La civetta e la talpa

Che cosa significa che «la filosofia è il tempo di essa appreso in pensieri» (Georg Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma 1999, p. 15)? Che cosa significa pensare il proprio tempo? «Quale il rapporto fra la “civetta” della filosofia, che interpreta in maniera vigile e cosciente le modificazioni prodotte dall’epoca, e la “talpa” dello “spirito”, che trasforma e scalza inconsciamente le fondamenta dell’epoca stessa mediante un lavorio cieco ma istintivamente rivolto a un fine sconosciuto ai contemporanei? Tra la filosofia, che sembra vedere e non fare, e il movimento storico, che sembra fare e non vedere?» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 10) Perché, inoltre, il sistema hegeliano vuole essere la forma suprema o, per dirla altrimenti, enciclopedica della filosofia come scienza rigorosa?

Il cristallino, nonché faticosissimo, lavoro del professore Remo Bodei si è occupato, fra le altre, anche — per non dire soprattutto — di queste ultime questioni a tal punto che si potrebbe considerare il suo lavoro sulle pagine dello Hegel il lavoro di tutta una vita. Il primo saggio di Bodei, infatti, fu un saggio di novanta pagine sul ruolo degli intellettuali nel pensiero politico di Hegel pubblicato ancora ventiduenne sui fascicoli della rivista Il pensiero a cavallo fra il 1961 e il 1962. Nel giro di qualche anno Bodei realizzò poi un saggio sulla bozza hegeliana della Costituzione della Germania, oggetto, fra l’altro, della sua stessa tesi di laurea sostenuta con il professore Arturo Massolo, al quale, non a caso, è dedicato il volume Sistema ed epoca riedito poi a quarant’anni di distanza con il nuovo titolo La civetta e la talpa, che, come dice Bodei, «è, dunque, un’opera in parte nuova e, in parte, in grado di conservare quanto mi sembra abbia resistito all’usura del tempo (del resto, in filosofia, le idee si comportano come le placche nella deriva dei continenti: si muovono in maniera impercettibile, anche se poi il loro scontro provoca periodiche catastrofi, per fortuna solo concettuali ma alla lunga non prive di effetti pratici). Se è vero quanto dice Schopenhauer, che ognuno di noi non fa altro per tutta la vita che sviluppare una sola idea o scrivere un unico libro, questo è l’intimo prolungamento del primo» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 16). Un «prolungamento» che non avviene solo e soltanto con la riedizione di Sistema ed epoca — che, in questa sede, proveremo a considerare negli aspetti più originali per la discussione sugli studi hegeliani in Italia (e non solo) —, ma anche con la pubblicazione nel 1971 della traduzione di Bodei di quelli che vengono chiamati i Primi scritti critici di Hegel, cioè gli studi viennesi sulla differenza fra il sistema filosofico di Fichte e di Schelling, e Fede e sapere. Inoltre, sempre nel 1971, Bodei convinse Serra a tradurre dal tedesco all’italiano i Tre studi hegeliani di Adorno, i quali rappresentavano un altro tassello del mosaico per gli studi italiani del pensiero hegeliano di quegli anni. Successivamente, invece, nel 1974 Bodei cura e traduce l’edizione italiana de La Vita di Hegel di Franz Rosenzweig, nel 1975 traduce l’opera Soggetto e oggetto di Ernst Bloch e pubblica il saggio Hegel e l’economia politica, nel 1976, “infine”, traduce  Hegel e lo Stato di Franz Rosenzweig. Ma, come se non bastasse, in questa linea di importantissimi studi critici hegeliani, alla quale sembrerebbe mancare soltanto Kojève, nel 1991, quando la casa editrice Einaudi decide di ristampare l’edizione del 1949 di una selezione delle lezioni sulla Fenomenologia dello Spirito è Bodei a scriverne la prefazione. Tuttavia, la “rivoluzione” di Bodei per gli studi hegeliani in Italia (e non solo) non sta tanto nella sua straordinaria produzione storico-critica e soprattutto filosofica quanto, invece, nella sua altrettanto straordinaria capacità di «scrostare dall’immagine di Hegel i principali pregiudizi e banalità che vi avevano depositato in una sequenza di strati successivi, interpretazioni, anche illustri, ma false, distorte o frettolose. Per ottenere un effetto di maggior nitore, avevo proceduto a una iniziale operazione di restauro, in modo da far risplendere in essa i colori anneriti dal tempo e da rendere maggiormente leggibili i contorni dell’insieme» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 9). In particolar modo Bodei da una parte aveva respinto «lo storicismo invertebrato allora in auge in Italia, tutto sfumature e niente struttura, pronto ad appiattire il pensiero sugli avvenimenti» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 12) e dall’altra aveva, invece, rivendicato «l’importanza del tanto denigrato “sistema”, generalmente presentato come una specie di camicia di forza indossata da un pazzo o, più benevolmente, come la dottrina di un “panlogista” pedante che ignora le pulsazioni del pensiero vivente»  (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 12). Queste ultime prospettive omologanti, che facevano cioè dello Hegel ora “quello progressita” ora “quello reazionario”, ora “quello della dialettica” ora “quello del negativo” e così via, toccavano sia l’Italia, per esempio con Croce, sia l’Europa, per esempio con Marx, con Lukacs e con Adorno. Quest’ultimo, in particolar modo, come nota Bodei proclamerà addirittura che «“L’intero è il falso”»  (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 12) ribaltando dunque il sistema hegeliano per il quale, invece, «il vero è l’intiero» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 15), cioè  non un’unità originaria come tale, né un’unità immediata come tale, ma l’Assoluto che, per l’appunto, non può essere sintetizzato soltanto con la formula unum atque idem — «per la notte [cioè] nella quale, come si suol dire, tutte le vacche sono nere» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 13) — ma piuttosto con la formula onniavvolgente che include tanto A = A quanto A ≠ A. Un tale sviluppo, un tale processo, un «tal divenire della scienza in generale o del sapere, è appunto ciò che questa fenomenologia dello spirito presenta» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 21), ovvero «il progressivo sviluppo della verità (fortschreitende Entwicklung der Warheit)» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel,  Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 2). Infatti, per Hegel, se la scienza si preoccupasse immediatamente dell’immediato questo sarebbe «un nuovo tentativo di camminare con le gambe per aria» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 21) o, per dirla altrimenti, un «farfalleggiare» (l’espressione è di Hegel) introno a pensamenti irreali, che, come «un colpo di pistola» (l’espressione è di Hegel) non considererebbe il cammino lungo e faticoso del concetto per passare dal concreto all’astratto, dall’in sè al per sè, dalla parte al tutto — «la magica forza» (l’espressione è di Hegel)  capace di volgere il negativo nel positivo o, comunque, il non-essere nell’essere. Perciò, per Hegel, con buona pace di Adorno, «la verità non è una moneta coniata, la quale, così com’è, possa venir spesa e incassata» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, pp. 30-31) perché il vero non sta al falso come il metallo sta alla scoria, come la botte sta a l’arnese, come l’acqua sta all’olio, cioè come qualcosa che isola senza reciproca comunanza l’una cosa dall’altra, ma piuttosto come quel qualcosa che necessariamente implica e co-implica la reciprocità degli opposti — tanto del vero quanto del falso — che solo e soltanto assieme costituiscono l’intero — «un sorgere e un passare che né sorge né passa, ma che è in sé e costituisce l’effettualità e il movimento della vita della verità» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, pp. 30-31). In queste faglie del pensiero novecentesco, fra le quali, in questa sede, si è preso a titolo di esempio quella più controcorrente rappresentata dalla formula di Adorno, lo Hegel di Bodei è dunque una voce fuori dal coro. Il professore Remo Bodei con Sistema ed epoca fu infatti capace per la prima volta di d(on)are a ognuno di noi lo Hegel di Hegel: 1. in primo luogo distolse infatti l’attenzione dall’esclusivo rapporto Hegel-Marx rimarcato a più non posso dal marxismo o, per meglio dire, dai marxismi del novecento; 2. inoltre, in secondo luogo,  si dedicò in maniera magistrale a sfatare alcuni miti come, per esempio, a) il panlogismo, b) la statolatria, c) la fine della storia e d) il sistema chiuso. In quest’ultimo caso, cioè per la discussione sul sitema di hegel, Bodei è stato ulteriormente capace di mostrare e di dimostrare che il sistema di Hegel per essere compreso fino in fondo deve essere «scomposto, scompaginato e ricostruito, al fine di coglierne gli esplicitamente dichiarati intenti didattici, gli ingranaggi interni e gli agganci con la realtà» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 11). Non dunque la lettura di Hegel a partire da Nietzsche operata da Lowith o, comunque, a partire dal pensiero negativo operata dall’ultimo Schelling, da Heidegger e da Schmitt, ma la restituzione delle spoglie immacolate del “vero” Hegel. In questa prospettiva Bodei voleva collegare il sistema di Hegel in rapporto al sistema umanistico-scientifico del suo tempo — Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Sebbene, infatti, oggi come oggi, «quasi a conferma dell’asserzione di Keynes, secondo cui “l’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 18) questa costruzione non sia più possibile forse perché «proprio quando il mondo diventa sempre più interconnesso, il pensiero stenta a essere globale» (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2021, p. 13). Nessuno — da Bacone a Marx e da Reinhold a Fichte — è stato tuttavia capace, stando a Bodei, di costruire un sistema umanistico-scientifico come quello incompiuto di Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Si capisce allora che, per Bodei, il sapere assoluto di Hegel non è l’onniscienza divina così come il sistema hegeliano non è la sclerotizzazione o, comunque, il sogno di un matto che vuole chiudere la realtà per ingabbiarla, ma il sistema enciclopedico che dialoga con la biologia, con l’economia e con la fisica: un sistema appunto come enciclopedia delle scienze filosofiche — «La comunione piú intima di tutte le conoscenze, la repubblica delle scienze, è l’alto scopo dei dotti» (Novalis, Polline, in Opera filosofica, I, Einaudi, Torino 1993, p. 397). Non a caso, nella prefazione della seconda edizione di Scomposizioni del 2016 Bodei confessa che, a distanza di quasi sessant’anni dalla pubblicazione di Sistema ep epoca, la costellazione di temi che ancora guidano la sua ricerca sono l’individualità, l’identità personale, le passioni, la razionalità, la coscienza, le contraddizioni, le strutturale temporali, le attese di cambiamento, le fughe dal mondo nell’interiorità e la dimensione religiosa. Tutti questi temi sono sì i principali temi delle opere di Bodei, ma sono anche e soprattutto i temi che Bodei ritrova in quel sistema enciclopedico del suo amato Hegel: è, infatti, Hegel che cita Aristotele che parla della passione come movente per l’azione, è sempre Hegel che cita Goethe, il quale dice che «nulla di grande nella storia è stato compiuto senza passione» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel,  Lezioni sulla filosofia della storia (1837), I, 62-63, La Nuova Italia, Firenze, 1981, pp. 73-74). In questa prospettiva, allora, si potrebbe dire che se, per Bodei, senza la passione — che non è la passione che offusca ma la vitalità necessaria per ogni pensiero — non c’è nulla; per Hegel, invece, la vitalità di ogni pensiero, cioè la condizione sine qua non non è possibile nessun darsi del pensiero, è la contraddizione stessa. Non a caso, per Hegel, il «Parmenide di Platone [è] senza dubbio la più grande opera d’arte della dialettica antica» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 59). Se, infatti, da una parte il senso comune si appella «all’oracolo interiore del sentimento, […] [che] calpesta la radice dell’umanità»  (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 58) in quanto volendo accordarsi senza differenza con tutte le altre coscienze rompe ogni contatto con chi, invece, non è del suo stesso parere; dall’altra, per Hegel, la scienza filosofica è propriamente l’automovimento del concetto riscontrabile già con il Parmenide di Platone che, per l’appunto, segna la «strada per l’intima verità della cosa» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 60), la quale passa per la «via del dubbio», per la «via della disperazione» (le espressioni sono di Hegel), per la via della contraddizione oltrepassando così le «nubi dell’errore» per raggiungere il «cielo della verità» (le espressioni sono di Hegel). La dialettica di Hegel, infatti, contrariamente a quella di Kant, per Bodei, che, in questo senso, è fra i pochi a smascherare il «segreto di pulcinella» (l’espressione è di Haering) della Fenomenologia, è la sintesi di λόγος e πόλεμος, cioè, per dirla altrimenti, è un vero e proprio metodo di costruzione dell’individualità — identità individuale e collettiva nella loro interrelazione — sintesi dell’io nel noi e del noi nell’io. Anche e soprattutto perciò la dialettica dello Hegel di Bodei oltrepassa di gran lunga la dialettica dei post-hegeliani come Feuerbach, Kierkegaard e Nietzsche, che, invece, assumono la cifra caratteristica della sintesi come conciliazione. La sintesi, invece, per lo Hegel di Bodei è un momento profondamente conflittuale, che però rappresenta la condizione necessaria per il porsi dell’identità, la quale non si darebbe se non passando per e attraverso la conflittualità. Una conflittualità magistralmente raffigurata sulla tavola composta dall’artista francese Gustave Moreau dal titolo La chimera, che mostra il passaggio conflittuale dalla terra dell’esperienza al cielo della coscienza, dalla terra dell’uomo al cielo di Dio dalla terra dell’errore al cielo della verità.

In definitiva, come si narra che Eraclito dicesse ai forestieri che desideravano incontrarlo, e che si erano fermati, perché, dopo essersi avvicinati a lui, avevano visto che si riscaldava presso il forno, di farsi avanti senza avere paura, in quanto anche lì c’erano gli dèi (είναι γάρ καί ένταυθα θεούς), così dunque, si potrebbe dire anche di Bodei, il quale, contraddicendo ampiamente l’immagine stereotipata del filosofo Talete contenuta fra le pagine del Teeteto di Platone, è stato capace di mostrare come pochi, per non dire pochissimi, la presenza del divino nell’umano e dell’umano nel divino sintettizzabile nel motto spinoziano «non ridere, non lugere neque detestari sed intelligere».

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