POPLAR DAY 4 – Intervista al secondo più grande cantante ‘noneso’ vivente.

Felix Lalù è una figura unica nel panorama culturale trentino, e questa intervista si pone l’obiettivo di catturare la sua poliedrica creatività. Il suo impegno nel preservare e valorizzare il dialetto nones, una lingua di nicchia della Val di Non, lo distingue come un artista capace di mescolare tradizione e innovazione con ironia e profondità.

È interessante vedere come l’artista abbia deciso di concentrarsi sul dialetto nones a partire dal 2019, trasformandolo in uno strumento per raccontare le vicende umane con autenticità, pur mantenendo un tono leggero. La scelta di pubblicare tre album interamente in nones, tra cui ‘No Hablo Ladino’ e ‘Putein Che Vita’, non solo è stata una sfida personale, ma ha anche trovato un riscontro positivo fuori dalla sua valle.

L’altro aspetto che emerge è il suo approccio multidisciplinare: oltre alla musica, Felix si dedica alla creazione di giochi da tavolo come Pomopoly e a progetti visuali, come dimostrato da En Falò De Love, che unisce musica e illustrazioni per esplorare il tema dell’amore in modo ironico. La sua incursione nello sludge metal con i Zentaya, dove continua a utilizzare il dialetto, dimostra ulteriormente la sua volontà di sperimentare generi e linguaggi diversi, mantenendo sempre un legame con le sue radici.

Felix Lalù rappresenta un raro esempio di artista capace di fondere tradizione, innovazione e ironia in un percorso artistico unico e in continua evoluzione.   

Chi è Felix Lalù e come nasce la sua passione per la musica?

“Felix Lalù è un quarantacinquenne a cui piace scrivere, suonare e raccontare storie. Sono nato in Val di Non, in mezzo ai meleti e ai veleni della valle. La musica è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, ma è stato solo nel 2006 che ho deciso di intraprendere la carriera di cantautore solista. All’inizio cantavo in italiano e in altre lingue come il portoghese o il francese, ma dal 2019 ho scelto il nones come lingua principale per le mie canzoni. È una scelta che sento molto vicina a me e alla mia terra.”

Perché hai deciso di cantare in dialetto nones? Non è una scelta scomoda, visto che il nones è parlato solo in una piccola area?

“Sì, il nones è una lingua di nicchia, una variante del ladino parlata solo nella mia valle, ma questo è proprio ciò che mi ha spinto a farlo. Nessuno aveva mai pubblicato un disco interamente in nones prima di me, e così ho pensato: perché non essere il primo? Nel 2019 ho pubblicato ‘No Hablo Ladino’, il primo di tre dischi in nones, seguito da ‘Tut Bon e Putein Che Vita. Sono rimasto sorpreso dal riscontro positivo che ho ricevuto, anche al di fuori della Val di Non. Le persone hanno apprezzato il modo in cui raccontavo le storie della nostra valle, con i suoi vizi e le sue virtù.
Ho sempre cantato in molte lingue, dai miei vent’anni: inglese, italiano, portoghese, francese, spesso senza conoscere bene la lingua, solo per il suono. Poi mi sono concentrato sull’italiano, ma ho continuato a fare canzoni in noneso. Nel 2019 ho deciso di fare un intero disco in noneso, pensando che non sarebbe interessato a nessuno. Invece, è piaciuto molto, anche al di fuori della Val di Non. Da allora ho pubblicato altri due album e uno nuovo arriverà quest’anno, sempre in dialetto. Ora faccio parte anche di un gruppo metal chiamato Zentaya, che canta in noneso, italiano e solandro. Quindi, non sono esclusivamente un cantautore dialettale: mi piacciono le lingue in generale e ascolto musica in molte lingue, tranne il noneso perché lo faccio solo io!

Il fatto di cantare in noneso non deve però essere percepita come una una mossa da nostalgico, ciò che voglio fare è rendere il dialetto una lingua contemporanea perché ancora oggi parliamo il noneso, e non è più la lingua dei nostri nonni.”

Quindi non sei un Van de Sfroos delle Valli trentine?

“(ride) Assolutamente no e non ne ho l’aspirazione, io faccio una musica diversa.”

Le principali testate locali ti hanno definito “il secondo più grande cantautore dialettale noneso vivente”. Come ti senti a riguardo?

“(Ride) Mi diverte molto questo titolo. Essere ‘secondo’ implica che ci sia qualcuno più grande di me, e questo va benissimo. Non mi prendo troppo sul serio, quindi questa definizione mi sta bene. Ciò che mi interessa davvero è continuare a fare musica che racconti storie vere, senza troppi filtri. L’importante è che la gente si riconosca nelle mie canzoni, anche se non sempre sono ‘comode’ da ascoltare.

Oltretutto, la mia musica è difficile da classificare. La definisco “musica contemporanea”, perché include pezzi che spaziano dal rock psichedelico, alla musica per bambini, fino al tango o al blues. Mi piace raccontare storie che possono essere ambientate nella Val di Non, ma non solo. Ho anche fatto un disco di musica elettronica, “Toon”, e ora sto lavorando a un progetto metal lento e pesante, sempre in dialetto. Su Spotify è difficile categorizzare la mia musica perché varia molto, ma mi piace raccontare storie con stili diversi.”

Oltre alla musica, nel 2021 hai creato Pomopoly, un gioco da tavolo ambientato tra i meleti della Val di Non. Da dove è nata l’idea?

“Sono un grande appassionato di giochi da tavolo e mi piaceva l’idea di creare qualcosa che raccontasse la mia valle in modo divertente. Pomopoly è il primo gioco da tavolo in nones e si svolge tra i meleti della Val di Non, dove i giocatori devono affrontare le dinamiche economiche e sociali della valle. È un gioco ironico, ma anche un modo per mantenere viva la lingua e la cultura del nones. L’idea è venuta un po’ per scherzo, ma ha preso forma velocemente. Credo che le persone abbiano apprezzato il mix di tradizione e ironia.”

Per me è un progetto molto importante. Nones X Curti è un libro che racchiude i testi delle mie canzoni, ma anche un dizionario visuale di oltre 3000 lemmi. Il nones è una lingua in via d’estinzione e mi piaceva l’idea di fare qualcosa per preservarla. Non si tratta di un dizionario classico, ma di una sorta di enciclopedia visiva. Le parole nones sono vive, mutano con il tempo, e il mio obiettivo è raccontarle così come vengono usate oggi, non come relitti di un passato che non tornerà più. Non ha senso salvare le parole dialettali morte, bisogna conservare il dialetto com’è oggi. Le lingue cambiano e muoiono, come le specie viventi. La globalizzazione sta uniformando tutto, anche le lingue, e perdere questa varietà è inevitabile, ma comunque triste.”

Hai anche un progetto sludge metal in corso, i Zentaya. Cosa puoi dirci riguardo questa nuova avventura musicale?

“Zentaya è un progetto nato per esplorare un lato musicale più duro e oscuro. È un duo sludge metal dove canto in nones, solander (il dialetto della Val di Sole), italiano e inglese. L’album uscirà entro la fine del 2024 e sarà qualcosa di molto diverso da ciò che ho fatto finora. Il metal si presta bene a raccontare le atmosfere dure e cupe delle montagne, ed è un genere che mi ha sempre affascinato. Siamo partiti da un’idea di sperimentazione e il risultato è un mix di sonorità heavy e dialetti alpini. Un progetto davvero unico.”

Guardando al futuro, quali sono i tuoi prossimi progetti?

“Nel 2025 uscirà un nuovo singolo che parla della ‘riminizzazione’ della montagna, ovvero il problema del turismo di massa che sta trasformando le nostre valli. È un tema importante per me, perché vedo come la montagna stia cambiando a causa della pressione turistica e degli interessi economici. Voglio continuare a usare la mia musica per parlare di questi temi, mescolando ironia e critica sociale. E poi, chissà cos’altro arriverà… di idee ne ho sempre tante!”

Un consiglio per gli studenti universitari che si affacciano al mondo dell’arte e della musica?

“Direi di vivere al massimo gli anni universitari. Divertitevi il più possibile finché siete giovani. Approfittate di tutte le opportunità che offre l’università, non solo dal punto di vista dello studio, ma anche dal punto di vista umano. Le avventure e le persone che conoscerete saranno la parte più preziosa dell’esperienza universitaria. Sfruttate ogni occasione per fare esperienze, non solo nello studio ma anche nella vita. Fate avventure, conosciuta gente diversa, e se vi capita di inciampare in qualche errore… ben venga! Gli errori sono fondamentali per crescere e per fare arte. E, soprattutto, non prendetevi mai troppo sul serio. L’ironia è una grande risorsa.”

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