La meccanica quantistica: oltre il velo di Maya?

Piet Mondrian, Composizione no.10 (molo e oceano), olio su tela, 1915

Può fare strano iniziare un discorso sulla meccanica quantistica parlando del velo di Maya e di Schopenhauer. Eppure penso che possa essere efficace prendere in prestito qualche idea di questo filosofo per introdurre un argomento che può sembrare difficile e oscuro e sul quale cerchiamo di gettare un po’ di luce.

Per prima cosa serve sapere che tra le figure a cui si ispira Schopenhauer spicca per fama o per influenza quella di Immanuel Kant. Il filosofo nativo di Königsberg aveva dato un suo apporto fondamentale alla filosofia coi suoi lavori, in primis con i risultati raggiunti all’interno delle tre “critiche”. Schopenhauer prende spunto da questi scritti kantiani, ma se ne allontana sotto diversi aspetti. Ciò che rende questa sua posizione peculiare e di interesse per noi è l’idea che, a differenza di quanto sosteneva Kant, per Schopenhauer fosse possibile conoscere il noumeno: andare oltre il velo di Maya delle forme pure a priori di Kant. Brevemente infatti ricordiamo che per il filosofo prussiano la realtà in sé, la cosa in sé, il cosiddetto noumeno, era conoscibile solamente come fenomeno, mediato dalle forme pure a priori, ovvero che non dipendono dall’esperienza. Questa condizione conoscitiva caratterizzava tutta l’umanità in quanto peculiare della ragione in sé e perciò universale. Ora forse è più chiara la novità e la rottura portata da Schopenhauer.

Potremmo dire che in maniera abbastanza simile anche la meccanica quantistica (nel testo si fa riferimento all’interpretazione di Copenaghen) cerca di andare oltre il velo di Maya e a seconda di cosa si intenda per questo velo, i risultati sono diversi. Da una parte, infatti, la nuova teoria fisica tenta di andare oltre l’osservabile, o almeno oltre ciò che si può osservare “classicamente” estendendosi al dominio del rilevabile (i.e. inferibile da un’osservazione) o anche oltre. Dall’altra invece si è imbattuta in un problema che richiama in maniera molto simile l’originaria questione kantiana: si è dovuta confrontare con lo statuto della misura e di come l’“osservazione” modificasse i risultati del sistema da analizzare.

Per quanto riguarda il primo caso si potrebbe dire che il velo in un certo senso era già stato superato, anche se in maniera minore e forse più inconsapevolmente da altre teorie, come ad esempio quella dell’elettromagnetismo di Maxwell. Riguardo a questo si pensi all’idea di campo magnetico, che difficilmente si può considerare osservabile, almeno nel senso comune.

Il secondo caso invece è, a mio avviso, più interessante e rivoluzionario, anche se per certi versi connesso al primo, infatti ha senso parlarne solamente in sistemi microscopici, oltre il velo di Maya “classico”. Per riuscire a capire effettivamente la portata del cambiamento innescato da questa teoria che non si limita a questi due casi è sensato trattare l’argomento dividendolo per parti. Innanzitutto, l’immagine del mondo che propone la teoria dei quanti prevede una buona dose di indeterminatezza[GR1] ; una delle forme di quest’ultima rimanda al fatto che secondo le leggi della fisica quantistica non è possibile conoscere con precisione alcune coppie di grandezze fisiche (le cosiddette grandezze coniugate). Ciò vuol dire che, ad esempio, se si cerca di sapere con massima esattezza la posizione di un elettrone in un sistema fisico e si prepara un esperimento che riesca a produrre una sua misurazione precisa – indefinitamente –, non è possibile, allo stesso tempo, sapere anche la sua quantità di moto (quindi la sua velocità). Può sembrare una cosa normale, alcuni potrebbero dire che la situazione è tale perché l’esperimento non è stato preparato bene, altri potrebbero dire che non è un problema, basta misurarle in sequenza. Eppure, la peculiarità di questa situazione non è trascurabile in quanto impone che non è possibile, per la natura intrinseca della realtà, conoscere insieme con massima precisione queste due grandezze, anzi all’aumentare di conoscenza di una, si diminuisce la conoscenza possibile dell’altra. Se si prende in considerazione la coppia di grandezze proposte (posizione e quantità di moto), è possibile notare che anche nozioni classiche come quella di traiettoria ne risentono, dato che non è possibile definire con precisione dove si trovi la particella e a che velocità si stia muovendo in ogni momento. Questa prima questione ci permette di tornare al velo di Maya e di vedere come in un certo senso la nostra conoscenza sia in realtà limitata se seguiamo la teoria: sembra che il velo di Maya si faccia più spesso anziché dissolversi con le nuove scoperte. La questione dell’indeterminatezza si fa ancora più problematica se si pensa ad un’altra conseguenza della meccanica quantistica. Strettamente parlando infatti la teoria non permette di parlare di proprietà di un sistema fisico in maniera robusta prima di effettuare una misura di quelle proprietà. Quest’idea può sembrare molto oscura ed ermetica, se non addirittura contraria al senso comune. Supponiamo di prendere una scatola con dentro una pallina di cui non sappiamo il colore, ma solo che può essere gialla o rossa. Quello che succede quando prendiamo la pallina e la guardiamo è di scoprire quale sia il suo colore[GR2] , poniamo che sia gialla. Ciò che risulta abbastanza normale è pensare che la pallina fosse gialla anche prima di estrarla dalla scatola, quindi anche prima di effettuare una misura sul sistema in questione. Ciò che suggerisce invece la meccanica quantistica è proprio che la pallina, prima della misura non fosse né gialla, né rossa, ma si trovasse in un cosiddetto stato di sovrapposizione dello stato in cui è gialla e di quello in cui è rossa, che, per quanto possa essere simile, è qualcosa di diverso dal dire “sia gialla sia rossa”. Questo rimane un esempio, ma si pensi che tutto ciò è verificabile sperimentalmente ed è evidente matematicamente. Dunque il velo di Maya si ripropone e questa volta sembrerebbe proprio renderci ciechi, impedendoci di fare affermazioni sensate sulle proprietà pre-esistenti di un sistema.

Un altro campo di indagine all’interno delle questioni sollevate dall’immagine del mondo che fornisce la meccanica quantistica riguarda la probabilità. Questa teoria infatti implica che il mondo abbia una struttura intrinsecamente aleatoria. Bisogna sin da subito chiarire che questa probabilità non è quella epistemica, relativa alla nostra ignoranza sul sistema, ma è immanente alla struttura della realtà, potremmo definirla una probabilità ontologica. Da una parte si può parlare del caso in cui, non potendo conoscere tutte le informazioni che servono per fare le nostre predizioni, sia necessario ricorrere alla statistica. Dall’altra si può parlare di una probabilità, relativa alla meccanica quantistica, che sussiste indipendentemente da quante informazioni possiamo conoscere sul sistema, in quanto lo descrive ontologicamente. Ad esempio, per un certo sistema sottoposto ad una misura, la teoria potrebbe mostrare che i risultati ottenibili dalla misura siano due e che ci sia il 50% delle possibilità che sia il primo o che sia il secondo. È importante notare che, indipendentemente da quanto precisamente si prepari l’esperimento, i risultati rimarranno comunque probabilistici, in quanto non dipendono dalla nostra conoscenza del sistema, ma semplicemente dalla sua ontologia, dalla sua natura essenziale. In questo caso, se il velo di Maya sembra prima facie frapporsi tra noi ed il mondo, rendendo impossibile avere una risposta certa, a ben guardare si potrebbe dire che la teoria, invece, riesce in un’impresa rivoluzionaria. Infatti, se si accetta questa visione della realtà, per quanto controintuitiva, si potrebbe affermare che questa volta la meccanica quantistica getta luce su una vera caratteristica della realtà, ovvero sul comportamento aleatorio delle sue componenti. Certamente non si può non essere d’accordo che è un’immagine scomoda quella appena esposta e che, in ogni caso, viene posto un limite alla nostra conoscenza.

Un’ultima grande questione sollevata dalla meccanica quantistica è probabilmente sconvolgente se misconosciuta, mentre è lineare e coerente se ben compresa. Stiamo parlando della non-località e, implicitamente, dell’entanglement (o interlacciamento). Partiamo con un esempio che riprende quello della pallina gialla o rossa. Supponiamo che questa volta nella scatola ci siano due palline e che si abbia il 50 % di estrarne una gialla ed il 50 % di estrarne una rossa. Per ricordare quanto detto prima: la probabilità in questione è ontologica e non possiamo sapere nulla su proprietà pre-esistenti alla misura. Ciò che la teoria dice è che in certi casi, quando le palline sono entangled, una volta effettuata la misura, quindi scoperto il colore di una pallina, si ha la conoscenza anche del colore dell’altra pallina. Se estraiamo una pallina e questa è rossa, sappiamo con certezza che l’altra è gialla, senza effettuare un’ulteriore misura (e viceversa). Questo vuol dire che conoscere il risultato su una componente del sistema, permette di conoscere immediatamente anche quello dell’altra componente. Pensiamo che, ad esempio, due palline fatte interagire inizialmente e preparate in uno stato entangled si trovino in una scatola e che si abbia il 50 % di estrarne una gialla ed il 50 % di estrarne una rossa. Ora questa scatola viene divisa in due in modo che ci sia una pallina in una parte e una nell’altra. Poi, queste due parti vengono portate a grandissima distanza una dall’altra. Anche in questo caso, effettuare la misura su una delle due determina con certezza il risultato che si otterrà anche sull’altra. Sia sempre chiaro che esperimenti mentali di questo tipo sono stati anche poi realizzati in maniera rigorosa e scientifica. Questo fatto è giustificato all’interno del formalismo ed è stato anche testato empiricamente più volte. Il risultato che si ottiene è estremamente significativo perché introduce una nozione non contemplata nella fisica classica: la non-località. In uno schema pre-quantistico infatti ogni misura era locale per cui veniva influenzata solamente da delle forze che agivano localmente. In questo caso, invece, l’azione è non-locale, sembra infatti esserci un’interazione che avviene “a distanza”. Questo aspetto della teoria è molto controverso e viene messo in evidenza dalla peculiarità della connessione tra i due sistemi. Si potrebbe dire, infatti, che essa è abbastanza forte da influenzare la nostra conoscenza, ma non è sufficientemente robusta quando si tratta di trasmettere informazione da un sistema all’altro. È proprio l’entanglement che sembrerebbe insinuare che esistano dei segnali che si muovono ad una velocità superluminale, fatto che però cozza con uno dei principi della relatività, ovvero che non esista niente che abbia una velocità superiore a quella della luce (nel vuoto). Quest’ultimo aspetto è però sottile, infatti l’entanglement, come già detto, non sembrerebbe essere in grado di trasmettere informazione, rendendo irrilevante il problema del segnale superluminale, ma allo stesso tempo è indubbio che l’influenza a distanza avvenga. A riprova della complessità del fenomeno, lo stesso Einstein lo descrive come una “spooky action at a distance”, evidenziando che comprendere questa conseguenza della teoria è difficile (più precisamente, Einstein parlando della teoria segnalerà un limite relativo all’assunzione della sua completezza). In questo caso il velo di Maya sembra essere sia dissolto, in quanto possiamo “conoscere due cose, al prezzo di una (con una misura)”, sia estremamente spesso, in quanto non si riesce a darsi una spiegazione soddisfacente di questa interazione.

Alla fine, la lotta quantistica che potrebbe avvenire tra un sostenitore di Kant e uno di Schopenhauer termina con un vincitore? Non proprio. Dopo aver guardato alle maggiori questioni che la teoria dei quanti solleva in contrasto col senso comune o di rilevanza filosofica, possiamo dire che tutte queste caratteristiche, l’indeterminatezza, sia come ignoranza di proprietà pre-esistenti, sia come impossibilità di conoscere con precisione alcune coppie di grandezze fisiche, la probabilità e la sua valenza ontologica, la non-località e la correlazione a distanza dell’entanglement, portano davvero a chiedersi se questa possa essere l’immagine del mondo in cui viviamo. Portano a domandarsi se la fisica, con queste teorie, possa arrivare alla struttura profonda della realtà oppure se la nostra conoscenza si debba limitare all’“osservabile” e la teoria renda conto esclusivamente di quello. Ma allora uno “schopenhaueriano” potrebbe sostenere che ciò che la teoria descrive è davvero la realtà in sé, solamente che quest’ultima è inaspettata e possiede delle caratteristiche che non sono familiari perché “apparentemente invisibili” nella vita quotidiana. D’altra parte un kantiano potrebbe dire che la conoscenza che abbiamo del mondo secondo la teoria è limitata a dei nostri limiti conoscitivi che ci impongono di formulare la descrizione della realtà in questo modo. Oppure potrebbe affermare che è la stessa teoria a mostrarci che ci sono dei limiti strutturali alla nostra conoscenza, che non può procedere oltre una certo soglia. Ad esempio il discorso riguardo la probabilità potrebbe essere la prova che la ragione umana non può conoscere davvero il mondo, ma deve rassegnarsi a comprenderlo in termini statistici.

Infine questo velo di Maya che ci ha aiutato a parlare delle conseguenze della meccanica quantistica sulla rappresentazione del mondo, può darci una mano un’altra volta. La nuova teoria infatti è sottoposta a numerose interpretazioni e questa è una caratteristica unica in tutta la fisica. Per quanto si sia affermato un formalismo e un’interpretazione cosiddetta “ortodossa”, c’è una moltitudine di proposte ermeneutiche sul significato della teoria, spesso con tanto di rielaborazioni matematiche e concettuali. A seconda di quale interpretazione si decide di adottare, i problemi trattati sopra possono assumere un’importanza diversa o anche una spiegazione diversa. Insomma, lo spettacolo della meccanica quantistica è senza ombra di dubbio uno dei migliori che la fisica contemporanea ha messo in scena. Uno spettacolo che è ancora in atto e che continua a regalare sorprese che sembrano suggerire che la meccanica quantistica non abbia l’ultima parola. Ma saremo allora in grado di risolvere i dilemmi che ancora oggi investono la teoria? Sarà possibile convergere verso un’interpretazione unica? Riusciremo a dire se le caratteristiche controintuitive della teoria sono proprie del mondo in sé o solamente della descrizione e spiegazione che ne diamo noi?

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