Al confine tra filosofia e fisica
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. (Galilei, 1623, pp.119-120, grassetto aggiunto)
Queste sono le parole di Galileo Galilei, che in una delle sue più importanti opere, se non la più importante (Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo), parla della sua ricerca, della sua attività, parla di filosofia. Eppure, qualcuno potrebbe obiettare che Galileo fosse uno scienziato, anzi, forse presuntuosamente, l’inventore del metodo scientifico. E anche in questo caso potremmo, a certe condizioni, concordare. Ma allora Galileo era uno scienziato o un filosofo? Rispondere a questa domanda è molto complesso in quanto la risposta deve essere ricercata all’interno della storia dei concetti di scienza e filosofia. All’epoca infatti l’attività di Galileo era quella del filosofo naturale, che cerca la vera essenza del mondo, contrapposta in un certo senso a quella dell’astronomo-matematico, che si limitava a costruire dei modelli astratti con l’unico obiettivo che fornissero una predizione accurata dei fenomeni osservati.
Il confine tra la filosofia e la scienza è da sempre stato molto sottile e spesso oserei dire completamente dissolto in una ricerca comune. Se si pensa che molte delle scoperte di Galileo sono state relative alla fisica, allora è facile inferire che anche il confine tra fisica e filosofia ha una lunga storia che oscilla da demarcazioni chiare a trasparenze liminali. Nonostante questo, o forse proprio in forza di questa caratteristica, il filosofo che oggigiorno si interessa della fisica lo può fare in molti modi, andando a braccetto con la fisica, imponendo categorie filosofiche per trattare dei risultati delle teorie, oppure sbilanciandosi verso un atteggiamento più matematico-scientifico e utilizzando strumenti più simili a quelli del fisico tradizionale. Prendendo spunto dal lavoro di Matteo Morganti, un professore dell’Università di Roma Tre, suggerisco un triplice approccio alla questione riguardante il rapporto tra fisica e filosofia.
Una prima tipologia riguarda ciò che gli episodi storici e le domande generali della filosofia della scienza possono far emergere riguardo alla fisica. Ad esempio ci si può chiedere qual è il ruolo dell’esperimento, oppure perché la matematica si possa applicare alla descrizione del mondo e perché sia così efficace o, ancora, ci si può domandare quale sia la natura delle leggi di natura nell’ambito della fisica. D’altro canto si possono usare alcune teorie fisiche come “banco di prova” per determinare alcune ipotesi filosofiche. Ad esempio T.S. Kuhn, in La rivoluzione copernicana, oltre ad aver descritto questo momento storico della fisica, ha suggerito alcune idee innovative sull’interpretazione concettuale che bisogna avere della rivoluzione e successivamente anche della dinamica evolutiva della scienza.
Indubbiamente questa è solo una sfaccettatura del lavoro del filosofo della fisica. Un altro importante ambito è quello che mette in stretta connessione fisica e metafisica. Entrambe le parole derivano dal greco physis, che possiamo tradurre come “natura”, ma metafisica aggiunge la particella meta che significa “dopo” oppure “oltre”. Originariamente questo termine nasce come il nome che viene dato all’opera di Aristotele nella sistemazione operata da Andronico di Rodi. Un primo libro infatti si chiamava ta physika – le cose della natura – e l’altro ta meta ta physika – le cose dopo quelle della natura –, nomenclatura che ha creato molti problemi su come intendere questo “dopo”. Si può infatti sia intenderlo come il libro successivo, ma anche come ciò che dal punto di vista dei contenuti dei libri seguiva il libro precedente. Ancora una volta ritroviamo un discorso riguardo al confine tra filosofia e fisica nell’opera di Aristotele, considerato sicuramente un filosofo, ma anche, in certa misura, uno scienziato ante litteram (ricordiamo che il termine scienziato nasce in età contemporanea). In questa nuova compagine della filosofia della fisica avviene come una “fusione” di fisica e metafisica, anche se rimangono individuabili gli apporti distinti delle due discipline. Anzi, potremmo dire che in questo campo è la filosofia a giocare un ruolo centrale, in quanto la fisica si limita a fornire il materiale – la migliore teoria disponibile – su cui vengono applicate tutte le categorie della metafisica, dalla natura dell’identità, dell’individualità, delle proprietà, dello spazio e del tempo, alle relazioni parte-tutto che si danno nel mondo fisico (si pensi alla mereologia). Se per quanto detto finora sembra esserci uno sbilanciamento verso la filosofia in questo ambito, bisogna comunque tenere in mente che la sinergia è in realtà significativa e, anzi, a mio avviso si potrebbe dire che in quest’ambito filosofia e fisica possono svilupparsi di pari passo e avere una reale influenza reciproca. In questo senso la prima, fornendo degli schemi interpretativi che seguono concetti filosofici di indagine del mondo (come le categorie più generali dell’essere), sembra poter aver quasi un ruolo normativo: l’immagine del mondo che la teoria fisica dà deve infatti sottostare proprio a queste interpretazioni, che sono oggetto di studio del filosofo. Ad esempio, capire se la fisica quantistica dice che nel mondo esistono funzioni d’onda oppure particelle e se queste particelle sono discernibili oppure no, o se il loro composto ha proprietà olistiche emergenti è compito della filosofia, in particolare della metafisica.
Così come in quest’ambito la filosofia sembra “avere la meglio”, rivendicando a pieno diritto la legittimità del suo discorso sulla fisica, l’indagine svolta nell’ambito dei fondamenti della fisica, che ancora mette in dialogo le due discipline, propende di più verso la scienza. Questa è la variante più tecnica e specializzata in questa tripartizione. Ciò vuol dire che il filosofo deve piegarsi ad utilizzare strumenti che tipicamente sono propri del fisico, in particolare la matematica. Il filosofo che lavora nei fondamenti della fisica cerca di far proprio e applicare un approccio tecnico e specialistico alla filosofia della fisica. Solitamente gli studiosi in questa compagine della filosofia della fisica si occupano di teorie o parti di teorie, e specificatamente delle loro parti formali (in linguaggio matematico). Pensare ad alcuni dei loro risultati aiuta, o forse rende solo più oscuro per i profani, a comprendere la “tecnicità” di questa filosofia. Il filosofo-fisico infatti tratta temi come: la validità e la portata di certi teoremi oppure i cosiddetti “risultati di impossibilità” (no-go theorems); le questioni relative all’invarianza, rispetto, ad esempio, alle “inversioni temporali”; il ruolo e il significato della probabilità in fisica oppure il determinismo e l’indeterminismo in generale o specificatamente. È forse in questo ambito che però l’attività di fisici e filosofi può essere più a stretto contatto. Questo connubio, dove i primi, sebbene debbano irrobustirsi sotto l’aspetto più formale della fisica, mantengono la loro “consapevolezza filosofica” e i secondi danno il loro apporto grazie ad una mentalità più “strumentalista”, può diventare davvero fruttuoso. Tuttavia oserei dire che in questo campo di indagine la componente “scientifica” rimane più accentuata, anche se è indiscutibile che i risultati ottenuti siano da una parte dovuti anche al contributo filosofico e dall’altra abbiano anche delle conseguenze più prettamente teoretiche.
Filosofia e fisica perciò hanno molte possibilità per dialogare sia che si prediliga un accento più speculativo sia uno più tecnico. Ma è davvero diventato anche più chiaro il confine tra queste discipline? Non sembra piuttosto che abbiamo definito fino ad adesso solo le porte di accesso, i canali di comunicazione? Tuttavia una porta è tale perché collega, ad esempio, due stanze che sono separate, quindi in qualche modo abbiamo anche definito il muro che divide le due camere, della filosofia e della fisica. Il fatto che inizialmente non sembra evidente dove e quale sia questo muro dipende dalla sua natura, dalla sua physis. Questo muro infatti sembra avere le sue fondamenta ancorata in due diversi siti, quello della fisica e quello della filosofia. Queste due indagini sono strettamente connesse tra loro per come si definiscono. A renderlo evidente è la storia passata che mostra come sin dalla Grecia antica le domande che venivano poste riguardavano il principio, il principio che spiegasse il mondo. E in effetti di cosa tratta la fisica se non proprio del mondo – e delle leggi che lo governano –. Allo stesso tempo, a rifletterci bene, si riscontra anche nella filosofia una lunga tradizione che parla della realtà. È indubbio perciò che il terreno di indagine delle due discipline sia comune. Contemporaneamente, però, è anche chiaro che esse sono differenti e autonome nei loro ambiti. È un dilemma che parrebbe non aver soluzioni se non celate nella natura più profonda della filosofia. A mio avviso è in questo suo carattere intransigente e ostinato che si ritrova l’unicità della filosofia stessa: ovvero nella sua vocazione e dedizione alla ricerca del vero. Bisogna subito sottolineare che questo non significa che la fisica non sia attendibile o che cerchi il falso, anzi si potrebbe dire che uno dei caratteri più importante della rivoluzione scientifica avvenuta tra XVI e XVIII secolo è stato il realismo scientifico, ovvero l’idea di star rappresentando il mondo “così com’è”. Eppure, l’audacia con cui la filosofia cerca la “Realtà” e con cui riesce a formulare una serie di domande che non sono riducibili al campo della scienza, combinata con i suoi strumenti caratteristici, quelli del pensiero e della logica (formale), la rendono unica. In questo modo è più nitida la differenza rispetto alla fisica, che utilizza altri strumenti come la matematica e l’esperimento, e che in ogni caso non ha l’interesse per certe domande né come obiettivo il vero, o ce l’ha solamente perché lo condivide con la filosofia.
Se queste sono le fondamenta, il muro è stabile ma intrinsecamente mobile ed in continua dissoluzione. Allo stesso tempo, si capisce perché la filosofia e la fisica abbiano tutte quelle porte di accesso di cui abbiamo parlato all’inizio e si può pensare ad un futuro prospero e di sinergia tra esse. Tuttavia, queste fondamenta sono allo scoperto, vulnerabili a molti attacchi, e non si può non chiedersi se sia davvero questa la distinzione tra filosofia e fisica, se davvero sia questo il muro che le divide o se magari sia solo un’illusione, se i canali di comunicazione siano genuini o semplicemente la forzatura di un collegamento inesistente.
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