L’Afghanistan e i diritti dimenticati                      

Purtroppo ora passo la giornata in casa ed è estenuante. Spero che un giorno tutte le donne possano continuare a studiare e lavorare.” R.

Sono tante le testimonianze come quella di R., raccolte dalle operatrici della Onlus italiana “Azioni contro la fame” in Afghanistan. Dal ritorno al potere dei Talebani, avvenuto il 15 agosto del 2021, la libertà e l’autodeterminazione delle donne nel paese sono andate sempre più deteriorandosi. È stato vietato loro l’accesso all’istruzione secondaria e all’università, sia per le professoresse che per le studentesse, fare semplici attività come sport all’aria aperta, scoprire il proprio viso e lavorare per organizzazioni non governative.  

Per meglio analizzare al giorno d’oggi lo stato dei diritti delle donne afghane è necessario guardare a prima dell’invasione occidentale, ripercorrendo le fila della guerra civile tra Mujahideen. I Mujahideen, protagonisti della guerriglia islamica, combattevano contro l’occupazione sovietica tra il 1979 e il 1989; tra i gruppi militanti la componente maggiormente fondamentalista e radicale era quella Talebana. I Talebani, a lungo sostenuti dalla CIA in funzione anti-Sovietica, negli anni della guerra civile si sono presentati alla popolazione afghana come i difensori dalla violenza degli occupanti e come risposta agli anni tragici del ritiro sovietico. Ancora oggi le loro parole d’ordine sono sicurezza e stabilità.

Kandahar è la città di Mullah Omar, il fondatore del movimento talebano, rimasto alla guida del paese dal 1996 al 2001, anno di inizio dell’offensiva americana post 11 Settembre. Il governo statunitense ha ricoperto negli anni un ruolo rilevante nella storia politica, militare ed economica del paese.

Ben 19 anni dopo l’offensiva occidentale, in data 29 febbraio 2020, l’amministrazione Trump ha sottoscritto con il movimento talebano l’Accordo di Doha, in Qatar. Questa trattativa aveva come oggetto il ritiro delle truppe americane dalla regione afghana ad alcune condizioni, tra cui la sospensione degli attacchi contro il governo centrale di Kabul e il divieto futuro di utilizzo del territorio come base strategica militare per sferrare attacchi verso paesi esteri. L’accordo di Doha, sottoscritto da entrambe le parti, ha quindi decretato il ritiro dall’Afghanistan dei 2500 soldati americani stanziati da vent’anni di guerra, e ha permesso il ritorno al potere dei Talebani.

Il 12 agosto 2021 Kandahar, città-simbolo del movimento, è stata riconquistata.

Da allora il nuovo governo ha adottato una chiara linea politica, in particolare nei confronti delle donne afghane e della loro autodeterminazione. Una delle prime modifiche apportate ha infatti interessato l’allora “Ministero delle Pari Opportunità”, prontamente sostituito dal “Ministero per la repressione del Vizio e la promozione della Virtù”. In altre parole, quello stesso edificio che poco prima si preoccupava di dare occasioni di lavoro e autonomia alle donne si è trasformato nel luogo che deve sorvegliarle e punirle in caso di disobbedienza. È da questa cornice di eventi che, lo scorso agosto, è giunta notizia dell’ennesimo divieto imposto alla popolazione femminile da parte del governo di Kabul: il divieto di parola.

Il leader supremo Hibatullah Akhundzada ha infatti recentemente approvato una lunga serie di regole che riguardano aspetti della vita quotidiana di cittadini e cittadine. È nello specifico l’articolo 13, dedicato alle donne e alla loro condotta, ad imporre loro di non parlare a voce alta in pubblico, poiché, ai sensi della nuova direttiva, questo atto sarebbe da riservare all’intimità.

Altri divieti riguardano l’impossibilità di uscire di casa senza essere accompagnate dalle figure maschili di riferimento, di guardare in pubblico gli uomini ai quali non si è legate da vincoli di sangue o matrimonio e di usufruire di mezzi di trasporto pubblici che siano occupati da uomini esterni al nucleo familiare.

Il 15 agosto di quest’anno, nel terzo anniversario della presa del potere dei Talebani, “Amnesty International” ha duramente criticato il fatto che il governo di Kabul non sia stato ancora chiamato a rispondere delle violazioni e dei crimini commessi. Ha poi denunciato la forte crisi economica e umanitaria che il paese sta attraversando nel silenzio e nella complicità dei media occidentali. Dall’agosto del 2021 sono stati infatti ritirati miliardi di dollari in aiuti internazionali, cruciali per l’assistenza umanitaria e lo sviluppo, e le stesse riserve di valuta estera sono state congelate. Il “Ministero per la repressione del Vizio e la promozione della Virtù”, che si avvale di una polizia morale simile a quella iraniana, è stato recentemente attaccato dalle Nazioni Unite, perché contribuirebbe a creare un clima di paura e intimidazione tra gli afghani.

Ma — al di là della dichiarata preoccupazione — resta evidente il silenzio della comunità internazionale, che sembra osservare passivamente ciò che accade in Afghanistan, mentre i diritti umani della popolazione, soprattutto femminile, si fanno sempre più opachi.

Sitografia:

https://www.corriere.it/esteri/24_agosto_23/afghanistan-ora-i-tale bani-vietano-il-suono-della-voce-delle-donne-in-pubblico-c5f8f6c0-8d51-4610-9b5f-5675c878exlk.shtml?  

https://www.ilfoglio.it/esteri/2021/08/18/news/cosa-prevede-l-accordo-di-doha-tra-i-talebani-e-gli-stati-uniti-2791012/

https://azionecontrolafame.it/news/diritti-delle-donne-afghanistan-testimonianze/

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