sono).
Da allora ho approfondito, attraverso una sorta di “auto-formazione”, gli studi di genere , supportata anche dalla istituzione nel 2006 a Trento del Centro Studi Interdisciplinari di Genere e dall’incontro e collaborazione con altrə colleghə. Tutt’oggi questo scambio interdisciplinare continua in maniera proficua.
Ricordo che questi saperi hanno una origine per lo più extra accademica tramite le produzioni culturali dei movimenti femministi, Lgbtqi+, queer. Solo successivamente sono diventati, in qualche modo, saperi accademici, anche se vi è chi sostiene che gli studi di genere quando si istituzionalizzano e quindi diventano un sapere accademico perdano il loro potenziale trasformativo delle logiche di potere. E in parte è vero. Per chi ne è consapevole, rimane il fatto che il campo degli studi di genere, queer, Lgbtqi+ con i disability studies e i race studies sia difficile da imbrigliare in rigidi steccati disciplinari per la sua interdisciplinarietà e il suo essere in continuo movimento. E questa è la forza di questi studi e la ragione per cui sono ancora oggi così sfidanti dei saperi accademici mainstream, svelandone le sottintese dinamiche di potere e continuando a problematizzare i concetti chiave delle scienze sociali.
- L’università di Trento come si pone rispetto alla realtà italiana, rappresenta un esempio avanzato?
Si potrebbe fare di più, ma di certo negli ultimi anni sono emerse in Italia tante realtà di cui il Centro Studi di genere è parte. Esiste un rapporto del 2022 elaborato e pubblicato sul sito della rete “GIFTS” (Rete di studi di Genere, Intersex, Femministi, Transfemministi e sulla Sessualità), che evidenzia come quest’area si sia consolidata nel tempo nonostante la rigidità del sistema accademico italiano. Gli studi di genere come abbiamo detto rappresentano un campo interdisciplinare, mentre il sistema l sistema accademico italiano ragiona per confini disciplinari rendendo complicato anche il riconoscimento di quest’area di ricerca. Poi come noto ogni disciplina ha delle sue regole per quanto riguarda il reclutamento e ruota attorno a temi identitari di lungo corso, risultando un contesto diciamo poco aperto all’innovazione.
- Attualmente, quale percorso universitario consiglierebbe agli studenti interessati a specializzarsi negli studi di genere? L’Italia fornisce delle opportunità sufficienti o sarebbe preferibile cercare opportunità all’estero?
Non arrivo a dire che si debba per forza andare all’estero, poichè esistono attivi ed eccellenti centri studi di genere (denominati in vario modo) in tutta Italia. Certo non si tratta di grandissimi numeri. Ritornando a quel rapporto GIFTS, parliamo di 27 centri di ricerca che sono per lo più presenti al nord e al sud, in misura minore nel centro Italia. Si contano poi vari programmi di formazione, che possono essere master o dottorati, per un totale di 9. E’ un buon numero, anche se non è confrontabile a quello che è presente in altri paesi europei (e non), dove gli studi di genere si sono diffusi e istituzionalizzati prima. Questo ci riporta al ritardo dell’Italia nel riconoscere quest’area di studio e di ricerca.
- La resistenza da parte della comunità accademica dunque rimane forte.
Sì, decisamente. Vi sono diverse forme di resistenza associata anche a processi di delegittimazione di questa area di ricerca da parte di chi sostiene che sia a-scientifica e ideologica. Ci si imbatte quindi in una serie di extra ostacoli nella carriera accademica sul piano del riconoscimento del lavoro svolto, anche in termini di pubblicazioni che a volte sono considerate ‘fuori dagli schemi’ e dunque fuori dal processo valutativo dei settori scientifico-disciplinari. Ciò penalizza soprattutto lǝ ricercatorǝ junior – alle prime fasi della carriera – che di quelle valutazioni hanno necessità per poter andare avanti.
Detto questo, come dicevo, in Italia vi è una ricca offerta formativa di dottorati, master e corsi di specializzazione, che copre vari temi (stereotipi di genere, sessualità oppure dinamiche politiche, nel mondo del lavoro e altro). Insomma vi è la possibilità di scegliere su cosa specializzarsi a seconda dei propri interessi.
E se quello che c’è non corrisponde al proprio interesse si può andare all’estero, ma questo non vuol dire che quello che si fa in Italia sia di second’ordine. Significa solo che quest’area è molto ricca e variegata, in continua espansione.
- C’è un testo specifico che si sentirebbe di consigliare a qualcuno che si volesse approcciare agli studi di genere?
Vista la ricchezza dell’area sento che farei ingiustizia a qualcunǝ, se dicessi un solo testo. Ne esistono tantissimi. Partirei dalle studiose del black feminism. Ad esempio ci sono le tante opere di bell hooks, e consiglio per iniziare quello più divulgativo ma attuale, “Il femminismo è per tutti”. Un altro suo testo imprescindibile è l’”Elogio del margine”, titolo di un saggio in cui descrive la posizione del margine (propria dell’outsider) come uno spazio situato – di esclusione e di oppressione – da cui leggere la realtà criticamente e costruire rappresentazioni che escono del tutto dal sistema egemonico.
Un’altra studiosa e attivista importante è Angela Davis per esempio, e tutta la sua opera è un punto di riferimento per la riflessione femminista, e non solo.
Esiste poi un manuale un po’ più articolato, pensato per l’università (adottato anche per un mio insegnamento) intitolato “Questioni di genere” di Raewyn Connell che può essere considerato un buon punto di partenza per chi inizia a interessarsi a questi temi – basta essere consapevoli (parafrasando proprio un titolo di Angela Davis) che lo studio è una lotta costante.
Se siete interessati all’argomento, qui potete trovare il link alla prima parte dell’intervista, nella quale la professoressa Donà ci ha parlato della questione dell’educazione sessuale e di genere in Italia.