Filosofia: un’umile proposta

René Magritte, Il donatore felice, olio su tela, 1966

“Cosa studi?” “Filosofia”… gran parte delle persone fa seguire a questa risposta un’altra domanda: “E cosa farai dopo?” Ma siamo sicuri che sia questa la domanda migliore che si può porre a un aspirante filosofo? La risposta che segue cosa può dirci di più su chi è la persona che abbiamo davanti? Basti pensare che una risposta ce l’ha sicuramente dato che la domanda è abbastanza scontata. Probabilmente se l’è preparata ancora prima di iniziare la conversazione. A pensarci bene ci sarebbero un sacco di altre domande che si potrebbero porre, sia che qualcuno abbia già le mani in pasta con un po’ di filosofia, magari dal liceo, sia – forse a maggior ragione – con qualcuno che non l’ha mai studiata. Potremmo chiedere “Qual è il tuo filosofo preferito?”, ma in questo caso servono già alcune conoscenze in più, oppure si potrebbe tornare su un classico “E ti piace?”. In alternativa, si può glissare e cambiare argomento. Eppure, ancora non abbiamo scoperto molto di più, né dell’aspirante filosofo, né di ciò che studia. Questo deriva dalla peculiarità della filosofia come oggetto di studio. Deriva dal fatto che non è facile identificare cosa sia davvero e, proprio per questo, penso che la domanda più giusta sarebbe qualcosa sulla falsa riga di “E cosa intendi tu per filosofia?”. A questo punto la conversazione può o diventare un lunghissimo trattato di filosofia, oppure la risposta può essere davvero illuminante, gettando luce sulla persona che hai davanti.

La risposta a quest’ultima domanda è molto meno scontata e potrebbe anche mettere in difficoltà l’aspirante filosofo. Definire cosa sia la filosofia è, infatti, un’impresa difficile, che può richiedere molto tempo, che, anzi, ritengo non finisca mai nel corso della vita di un filosofo. Continuare a studiare e scoprire nuove idee e forme di pensiero permette di allargare i propri orizzonti e con essi anche le prospettive di risposta alla domanda “Che cos’è la filosofia?”. Può succedere il filosofo trovi una soluzione al quesito non tanto cercando di rispondere ad esso direttamente, ma costruendo man mano il suo pensiero, dal quale poi emergerà spontaneamente una definizione di cosa sia la filosofia. Questo rende la risposta molto personale e individuale, spesso infatti, a seconda delle proprie posizioni, la filosofia può essere definita in maniera diversa e difficilmente confrontabile con altre visioni. Si pensi a Tommaso d’Aquino, che, immerso in un contesto fortemente teologico, la definisce come ancilla theologiae, ovvero ancella della teologia. Si pensi, invece, a Wittgenstein, che dice “Lo scopo della filosofia è il rischiaramento logico dei pensieri. La filosofia è non una dottrina, ma un’attività” (la citazione proviene dal Tractatus logico-philosopicus ed è la proposizione 4.112). Chiaramente le due risposte sono molto diverse e si inseriscono in sistemi di pensiero molto lontani l’uno dall’altro. Proprio per questa distanza è difficile metterle a confronto. Queste differenze però non tolgono dignità alle posizioni, anzi, mostrano che è possibile dare definizioni uniche e parimenti significative, anche se pressoché irriducibili tra loro. Ora, forse, è più chiaro perché sia una domanda molto mirata: “Cosa intendi tu per filosofia?”, dal momento che possono esserci moltissime opzioni, forse tante quante i filosofi o anche di più, e dal momento che, a seconda della risposta, il tipo di ricerca e di interessi sono diversi.

Il lavoro del filosofo non è caratterizzato solo dal tentativo di risposta a questa domanda, sebbene, durante la sua attività, spesso succeda che si delinei anche una sua posizione a riguardo. Tuttavia, può accadere che in vari momenti del suo percorso si cimenti proprio in questa sfida e, grazie al bagaglio di conoscenze fino a quel momento in suo possesso, provi ad esprimersi a riguardo. Per farlo si può partire, come ritengo sia meglio fare, da una serie di problemi centrali che caratterizzano la filosofia, ai quali essa ha cercato e continua a cercare di trovare una soluzione univoca. Consci che probabilmente questa non sia possibile, si può concentrarsi proprio su questi grandi quesiti e vedere quali sono le caratteristiche della filosofia che emergono da essi.

Nel mare di domande filosofiche, penso che ce ne sia una che in particolare sia essenziale per la definizione che stiamo cercando. Per essere più precisi potremmo dire che ciò che le nostre reti di aspiranti filosofi hanno trovato nel mare non è una vera e propria domanda, quanto piuttosto un atteggiamento, una tensione che il filosofo, a mio avviso, deve avere: la tensione verso la Verità. Chiunque aspiri a fare filosofia non può esimersi dal tentativo di cercare la Verità. Certo, questo non basta, ma è un tassello fondamentale. La Verità a cui mira non è qualcosa che – per quanto interessa a noi – serve sia definita in maniera individuale, infatti ritengo che ciò a cui ognuno ambisce abbia delle caratteristiche comuni che definiscono l’oggetto di ricerca del filosofo come la Verità. L’atteggiamento del filosofo è quello di andare al fondo, di analizzare la realtà – dopo ci concentreremo sul come –, di non accontentarsi di risposte superficiali. In questo modo, anche se ciò che si trova alla fine di questo percorso – sempre se ha una fine – è di natura scettica e implica delle fondamenta instabili, senza qualcosa di chiaro e veritiero, si potrebbe continuare a dire che il filosofo, per giungere a questa risposta, ha dovuto porsi la domanda “Cos’è la Verità?”. Dunque, si potrebbe dire che questa tensione verso il fondamento, la Verità con la “v” maiuscola, è l’acqua che compone il mare delle domande filosofiche, le quali sono composte, per essere filosofiche, da questa tensione verso il profondo.

Il filosofo, in questo mare, pesca non tanto delle risposte, quanto piuttosto delle domande. Un’altra caratteristica peculiare della filosofia è proprio quella di occuparsi di porre le domande giuste. Questo è un compito fondamentale, che spesso fa davvero la differenza rispetto a trovare la soluzione, anche perché non raramente succede che la risposta sia già in parte contenuta nella domanda stessa. Trovare le risposte non è proprio una delle specialità dei filosofi, ma anche questo campo è estremamente variegato e rigoglioso. Nello specifico, potremmo dire che la filosofia ha una domanda molto particolare, cui, nel corso del tempo, ha sempre cercato di rispondere, dando vita ad una molteplicità di possibilità risolutive, che potremmo cristallizzare così: “Qual è il rapporto tra unità e molteplicità?”. Può sembrare un problema molto astratto, ma a pensarci bene pervade la nostra vita di tutti i giorni, i nostri pensieri e i nostri modi di fare. La filosofia, posto il quesito, ha provato a fornire vari tipi di risposta e azzarderei dire – è un’esagerazione, ma serve per rendere l’idea – che ogni teoria filosofica, spinta dalla tensione verso il profondo, costruisce il proprio sistema nell’ottica di rispondere alla domanda dell’unità-molteplicità, cercando di giustificare questo binomio che sembra irrisolvibile. Un sistema di pensiero perciò si nutre della ricerca della Verità e si costituisce nel tentativo di inquadrare il problema unità-molteplicità, che non può rimanere irrisolto se si vuole dare vita a una filosofia consistente. L’idea dell’unità fornisce anche lo stimolo al filosofo per non accontentarsi di uno sguardo parziale. Il suo compito è di riuscire a dare una visione il più complessiva possibile, ovvero di ricondurre la molteplicità di ciò che compone il suo oggetto di studio – ovvero la materia a cui sceglie di dedicarsi – all’unità. Si potrebbe osare e affermare che, nello spirito del filosofo, ci sia anche la speranza di riuscire a ricondurre in un unico sistema di pensiero coerente in se stesso tutte le teorie relative ad ogni materia di studio possibile, fornendo in questo modo una visione della realtà che non tralasci niente. È abbastanza evidente che questa è una tensione verso un limite piuttosto che un risultato concretamente realizzabile. Eppure, ritengo che la filosofia sia composta essenzialmente proprio dal compito di porre domande e di trovare delle soluzioni che permettano di ricondurre la molteplicità a unità, in una visione complessiva.

Riuscire a pescare domande e a trovare soluzioni è difficile se non si possiedono gli strumenti giusti. Ebbene, questa è un’altra parte essenziale della filosofia: il metodo. Numerosi filosofi si sono interrogati su quale sia il metodo di questa disciplina e le possibilità sono parecchie. Iniziamo dicendo che il metodo, gli strumenti, del filosofo svolgono un ruolo importante, ma non sono sufficienti per la definizione di filosofia, anche le due caratteristiche appena delineate non sono trascurabili. In ogni caso, nel momento in cui l’oggetto di ricerca sia molto simile, è forse proprio il metodo a essere il miglior discriminante. Entrando nel merito, sostengo che la filosofia sia fornita in primo luogo di un’analisi concettuale dei pensieri, delle idee, che può operare grazie agli attrezzi forniti dalla logica formale. Costruire un sapere che sia governato dalle leggi della logica o che non lo sia deve essere una delle preoccupazioni maggiori del filosofo. Questo non deve portare a pensare che la filosofia si limiti ad un’analisi concettuale a priori che potrebbe condurla nei meandri di una disciplina esclusivamente ideale, senza contatto con la realtà. Piuttosto, può essere pensata come la scienza del possibile. Il possibile, per essere tale, deve infatti essere connesso con ciò che è attuale. Insieme, formano il reale. La filosofia, perciò, si confronta con la Realtà, cercando attraverso uno studio di ciò che è possibile, di comprendere qualcosa di ciò che è reale e di ciò che è attuale. Gli strumenti concettuali perciò non allontanano dal reale o dall’attuale, ma forniscono ciò che è necessario per ampliarne gli orizzonti verso ciò che è possibile.

Prendendo in considerazione quanto detto finora, potrei rispondere alla domanda dicendo che “io intendo per filosofia la disciplina del pensiero che è mossa da una tensione verso la Verità, che si costituisce nel trovare le domande giuste e nel cercare di dare risposte che tengano conto del problema dell’uno-molti, nel tentativo di ricondurre il molteplice all’unità di una visione complessiva, utilizzando gli strumenti concettuali, in particolare della logica formale, per studiare la Realtà, anche ampliandone gli orizzonti nel campo del possibile”. Certo, questa posizione dovrebbe essere articolata meglio e potrebbe incorrere in moltissime critiche, ma, per quanto interessa questo articolo,  può bastare non volendo altro che essere un’umile proposta – prendo spunto da “A modest proposal” di Tim Maudlin, per il titolo.

Cerchiamo di chiarire ancora due punti mettendo in relazione questa filosofia con alcune materie di studio. In primo luogo, il rapporto con le scienze è di fondamentale importanza, forse anche essenziale. Senza entrare troppo nello specifico, sostengo che bisognerebbe mantenere una posizione naturalista – ossia, in cui c’è una certa continuità con le scienze – anche se modulata in un certo modo. Posto che le discipline scientifiche hanno ottenuto dei risultati strabilianti nello studio della Realtà, non è possibile ignorarle e studiarla in maniera separata e, a mio avviso, miope. Bisogna, dunque, partire dai risultati delle scienze e cercare di sviscerarli attraverso gli strumenti della filosofia. Da questa rielaborazione è possibile ottenere altri dati che poi devono nuovamente essere vagliati dalle scienze per comprenderne l’attualità e l’ammissibilità. Ritengo e spero che questo lavoro possa essere d’aiuto agli scienziati nella scoperta della Realtà e di grande interesse per i filosofi nel riuscire a far convergere due modalità conoscitive dello stesso oggetto inconciliabili – anche se solo apparentemente.

In secondo luogo, il rapporto con la vita pratica è un’altra materia da cui la filosofia non può astenersi. Per non dilungarmi troppo, mi limito ad affermare che solitamente il filosofo, proprio per la natura essenziale della filosofia, non può non confrontarsi con il mondo della pratica. Anche involontariamente, lavorando con il mondo del pensiero, forgia e mette in relazione una serie di idee che hanno un impatto sulla vita pratica. Dunque, la filosofia – come gran parte delle discipline intellettuali – ha un’eccedenza nei confronti della vita pratica che non può essere rimossa. Questo non significa che ogni filosofo diventerà un personaggio di spicco della politica o che sarà un rivoluzionario, ma, senza ombra di dubbio, si può dire che il filosofo contribuirà all’avanzamento della cultura – intesa come l’ambito della vita spirituale e pratica dell’uomo.

Dalla semplice domanda “Cosa intendi tu per filosofia?” possiamo affermare di avere buone chances di ottenere una risposta inaspettata e stimolante, sicuramente non scontata. A maggior ragione dal momento che la filosofia non è solo una disciplina del pensiero, essa è molto di più: eccede in molti altri ambiti, dalla scienza alla politica, ma non solo. Essa è affascinante perché, a mio parere, il filosofo ha in sé anche un certo carattere artistico, che dona alla filosofia un carattere sublime e misterioso allo stesso tempo. Come guardando un quadro possiamo sentirci pervasi da un senso di bellezza o di stupore, allo stesso tempo è possibile meravigliarsi delle idee di questi pensatori. In ultima istanza, la filosofia è anche arte e il filosofo è un costruttore di pensieri che, con la tavolozza dei concetti, è in grado di dipingere magnifiche tele in cui linee e colori si intrecciano tra loro dando vita ad una vera e propria opera d’arte. Queste riflessioni ci mostrano che “fare filosofia” non si basa su cosa farai dopo, ma su cosa fai adesso, su quello che studi ora, perché a chi sceglie di diventare un pensatore, si aprono strade e orizzonti che prima non sembravano neanche immaginabili. Quanto detto finora ci mostra anche che il lavoro del filosofo non è semplice e spesso viene letto solo attraverso le lenti della realtà più quotidiana della concretezza. Perciò, se la via all’inizio si dimostra impervia e in salita è perché non si riescono a vedere i risultati di quello che si sta imparando. Se le persone intorno a te continuano a proiettarti solo verso il “dopo”, bisogna ricordarsi che questo è il percorso per poter portare avanti la cultura, un compito estremamente degno: come non è facile fare i medici o costruire case, così non è una passeggiata contribuire al progresso spirituale dell’umanità, soprattutto perché è qualcosa di estremamente difficile da vedere nell’immediatezza dell’adesso o nel traguardo reificato del domani.  Bisogna avere chiaro che nel fare filosofia ciò che importa è “fare filosofia”.

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