La forza della Memoria
Il termine Memoria indica la capacità degli esseri viventi di conservare traccia. La Memoria si potrebbe definire come un concetto guida che plasma il nostro modo di vivere e di fare esperienze, influenzando i nostri valori. Questo termine porta con sé un grosso peso, che sembra ricadere sulle coscienze individuali e collettive al fine di responsabilizzarle.
Abbiamo il piacere di dialogare con Denise Rocca, giornalista e Presidente di Terra del Fuoco Trentino, associazione nata da un gruppo di educatori e partecipanti al Treno della Memoria del 2014, progetto di Memoria e Cittadinanza attivo a livello nazionale.
Inizio chiedendo, quale potrebbe o dovrebbe essere, secondo te, il ruolo della Memoria oggi, in un periodo in cui tutto sembra superficiale e veloce. Dunque qual è per te il valore del lavoro che porti avanti insieme a Terra del Fuoco Trentino?
La memoria ha un ruolo che può essere variegato, personale. Ho intervistato alcune delle persone sopravvissute, ora penso di poterlo dire con un po’ di accuratezza: per loro raccontare ha anche un valore terapeutico. Ma per tutti noi. Qui parliamo di una Memoria con la M maiuscola, in qualche modo collettiva; ma c’è anche una memoria personale dei fatti importanti della nostra vita, che serve sempre a rielaborare un passato e ad andare avanti.
La memoria per me, che sia collettiva o personale, individuale o comunitaria, è sempre un punto di partenza per leggere l’oggi e costruire un futuro. Se tu non ti basi sulla memoria, su cosa costruisci il futuro? Da dove nascono le idee? Dai rapporti che costruisci con gli altri.
In riferimento a Terra del Fuoco Trentino, per me la memoria collettiva è un attivatore di cittadinanza consapevole: noi siamo parte di una comunità. “Essere parte di” vuol dire avere un ruolo, non significa solo “far parte di”. La memoria ci aiuta a costruire un ruolo all’interno di una collettività e creare una cittadinanza attiva: prendiamo delle decisioni, come quella di essere parte della nostra comunità. Nel nostro caso, con il Treno della Memoria, la cittadinanza attiva è la costruzione di persone consapevoli e attive nel proprio ruolo.
Perché ancora oggi “fare memoria” è così divisivo? Questo può portare al rischio di perdere la memoria, alterarla o manipolarla?
Bisogna innanzitutto considerare il grande ingresso della tecnologia. Da una parte ha reso possibile l’allargamento del dibattito: oggi si assiste ad una popolarizzazione della discussione, che di per sé è positiva. Il problema è che mancano le direttive per governare questo surplus di informazioni che ci arrivano in maniera caotica, e lo dico anche da giornalista. L’informazione prima era governata: c’era un insieme di politici e amministratori che dialogavano con il mondo dei giornalisti, perché loro erano designati a dare informazione. Si trattava di un sistema con tutti i suoi difetti, ma in cui ognuno aveva un ruolo; adesso invece dobbiamo ritrovare i nostri ruoli all’interno di un mondo che ci dà informazioni manipolabili.
Di fatto, oggi, tutto diventa divisivo, non solo la memoria; le informazioni arrivano in canali privi di regole. Oramai ogni memoria sembra avere delle basi storiche sempre diverse: ci sono dei punti di vista, ma ci sono anche fatti veri e propri. Il problema è che, fra 50 anni, prendendo ad esempio la guerra in Ucraina, i fatti saranno molto difficili da determinare, tra materiale modificato e una marea di fake news. Come si trova il fatto storico? Credo che siamo in una fase che appare molto confusionaria, in cui tutto sembra divisivo, ma invece non lo è. Non parlo di una verità perché la verità oggettiva non esiste, ma la realtà storica sì. Sicuramente tutto è criticabile, nessun sistema è perfetto; allo stesso modo non buttiamo via il giornalismo, credendo che basti andare sui social, e non buttiamo via la storia. Quando abbiamo creato la macchina ad un certo punto abbiamo creato anche il codice della strada. La tecnologia è veloce e invade ogni ambito e dà l’impressione che non ci sia nulla di certo.
Il lavoro della memoria è anche questo, trovare un metodo.
Questa domanda nasce dal fatto che è stato messo in discussione il dare memoria a Peppino Impastato, tramite l’intitolazione a una scuola di Palermo. Perchè accade? È passato troppo tempo e oggi viene recepita un’altra memoria?
In questo momento storico dobbiamo essere pronti al fatto che tutto venga messo in discussione, anche quelle che sono considerate grandi certezze, e dobbiamo prepararci in due modi: da una parte imparare a difendere ciò che è una realtà storica, considerando che l’opinione è una cosa diversa, è un pensiero che si fonda su analisi e studio; quindi l’opinione dello storico competente avrà sempre valore maggiore. Tutti hanno diritto di pensiero, ma la competenza e la professionalità devono essere riconosciute.
Dall’altra parte c’è il fatto che apprezziamo il lavoro che Peppino Impastato ha fatto in termini di antimafia e legalità, e per questo la sua memoria non può essere messa in discussione. Non dobbiamo però cadere nella trappola di considerare tutti i pensieri uguali alle opinioni ed erigere a eroi delle figure che hanno contribuito in un solo specifico settore. Possiamo dibattere in maniera approfondita su una serie di temi, mettere in discussione alcune questioni di Impastato e della memoria dei campi di concentramento, ma bisogna farlo partendo da un livello di dibattito che sia reale, basato su realtà storiche.
I viaggi della Memoria accompagnano ogni anno migliaia di studenti, studentesse e non solo, nei territori simbolo di quello che è stato forse il periodo più buio del secolo scorso, l’Olocausto e la costruzione di campi di concentramento e poi sterminio che portarono al genocidio di ebrei, sinti, rom, omosessuali. È indispensabile, oserei dire, fare questo tipo di esperienza; è indispensabile fare memoria oltre il 27 gennaio. Che strumenti ognuno e ognuna di noi può attuare per fare memoria in un contesto in cui i principi e le dinamiche fasciste sono sempre di più attualizzate, al punto tale che il termine “neofascismo” sia sempre più chiamato in causa?
Io trovo che il viaggio sia indispensabile. Vediamo sempre tutto tramite cellulare o computer, ma così ci appare distante, quindi credo che ci sia bisogno di andare a vedere una realtà storica, esserne testimoni e riconoscerla. Credo in tutte le esperienze come il Treno della Memoria, che ti portano in un luogo e ti costringono ad approfondire per navigare in quel mare di fake news, dubbi e dibattiti mal fatti.
Ci sono degli strumenti della democrazia che conosciamo troppo poco. Oggi, mettersi assieme, che sia un’associazione o un comitato, e far sentire la propria voce, credo sia una cosa importante per aprirsi e creare azioni collettive. Terra del Fuoco Trentino ne è un esempio: per noi singolarmente, che abbiamo vissuto il Treno, ha portato a rendersi conto dell’importanza della cittadinanza attiva trasferita in un’associazione. A livello personale è un riconoscere nell’altro i valori umani, come noi abbiamo riconosciuto, andando nei campi, che quelli non erano dei numeri ma delle persone. Se tu mi chiedi come io, giorno per giorno, utilizzo la memoria, che per me è diventata fondamentale col Treno della Memoria, io ti rispondo così: collettivamente, ricordandomi che nel mio lavoro è importante saper relazionarmi con le persone e ricordarmi che una grande tragedia storica è partita dall’incapacità di vedere di fronte a noi un essere umano.
Siamo impregnati di neofascismo, ma lo riconosciamo? È un esercizio quotidiano: la memoria crea il nostro stare al mondo, che nasce da come io voto, da come io mi relaziono con gli altri, da come io mi pongo nei confronti del migrante che arriva. La memoria ci aiuta anche in questo: gli strumenti sono più semplici di quello che crediamo. Il famoso “Non odiare” di Oleg Mandič, quando lui dice “Ho vissuto i campi di concentramento e riesco a non odiare, tu odi per cosa?”; come decidi di leggere la tua realtà, è sempre una scelta personale e individuale.
Indifferenza è la parola che ricorda Segre sulla tragedia vissuta, qual è la parola che più ti ricorda la “memoria” e il “fare memoria”?
Secondo me è scegliere, la “scelta”, scegliere di fare memoria: tu sei memoria tutti i giorni. Avere presente un determinato meccanismo: non tratto male il migrante perché riconosco in lui un’umanità annientata e privata di ogni diritto. Non faccio la stessa cosa. Nel mio piccolo ho il potere di scegliere di non trattarlo male. Per me la memoria è scegliere.