L’Odissea del Mediterraneo, pt.1: tragedie, leggi e prospetti futuri.

Parte 1

Soccorsi sotto Assedio: La Mare Jonio tra Salvataggi e Sparatorie nelle
Acque Internazionali e questioni legali con la Dott.ssa Mussi.

Lo scorso 4 aprile, in acque internazionali, la nave italiana Mare Jonio, operante sotto l’egida
dell’ONG Mediterranea, interviene per soccorrere una cinquantina di persone prive di
equipaggiamento di sicurezza e stipate su un’imbarcazione in pericolo, con il motore in avaria.
Poco dopo le prime operazioni di assistenza, a forte velocità, sopraggiunge una motovedetta
libica. È la 658 “Fezzan”, una delle Classe Corrubia, precedentemente appartenente alla Guardia
di Finanza e donata dal governo italiano alle milizie libiche di Tripoli nel 2018.
Dalla motovedetta, via radio, le voci si fanno sempre più intimidatorie, ordinano alla Mare Jonio
di allontanarsi e smettere di prestare soccorso. All’improvviso, dalla 658 esplodono colpi di fucili
mitragliatori, mentre i miliziani libici brandiscono fruste e bastoni, colpendo senza pietà i
migranti sull’imbarcazione. Presi dal terrore e dallo shock, i migranti iniziano a gettarsi in mare.
L’equipaggio di Mediterranea però non si ferma e riesce a salvare le persone in acqua e
sull’imbarcazione per un totale di 56 persone, 56 esseri umani.
Vomito, ipotermia e i segni indelebili delle torture delle carceri libiche cancellano quella
parvenza di umanità agli occhi delle vittime ancora traumatizzate, ma finalmente, o
momentaneamente, in salvo. Altri migranti, però, vengono recuperati dalla guardia costiera e
molto probabilmente riportati all’inferno delle carceri libiche.

Com’è possibile tutto ciò? Quali sono le leggi internazionali, i trattati che regolano le attività di
ricerca e soccorso in mare? Quali sono gli obblighi degli Stati in merito?
Grazie all’aiuto della dottoressa in Giurisprudenza Francesca Mussi, esperta nel settore,
possiamo quindi approfondire quali siano le dinamiche giuridiche internazionali che entrano in
gioco in situaizioni simili, trattandosi infatti di episodi decisamente non isolati.
Il principio dell’obbligo di prestare soccorso in mare, radicato nelle tradizioni di solidarietà
marinara più antiche, è stato incorporato negli accordi multilaterali di diritto del mare fin dai
primi del Novecento. Questo obbligo è stato ribadito e dettagliato in trattati successivi, come
l’art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la regola 33 del capitolo V
dell’annesso alla Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare
(Convenzione SOLAS), l’art. 10 della Convenzione sul salvataggio, e il paragrafo 2.1.10 dell’annesso alla Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare (Convenzione SAR).


Questo obbligo è considerato parte del diritto internazionale consuetudinario e
vincola tutti gli Stati, indipendentemente dalla loro partecipazione ai trattati specifici.
Si applica a tutte le imbarcazioni, inclusi i natanti privati e le navi delle ONG coinvolte
nel soccorso in mare, e a chiunque sia in pericolo in mare, compresi i migranti, senza
distinzione di status legale o circostanze. Gli Stati hanno due principali doveri in materia
di soccorso in mare: quello della bandiera di assicurare che i comandanti delle loro
imbarcazioni soccorrano chiunque sia in pericolo in mare senza mettere a rischio la nave,
l’equipaggio e i passeggeri, e quello dello Stato costiero di garantire un servizio permanente
di ricerca e salvataggio, collaborando con gli Stati adiacenti se necessario. Inoltre, il
comandante della nave ha l’obbligo diretto di procedere al salvataggio, come stabilito dalla
Convenzione SOLAS e dalla Convenzione sul salvataggio.
Dalla politica italiana, essendo inevitabilmente “obbligato” a esporsi date le circostanze, il
ministro dell’interno Piantedosi ha provveduto a rilasciare un comunicato dai tratti
granguignoleschi. Questi di fatti affermava che la nave italiana fosse intervenuta in un
momento successivo, avvicinandosi alla motovedetta Fezzan quando questa aveva già
assolto gli obblighi di salvataggio in mare. Tuttavia i video dell’accaduto confutano in
maniera evidente la dichiarazione del ministro.
La dottoressa Mussi infatti non manca di rimarcare come sorprenda che, a parere del
Ministro, sembrerebbe che l’obbligo di prestare soccorso in mare si esaurisca con il mero
“recupero” delle persone rinvenute in pericolo. I trattati di diritto internazionale del mare
sanciscono invece che ciò avvenga unicamente con la conduzione degli individui tratti in
salvo in un luogo sicuro di sbarco. Anche ammesso che la motovedetta libica Fezzan
avesse raggiunto per prima lo scenario (circostanza che peraltro risulta smentita dal
materiale video diffuso dai principali quotidiani), risulta difficile qualificare l’azione delle
autorità libiche come operazione di soccorso (sembra piuttosto trattarsi di un’operazione di
intercettazione dei migranti) e ipotizzare che gli obblighi di soccorso in mare fossero stati
assolti, atteso che gli individui in pericolo (solo alcuni) erano stati unicamente tratti a bordo
della motovedetta e sarebbero stati condotti in Libia, Stato che i tribunali italiani hanno
concordemente ritenuto non potersi considerare come luogo sicuro poiché i migranti vi
subiscono violazioni gravi dei propri diritti fondamentali.
Il caso libico ha portato allo sviluppo di operazioni e trattati per la gestione del flusso
migratorio su più livelli. Una tra queste l’operazione Eubam nel 2013, al fine di “Contribuire a
potenziare la capacità delle autorità e agenzie libiche competenti nella gestione delle frontiere
della Libia, nella lotta contro il crimine transfrontaliero” (THE COUNCIL OF THE
EUROPEAN UNION, COUNCIL DECISION (CFSP) 2023/1305 of 26 June 2023).

Il sentimento europeo di “profondo sgomento” a seguito dei numerosi casi naufragi e traffico di esseri umani guida la missione. Così l’UE provvede tutt’ora a finanziare e ad addestrare la Guardia costiera libica,
come l’equipaggio a bordo della motovedetta Fezzan 658.
Secondo quanto afferma la dottoressa Mussi, attualmente, un gruppo di avvocati sta cercando di
capire quali azioni possano essere intraprese per proteggere gli individui respinti. Stanno inoltre
verificando se ci siano familiari già in Italia che hanno parenti rimasti a bordo della
motovedetta libica, ricordiamo infatti che parte dei migranti sono stati recuperati dalle
autorità libiche.
In genere (ma in questa fase risulta davvero complesso, anche solo per la difficoltà a entrare
in contatto con le persone coinvolte) si cerca di richiedere un visto umanitario per la
persona respinta, quando è possibile sostenere che c’è stata responsabilità anche delle
autorità italiane, ad esempio perché la persona non ha potuto accedere al territorio italiano
dove avrebbe chiesto asilo o protezione. ⊏…⊐ Sulla scorta dell’esito delle iniziative intraprese
a livello interno – e soprattutto una volta ricostruiti gli eventi in maniera più completa – si
potrà eventualmente valutare anche se sussistono gli estremi per un ricorso alla Corte
europea dei diritti dell’uomo.

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